45. Il momento di Ethan

*** Ethan POV ****

Se c'è una cosa che mi ha sempre creato ansia, sono proprio i matrimoni. Forse sarà per la storia burrascosa che hanno avuto i miei, che inconsciamente mi ha spinto a provare repulsione verso qualunque cosa mi dia la sensazione di rimanere vincolato senza via d'uscita, in ogni caso per me è sempre stato un argomento decisamente ostico da affrontare. Anzi, a dirla tutta, ne sono decisamente contrario. Lo so, sono uno stronzo: me lo dicono in tanti. Ma guardiamo anche l'altra faccia della medaglia: non ci sembra un tantino antiquato – per non dire enormemente squallido – basare il rapporto con un'altra persona su un semplice pezzo di carta?

Non so come ho fatto a dire di sì a Nora. È ovvio che all'epoca avevo un disperato bisogno di certezze, non c'è altra spiegazione. Mettere un freno a quel vortice di eccessi in cui ero precipitato peggio di un randagio, rimettere a posto la mia testa matta. Anche a costo di impormi delle catene. Adesso sorrido al solo pensiero, perché se solo in quel periodo ci fosse stata Anna, probabilmente sarebbe bastato uno schiaffo in piena faccia a raffreddare la mia testa calda. Sono sicuro che me lo avrebbe rifilato senza pensarci due volte, in barba a quello che avrebbe potuto pensare la gente, e avrebbe anche avuto ragione.

Non so con certezza quando ho capito di provare dei sentimenti per lei. Di certo la compagnia non mi mancava, anche senza il contributo di Nora: e ribadisco, sono uno stronzo. Però ogni volta mancava qualcosa, quella bruciante intesa che in qualche modo c'è sempre stata tra di noi. Anna è entrata nella mia vita come un uragano quando eravamo poco più che dei bambini, e da allora è sempre rimasta. Anche in mezzo a delle distanze fisiche apparentemente incolmabili.

Lei mi è mancata in ogni momento, solo che ero troppo ottuso per ammetterlo. E anche se qualcuno potrebbe biasimarmi per essermi improvvisamente innamorato della mia migliore amica, posso affermare con certezza che quel legame ha sempre celato sottopelle qualcosa di più. Ero solo orgoglioso, a quei tempi, e anche un po' spaventato. Tutto per colpa della sopracitata, stramaledetta questione dei legami ovviamente.

E ora eccomi qui, intrappolato proprio in quella squallida vita di provincia da cui ho cercato in ogni modo di fuggire. Tanto per rimanere in tema, mi trovo proprio a un matrimonio. È la cugina di Nora, di sette anni più grande rispetto a noi. Ha sposato un pezzo grosso del paese, tale Enrico Martelli, ultimo erede di tre generazioni di avvocati di successo. Possiede un grosso studio a Roma, città dove si trasferiranno appena rientrati dalla luna di miele in Thailandia. Conosco tutti questi dettagli perché nelle ultime settimane Nora non ha fatto che parlare d'altro.

Sua cugina Beatrice è come una sorella maggiore, per lei. Si è laureata a pieni voti alla Normale di Pisa e ora lavora a tempo pieno come agente letteraria. Nonostante il Covid.

Ecco, se c'è una cosa che mi crea ansia peggio dei matrimoni, sono proprio i discorsi che si affrontano durante i matrimoni. Il mio futuro suocero, in particolare, mi sta addosso come un mastino dall'inizio del ricevimento, che si tiene in uno dei lussuosi hotel che sorgono sulle rive del lago, e anche se per il momento è rimasto in disparte con altri avvoltoi suoi pari, il suo sguardo rapace è perennemente puntato su di me, facendomi chiaramente intuire lo spettro di una serie di discorsi scomodi con cui mi mitraglierà entro la fine della serata.

Dal mio canto, io vorrei solo scomparire. Nonostante il padre della mia fidanzata mi veda come un completo fallito, in realtà il mio viso è più che riconoscibile, e più di una volta vengo fermato dall'invitata di turno per scattare un selfie insieme. La cosa sembra mandare Nora in visibilio, dal momento che non ha perso una sola occasione per esibirmi come un trofeo, e ogni volta mi ritrovavo puntualmente lo sguardo di dissenso di mio suocero puntato addosso come un riflettore sul palcoscenico.

