Capitolo 5

Dopo pranzo so per certo di avere l'ufficio tutto per me, dato che ricevo un messaggio di Morgan in cui mi avvisa che non rientrerà per oggi.

Il telefono sulla sua scrivania inizia a squillare nel secondo esatto in cui mi siedo davanti al mio computer. Sbuffando per il tempismo di chiunque stia chiamando, mi alzo e vado a rispondere. L'uomo dall'altro capo si presenta come avvocato della signora Prismore e in un lampo di preoccupazione spero di non aver sbagliato qualcosa nella procedura, ma poi tento di rilassarmi. È del tutto normale che gli avvocati parlino tra loro durante un divorzio, anche se è semplice come questo.

«La mia cliente vuole rivedere le condizioni.» Mi comunica in tono freddo. Matt mi aveva detto che lei era d'accordo, quindi non può trattarsi di qualcosa di troppo serio. Mi dico questo per mantenere la calma e agire come se l'avessi fatto altre mille volte.

«Molto bene, pensa che possiate venire qui allo studio McFarlan&Loke, la prossima settimana?» Propongo. Devo assicurarmi che la sala sia libera e prenotarla per un'ora, non dovrebbe volerci molto.

«La mia cliente preferisce discutere delle condizioni il prima possibile. Sabato.» Ribatte con molta sicurezza. «Potreste venire voi nel nostro studio.» Continua la sua proposta, facendomi ricordare uno degli insegnamenti di Morgan: non importa se si tratta di una causa da un milione di dollari, o se devi solo stringere la mano al tuo avversario, fai in modo di giocare in casa. Ancora non ho capito in che modo l'ambiente possa contribuire alla negoziazione, ma preferisco non testarlo in negativo.

«Non c'è bisogno, devo comunicarlo al signor Prismore, ma credo che sabato vada bene. Alle dieci?» Propongo il primo orario che mi viene in mente, sperando non ci siano problemi.

«Molto bene, saremo lì alle dieci in punto. Arrivederci.» Conclude la telefonata mentre sto ancora dicendo "arrivederci".

Ripensando a cosa ho appena fatto mi rendo conto del modo in cui mi ha parlato: come se sapesse se questo è il mio primo caso e volesse approfittarne. Scuoto la testa per disfarmi di questa paranoia e sostituirla con qualcosa di più allegro.

Ho appena fissato, per la prima volta, un incontro a cui sono io a dovermi presentare e non Morgan. Questo divorzio è talmente semplice che molto probabilmente potrei chiudere il mio primo caso proprio sabato. L'emozione che accompagna questo pensiero mi fa sorridere, mentre faccio una giravolta su me stessa per scaricare l'emozione.

«Buone notizie?»

Mi spavento quando mi accorgo che Walker mi sta guardando dalla porta, che avevo lasciato aperta. Mi ricompongo, ricordandomi di dover mantenere la mia professionalità in ogni momento, e mi rivolgo a lui.

«Forse sabato chiuderò il mio primo caso.» Rispondo alla sua domanda continuando a sorridere, chiedendomi come abbia fatto a non accorgermi di lui prima.

«Mi fa piacere.» Mi sorride di rimando e mi accorgo di una fossetta sulla sua guancia destra, coperta da un velo di barba scura. Lui è ancora sulla porta, che mi guarda in pacifico silenzio con i suoi occhi chiari.

«Le serviva qualcosa, signor Walker?» Riempio il silenzio imbarazzante. Lui sembra svegliarsi da un pensiero felice e contorce il volto in un'espressione infastidita, mentre fa qualche passo verso di me.

«Possiamo darci del tu? Chiamami Dylan, non mi è mai piaciuto particolarmente il mio cognome. In più, come mi hai fatto notare tu ieri, siamo allo stesso livello.» Torna a sorridere con un velo di imbarazzo tra le labbra ed io annuisco in assenso, notando che in seguito lui sembra più sereno. «E sì, mi servirebbe una mano con gli archivi elettronici delle vecchie cause penali. So che sarai sicuramente impegnata e che non sei un'assistente, ma finora sei l'unica persona che conosco e non so a chi altro chiedere.» Mentre parla noto che sta cercando di nascondere il suo imbarazzo e trovo strano che un avvocato come lui abbia problemi a parlare con qualcuno. Insomma, il suo lavoro quasi si fonda sulla sicurezza nel parlare.

Ricordo bene la mia prima settimana a lavorare per Morgan. Se non ci fosse stato Jack, probabilmente non sarei arrivata al terzo giorno, quindi capisco la situazione in cui si trova Dylan in questo momento.

«Qual è il problema?»

«Non li trovo.» Risponde velocemente e un po' allarmato, sollevando le sopracciglia.

Sono passati decenni dalla prima digitalizzazione di un documento e qui a McFarlan&Loke ogni avvocato è tenuto ad archiviare i propri casi nel sistema dello studio; trattandosi di informazioni private che devono rispettare il segreto professionale, ogni dipendente possiede una password personale generata da un algoritmo e i protocolli di sicurezza potrebbero competere con quelli di stato. Perlomeno questo è ciò che mi è stato urlato dal tecnico informatico quando, due mesi dopo la mia assunzione, avevo richiesto una nuova password perché avevo dimenticato la mia. Ripensando a quell'odioso ragazzo mi torna in mente la vecchia andata in pensione il mese scorso, di cui Dylan ha preso il posto.

«Già, ora ricordo: l'avvocata che hai sostituito odiava a morte la tecnologia...più o meno tutta quella dopo il 1980. Temo che non abbia mai fatto digitalizzare niente di quello a cui ha lavorato.»

La mia risposta non fa che preoccuparlo ulteriormente.

«Quindi dov'è tutta la documentazione?»

Sicuramente esisterà un deposito in cui Randey ha stivato tutti i vecchi fascicoli, ma non ho idea da dove iniziare a cercare.

«Non saprei», gli dico realmente dispiaciuta di non poterlo aiutare.

Forse non posso aiutare Dylan, ma sicuramente posso aiutare qualcun altro grazie a lui. «Vieni con me, ti presento una persona.»

Faccio strada a Dylan, diretta alla sala dove so per certo di trovare il mio amico. Prendiamo l'ascensore per scendere di un piano e raggiungere gli uffici della segreteria.

Come avevo immaginato, Jack sta ascoltando con interesse il racconto della donna con i capelli bianchi tenuti in un'ordinata pettinatura, seduto compostamente accanto a lei. Appena mi vede arrivare, seguita da Dylan, si alza immediatamente.

«Scusa Nancy, finiamo un'altra volta.» Lascia il suo posto per venirci incontro con una certa insicurezza ed altrettanta eccitazione. «Ciao», ci saluta con un ampio sorriso, che io ricambio, complice.

«Jack, ti presento Dylan Walker, è arrivato qui da poco, ha sostituito Randey e ha un problema con la vecchia documentazione, sai com'era fatta.» Li presento in modo da non far capire a Dylan che Jack sa già tutto di lui.

I due si stringono la mano e Dylan inizia ad esporgli il suo problema, così li saluto e mi allontano, ma non prima di aver ricevuto un "grazie" mimato, da parte del mio amico.

La prima cosa che faccio è correre alla sala per gli incontri sperando con tutta me stessa che non sia occupata questo sabato. Per mia fortuna quello è il giorno in cui nessuno vorrebbe trovarsi in ufficio, quindi è libera e mi segno per l'orario dell'incontro.

Torno in ufficio per fare una cosa decisamente meno piacevole: chiamare Matt per informarlo. Pensare a lui mi riporta al nostro pranzo ed una strana sensazione mi attanaglia lo stomaco, come se stessi per salire sulle montagne russe.

Non mi piacciono le montagne russe.

Compongo il numero e attendo pazientemente che risponda, pensando al tono che dovrei usare con lui. Prendo un respiro profondo per tentare di eliminare quella fastidiosa sensazione dentro di me. Forse dovrei iniziare a dargli del lei, per cognome, o perlomeno usare il suo nome per intero. Insomma, dovremmo avere un rapporto strettamente professionale.

Non ho la possibilità di mettere in atto nemmeno uno dei miei pensieri, perché si inserisce la segreteria telefonica ed io chiudo la chiamata. Non voglio lasciargli un messaggio, ci proverò più tardi.

Riesco a finire il lavoro che mi aveva dato Morgan in tempo per tornare a casa per cena. Prima di lasciare l'ufficio chiamo nuovamente Matt, ma scatta ancora la segreteria e questa volta lascio un messaggio in cui lo informo di doversi presentare qui in ufficio sabato mattina. Conciso e diretto, non lascio spazio a inutili tempi morti.