Mi sembra di vivere in uno squallido dramma ottocentesco, e l'unica cosa che voglio veramente in questo momento è filarmela a gambe levate da qui. Di tornare a rifugiarmi sotto la scala di emergenza, quando ancora ero una nullità. Che ne sapevo, a quei tempi, di quale lusso fosse l'essere così insignificanti?

«Ma guarda un po' chi si rivede» commenta una voce sorniona al mio fianco.

Mi volto con aria rassegnata, trovandomi a fronteggiare Vittoria che sorride con i suoi denti candidi. Nonostante porti appena un filo di trucco e indossi un semplice abito blu, sembra spiccare in mezzo alla folla di invitati come se fosse lei la vera protagonista della festa. In fondo, era così anche a scuola: perfettamente a suo agio in ogni situazione, destando l'ammirazione e allo stesso tempo l'invidia di chiunque avesse a che fare con lei.

«Allora, bel tenebroso, che racconti di nuovo?» incalza senza smettere di sorridere.

«Niente che la tua amica non sappia già» rispondo io, ben consapevole che in paese Vittoria incarna in qualche modo gli occhi e le orecchie di Anna.

«Veramente, so ben poco» ribatte lei. «A parte un piccolo incidente a Firenze, ovviamente» aggiunge subito dopo con una strizzatina d'occhio maliziosa che mi fa gelare il sangue nelle vene.

«Parla piano, per favore!» la supplico a denti stretti mentre mi getto intorno occhiate terrorizzate.

In questo momento, Nora sembra apparentemente fuori tiro, intenta a scattare l'ennesimo selfie con sua cugina.

«Smettila di prendere in giro te stesso, e lei» prosegue Vittoria, avvicinandosi in modo tale che solo io possa udirla. «Guardati, Ethan. Sembri un pesce fuor d'acqua, esattamente come lo era Anna prima di prendere la decisione di andare via da qui. Io vi conosco, ormai. Ho vissuto abbastanza a lungo al vostro fianco per capire che tipi siete e vi posso assicurare che non vi vedo proprio a marcire in un luogo come questo, dove tutti vi guardano come se foste atterrati da un pianeta alieno. Lei l'ha capito, Ethan, l'ha accettato molto prima di te; e per quanto mi addolori non vederla più come un tempo, sono contenta che alla fine abbia trovato la sua strada. E tu? Cosa aspetti a fare altrettanto, a scollarti di dosso le macerie di questo luogo che non ti sarà mai veramente riconoscente, anzi, ti tratterà sempre come un ospite e mai come un figlio?»

I suoi occhi color del cielo indugiano per un istante verso Nora, e subito avverto le budella attorcigliarsi nella pancia. Vittoria ha ragione, ha tremendamente ragione. E questo non fa che aumentare a dismisura la sensazione di panico che mi sta divorando ormai da troppo tempo.

«Che cosa devo fare, Vi?» chiedo, quasi supplicando.

«La cosa giusta, ovvio. E non devo essere di certo io a suggerirti quale» risponde lei lapidaria. «Ma sappi solo una cosa: se oserai far soffrire Anna come in passato, questa volta non ti libererai di me tanto facilmente. Mi sono spiegata?»

Faccio per risponderle, quando improvvisamente mi paralizzo come se avessi appena visto un fantasma. Anche Vittoria sembra fiutare il pericolo, perché subito il suo sorriso si congela lungo le labbra lucide, la postura che si fa tesa e guardinga. Potrei riconoscere Saverio in qualunque situazione, persino ora che ha molti meno capelli di un tempo e una folta barba rossiccia curata secondo i dettami dell'ultima moda maschile. L'odore pungente dell'acqua di colonia si espande a onde intorno a lui, sovrastando il vago aroma di nicotina che nasconde al disotto. Si fa largo tra gli invitati sorridendo e stringendo la mano a tutti nonostante i tempi non siano proprio a favore delle relazioni sociali, un sorriso da bravo ragazzo che però non basta a cancellare il dolore bruciante delle sue nocche parcheggiate sugli incisivi che ancora riecheggia nella mia memoria. Ci sono anche Marco e Luca, i suoi fedeli cani da guardia tirati a lucido a loro volta, ma non c'è traccia di Giada: evidentemente, la lupa del branco ha infine optato per un cammino diverso, dal momento che l'unica cosa che aveva in comune con loro era l'irrefrenabile istinto di prendere a pugni qualsiasi cosa si dimostrasse inadeguatamente delicata per i suoi gusti.