Mi dirigo all'ascensore e mentre le porte si stanno chiudendo vedo Jack in fondo al corridoio che inizia a correre per raggiungermi, quindi blocco le porte per aspettarlo. Lui continua a correre verso di me, senza fermarsi nemmeno una volta dentro questa scatola metallica, in modo da fiondarsi sul mio corpo per chiuderlo in un abbraccio inaspettato.

«Sei l'amica migliore del mondo!» Esclama nell'abbraccio, non curandosi di abbassare la voce vicino al mio orecchio. La sua voce rimbalza sulle pareti metalliche, arrivandomi più forte di quanto avrebbe dovuto.

«Lo so», ribatto ridacchiando. Jack mi lascia finalmente andare e premo una seconda volta il piano terra. «Gli hai già chiesto di uscire?»

«No», risponde con un sospiro sconsolato. Infila le mani tra i capelli castani un po' lunghi, tirandoli indietro, per poi riportarle nelle tasche del suo lungo cappotto nero. Lo guardo, confusa dal cambiamento improvviso del suo stato d'animo, chiedendo ovviamente una spiegazione. «Parlare con quell'adone è stato davvero bello, mi è piaciuto avercelo tutto per me per un po', ma sono certo che io non gli interesso.»

Parla con molta leggerezza, a dimostrazione del fatto che si trattava dell'ennesima cotta superficiale.

«Come lo sai?»

«Quando ho finito di aiutarlo mi ha chiesto se tu fossi impegnata con qualcuno. Sono abbastanza certo che la storia degli archivi fosse solo una scusa per vederti.»

Ci guardiamo: lui con sguardo complice e sorriso sornione; io con le sopracciglia sollevate, scettica.

«Tu gli piaci», asserisce. 

«Non puoi dirlo con certezza.» Scuoto la testa. «Solo perché ti ha chiesto qualcosa sul mio conto, non significa che debba avere un qualche particolare interesse per me. Ci siamo visti solo una volta, tutto quello che sa di me è il mio nome e il mio lavoro, non può bastargli questo per decidere che gli piaccio.»

Tento di farlo ragionare, ma ormai lo conosco troppo bene. Jack è un uomo innamorato del gossip e col tempo ha iniziato a immaginare le nostre vite come storielle scandalistiche. La maggior parte del tempo è divertente, ma certe volte può essere un po' fastidioso.

Le porte dell'ascensore si aprono sull'ampio ingresso dell'edificio. Non c'è nessuno oltre a due uomini della sicurezza che chiacchierano tra loro.

«Non sarebbe la prima volta che succede.» Borbotta il mio amico mentre inizia a camminare verso le porte. Una frase che non capisco sul momento.

Sta dicendo che in altre occasioni ci ha provato con uomini che erano interessati a me? Non me ne ha mai parlato, forse perché fino a tre settimane fa stavo con Travis e non voleva creare problemi. Lo seguo a passo svelto fuori dalle porte di vetro, dirigendoci al parcheggio dietro l'angolo, dove entrambi parcheggiamo sempre.

«Di cosa parli?»

«Non so...forse un certo signor Prismore? O hai dimenticato che ha iniziato a chiederti di uscire appena ti ha vista?»

«Secoli fa», ci tengo a precisare. «Perché lo stai tirando in ballo?»

Mi sento infastidita dal suo nome, ma è una sensazione che non riesco ancora a definire come del tutto negativa. Jack si ferma, guardandomi. Siamo arrivati al punto in cui dovremmo separarci per raggiungere ognuno la propria auto.

«Perché l'ho visto uscire da qui, oggi.» Indica l'imponente edificio che abbiamo appena lasciato alle spalle. Mi guarda con quegli occhi azzurri che esprimono tutta la preoccupazione di uno dei miei più stretti amici. «Quando pensavi di dirmi che vi siete visti di nuovo? Si tratta solo del suo divorzio, vero? Voglio assicurarmi che tu stia bene.»

Alcune domande appaiono nella mia mente, senza riuscire a raggiungere le labbra.

Matt è stato qui?

Perché? Se era qui prima, perché non ha risposto a telefono? 

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top