Vittoria percepisce il brivido di terrore che mi ha appena percorso la schiena, e subito i suoi occhi cercano i miei.

«Parla con me» sussurra. «Fingi di essere naturale.»

Io annuisco, ma intanto è come se ogni singola terminazione nervosa fosse improvvisamente paralizzata. Mi scappa da ridere: proprio io che sono un attore mi trovo incapace di fingere di fronte all'incubo mai sopito dei bulli della scuola.

Cerco di rendermi invisibile, una macchia scura in mezzo a una folla di invitati, ma l'incantesimo non funziona e in un attimo finisco accerchiato dal branco. Di nuovo.

«Ma guarda un po' chi si rivede!» esclama Saverio, spalancando le braccia come si trovasse di fronte a un vecchio amico, e non al suo punching-ball preferito di quando andava alle medie. «O meglio, in realtà ti abbiamo visto in giro un bel po' di volte, tra una serie tv e l'altra.»

«Saverio» mi limito a rispondere con un sorriso tirato, la vista che di colpo pare de frammentarsi in tante lucciole colorate. «Come mai qui?»

«Amico dello sposo» risponde lui strizzando un occhio. «E tu?»

«Amico della sposa» faccio io laconico. La parola 'fidanzato di qualcuno' non mi sfiora nemmeno l'anticamera del cervello.

«Non sapevo che fossi nel gruppo di Beatrice» continua lui.

«Infatti sono rimasto una persona molto discreta» mi stringo nelle spalle, sperando che quel vecchio lupo si allontani il prima possibile.

Vittoria deve aver intuito il montare del mio disagio, perché subito afferra le redini della conversazione.

«Ti vedo bene, Saverio» attacca. «Che stai facendo di bello?»

«Ho appena concluso un master in Economia alla Cattolica. E intanto mi hanno preso per uno stage presso una grossa filiale» risponde lui.

«Ma pensa un po'» commenta Vittoria con un sorriso delizioso.

«E tu?»

«Lavoro a contratto come architetto. E da un mese circa sto collaborando con la madre di Ethan per progettare alcuni interni di lusso qui in paese. Sai, per quel nuovo resort che stanno costruendo in riva al lago...»

«Mia madre non mi ha detto nulla!» intervengo io, forse un po' troppo precipitosamente.

«Te lo stavo per dire, ma poi siamo stati interrotti» ribatte lei.

«E tu, Ethan, a quando l'Oscar?» torna alla carica Saverio.

«Veramente, al momento sono disoccupato» rispondo io, incapace di sparare una balla abbastanza credibile. Anche perché, per quanto le mie doti attoriali possano venirmi incontro, basterebbero quattro chiacchiere con Nora per far crollare l'intero palcoscenico. «Sai, con il Covid hanno bloccato un po' tutto...»

«Capisco. Be', dai, non demordere: vedrai che prima o poi qualcosa salterà fuori» giuro che il suo sguardo di circostanza fa più male di qualsiasi pugno mi abbia mai rifilato in giro per il corpo. «E ditemi un po', vi sentite ancora con Martinello?»

L'udire pronunciare il cognome di Anna dalla sua bocca falsamente bonaria scatena come un fuoco improvviso nelle mie viscere.

«Certo» risponde Vittoria prima che possa compromettermi in qualche modo. «Ormai sono due anni che vive a Bologna. Ha iniziato a lavorare come istruttrice di equitazione.»

«Chissà perché non sono sorpreso» il sorriso di Saverio si allarga ancora di più, e di colpo mi accorgo di avere le nocche serrate.

«Che male c'è?» mi trovo a rispondere prima ancora di riuscire a tenere a freno la lingua, lasciando sgorgare tutta la bile che sto cercando di trattenere da diversi minuti. «Non solo è la sua passione, è anche portata per questo.»

«Ehi, ehi, non ti scaldare tanto! Non volevo di certo offendere la tua bella» si precipita a rimediare lui.

«Di che cosa state parlando?»

Di colpo, avverto il pavimento spalancarsi sotto ai miei piedi come la botola di un condannato all'impiccagione. Nora è appena comparsa alle mie spalle, tenendosi a braccetto con Beatrice.

«State parlando di me?» incalza, scoccandomi un'occhiata severa.

Noto con la coda dell'occhio Vittoria affondare il muso nel suo calice di prosecco, cercando invano di nascondere le risate. Mi manca l'aria, giuro che sto per mettermi a urlare.

«No, cara, non stavamo parlando di te» ribatto freddamente. Forse un po' troppo.

«Ops!»

Dall'espressione sfoggiata da Saverio in questo momento, nutro seri dubbi che si senta imbarazzato per aver appena scatenato l'apocalisse. I miei occhi galleggiano sulle figure dai colori confetto di Nora e Beatrice, per poi tornare a sondare l'espressione di polistirolo di Saverio, venendo investito da tutta la loro muta ipocrisia, e improvvisamente il castello di carte prende a vacillare pericolosamente, sempre di più, e quella maledetta stanza ora appare più soffocante che mai, mi manca l'aria...

E, in mezzo a quel labirinto di specchi, ho come un flash. Un ricordo. Un raggio di luce in mezzo a una notte vuota.

Siamo io e Anna, da soli in sella ai nostri destrieri. È la giornata più calda dell'estate, e noi abbiamo ancora quindici anni. Avanziamo affiancati nel grande prato che costeggia il retro del ranch, tuffandoci nel tramonto. Improvvisamente, lei si volta verso di me, il suo sorriso raggiante è la cosa più bella che abbia mai visto.

«Volata fino a casa?» chiede.

In un attimo, siamo lanciati al galoppo nella grande distesa verde, gli zoccoli che sfiorano appena il terreno, il vento che ci schiaffeggia il viso. Per un istante, io rimango nella retrovia: il galoppo di Colombo non riesce a tenere testa allo sprint da reiner di Whisky. Mi concentro al massimo, sollevandomi sull'inforcatura e spingendo il mio cavallo a correre più forte.

E di colpo siamo appaiati, testa contro testa, i cavalli che sbuffano nella competizione. Lei si volta verso di me e mi sorride. È un'espressione di pura gioia e di complicità. Così diversa da quando siamo lontani da quell'angolo di paradiso.

Le sue dita si tendono verso di me in un silenzioso invito, continuando a galoppare tenendo con destrezza le redini in una sola mano.

Io le sorrido a mia volta, allungando la mia mano verso di lei. Le nostre dita si sfiorano e poi, finalmente, si uniscono. È il contatto più bello che abbia mai ricevuto, e un senso di libertà irrefrenabile mi irradia i polmoni. Siamo solo noi due, sospesi fra cielo e terra. Siamo liberi. Veloci. Leggeri. Senza alcuna catena a imprigionarci, a impedirci di essere noi stessi. Proprio come il vento.

Chiudo gli occhi, desiderando che questo istante duri per sempre.

«Io devo partire.»

Le parole mi sfuggono dalle labbra e colpiscono il bersaglio con la potenza di uno sparo.

«Come, prego?»

Nora mi fissa come se fossi impazzito, e io mi schermisco con una semplice scrollata di spalle.

«Mi dispiace tanto» ribatto. «Ma temo che tu meriti molto di più di un semplice attore disoccupato.»

Detto questo, prima ancora che la mia ormai ex fidanzata si riprenda dallo shock, mi dileguo dalla sala e mi precipito nel parcheggio del ristorante, riprendendo possesso della mia auto e lanciandomi subito in strada. Fa un caldo infernale e provo immediatamente l'impulso di slacciarmi il colletto della camicia per prendere aria. Ho l'adrenalina a mille, il cuore sembra sul punto di sfondarmi la cassa toracica. Provo l'irrefrenabile impulso di mettermi a ridere, e allo stesso tempo di vomitare. Spero solo di non essere sul punto di avere un infarto, prospettiva non del tutto impossibile vista la carica di stress accumulato negli ultimi tempi.

Afferro il cellulare con le dita tremanti e compongo il numero di mia sorella.

«Ciao, Zoe» dico prima ancora di darle il tempo di rispondere. «Ascolta, non aspettatemi alzate. Sto andando a Bologna e credo che starò via per un po'...»

Cala un istante di silenzio carico di interrogativi; poi, semplicemente, la sento rispondere: «Va bene. Vai piano, fratellino.»

«Ti faccio sapere quando arrivo, okay?»

«Va bene.»

Riaggancio, rilassandomi sullo schienale dell'auto. Lei lo sapeva. Lo ha sempre saputo, come del resto molti altri. Ora tocca a me sistemare le cose.


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