40. La scelta

Finalmente, il giorno della discussione della tesi è arrivato. È successo una mattina di giugno, da remoto, in una seduta intima quanto spoglia. Non avrei potuto chiedere di meglio: dopo tutto quello che è accaduto, l'ultima cosa che voglio è sostenere l'esame finale con i parenti che mi alitano sul collo, con l'implicita certezza che comunque vada il risultato resterà comunque al disotto delle loro aspettative.

La discussione va bene, in fondo ho fatto un buon lavoro, ma il voto finale si ferma a 109. Ho infatti due voti bassi in storia medievale e letteratura greca, che purtroppo hanno macchiato irrimediabilmente la mia media.

La sera festeggio con un aperitivo insieme al gruppo del maneggio, dopo aver montato insieme come sempre. L'aria è calda e caliginosa, la compagnia la migliore del mondo, e in tutta sincerità vorrei che questa serata non finisse mai.

In queste ultime settimane, Coco è stato letteralmente al centro di ogni mio pensiero, università compresa. È a lui che sto dedicando tutte le mie energie, lottando ogni giorno per spezzare quella catena di paura che altro non è stato il suo addestramento precedente per far emergere finalmente il cavallo nascosto dentro di lui, l'animo nobile e allo stesso tempo mite che di tanto in tanto si intravede al di là del suo sguardo ferito. E, in qualche modo, prendermi cura di lui sta aiutando anche me a risalire lungo il tunnel. È come se ci stessimo guarendo a vicenda, ascoltando i nostri reciproci silenzi dopo che le persone che amavamo hanno fatto di tutto per spezzarci e soggiogarci.

Sapere che c'è Coco ha cambiato profondamente la mia vita, anche se so che non è completamente mio. Non ancora, perlomeno. Ogni tanto ci penso, a prenderlo con me, e a quella folle idea avverto un brivido di eccitazione percorrermi la schiena. Perché so benissimo che, qualora intraprendessi quella strada, per me non ci sarebbe più modo di tornare indietro. Sarei un'altra persona, a prescindere da ogni piano che la mia famiglia si era fatta su di me. Con il rischio terrificante di essere felice.

Sì, Coco mi rende felice, pur se la paura di cavalcarlo ancora mi coglie di sorpresa e affronto il galoppo con timida titubanza, conscia che unirci è solo quella semplice corda azzurra che ha come redini. Ma io mi fido di lui e lui si fida di me, e per quanto possa correre forte posso affermare con certezza che in queste settimane non ha mai tentato di tradirmi. Dal canto suo, Stella sembra avere grandi progetti per noi due, e il fatto di aver trovato finalmente qualcuno che crede in me mi ha caricato di timide speranze.

Ma per ora sono costretta a rimanere con i piedi per terra, o almeno stringere i denti ancora per qualche giorno prima di dedicarmi a ciò che voglio veramente nel mio futuro, senza più il giogo dell'università a trascinarmi giù. Purtroppo, se per la discussione sono riuscita a salvarmi, lo stesso non si può dire della festa di laurea. I miei genitori non hanno voluto sentire ragioni, specie ora che i confini regionali sono di nuovo aperti. Per quanto possa sembrare brutto, non ho alcuna voglia di rivederli, o semplicemente di ritornare al paese.

Anche se questi anni bolognesi sono stati duri e solitari, sento comunque di aver costruito qualcosa e di stare facendo a piccoli passi dei progetti concreti, staccandomi dal peso delle radici ormai secche per diventare qualcosa di completamente nuovo, che tra l'altro mi piace da matti. Laggiù, invece, ho lasciato indietro l'esuvia della ragazzina scontrosa e impacciata che sono stata un tempo, che in quel luogo morto vivrà la sua gloriosa eternità alimentata da tutti coloro che ho lasciato indietro. Compreso Ethan, che ora è tornato a vivere lì e renderebbe il mio ritorno doloroso come il riaprirsi improvviso di una mia vecchia ferita infetta. Non voglio, ma devo farlo. Ora più che mai, quel capitolo va chiuso una volta per tutte.

I miei genitori hanno organizzato tutto, come loro solito, dalla festa all'acquisto dei biglietti del treno. Lascio di malavoglia il mio appartamento bolognese, così angusto eppure così vissuto, così disordinatamente mio, per rituffarmi nuovamente tra le ceneri del passato.

Il paese è esattamente come l'ho lasciato, solo che rispetto all'ultima volta sembra svanito anche l'ultimo velo di malinconica nostalgia che mi invogliava a tornare. Tutto mi sembra immobile, sotto l'impietosa luce ocra del sole estivo. Le facciate delle palazzine anni sessanta. La squallida stazione ferroviaria con le aiuole rinsecchite da anni, ormai piene di cartacce. Il lento sbuffare del bus navetta sull'asfalto rovente.

Attraverso la cittadina con il mio fedele trolley come unica compagnia, e quasi mi sembra di essere appena atterrata da un altro pianeta. Sento di essere diversa, in qualche modo, dallo sguardo al modo di vestire; e subito un'improvvisa morsa di disagio mi assale, quasi avessi il timore di sembrare troppo appariscente, di attirare in qualche modo quegli sguardi che un tempo erano stati la mia condanna.

Appena arrivata a casa, mi libero dagli shorts e dalla maglia bianca per sostituirli con qualcosa di meno vistoso. Per la festa ho scelto un semplice vestito a fiori, di quelli che piacciono tanto a mia madre, e ho raccolto i capelli in una coda alta. Il mio aspetto ricorda spaventosamente quello di una donna nelle vesti di una ragazzina che si ostina a non crescere, ma il mio outfit sembra destare decisamente meno scalpore rispetto agli shorts sopra il ginocchio che avevo al momento del mio arrivo.

La festa è stata organizzata a "La Cascina", un ristorante che si affaccia direttamente sul lago. Sinceramente avrei preferito di gran lunga qualcosa di più semplice, ma anche Cassie ha festeggiato qui la sua laurea e a quanto pare io non posso essere da meno. A causa della pandemia, la lista degli invitati è molto ristretta: ci sono solo i miei genitori, gli zii e Cassandra. Vittoria e Cornelia non sono state neanche prese in considerazione in quanto esterne alla famiglia (lo so, è una follia) e per questo conto di rivederle separatamente non appena i miei mi lasceranno respirare un attimo.

Neanche Ethan è stato invitato, e per fortuna: l'ultima cosa che voglio è vederlo sistemato e realizzato di fronte a me, ancora in lotta con i sentimenti brucianti verso di lui.

In breve mi trovo accerchiata dai parenti, e subito mi monta il panico. Cassandra è bellissima come sempre. Ci somigliamo molto, ma lei è sempre stata più bella e spigliata di me. E, ora che la vedo mano nella mano con il suo compagno, mi sembra anche più adulta. Ha tagliato i capelli ricci in un grazioso caschetto e con quell'abito color crema sembra appena uscita dalla copertina di una rivista di alta moda.

«Allora, come vanno le gare?» le chiedo nel momento in cui riusciamo finalmente a scambiare due parole.

Lei arrossisce vistosamente, e una strana luce le attraversa il viso.

«Non te l'hanno detto, vero?» chiede. «Aspetto un bambino, Anna. Sono ormai al secondo mese.»

Quella notizia arriva come un fulmine a ciel sereno.

«Davvero?» chiedo incredula.

«Sì» Cassie arrossisce ancora di più, gli occhi che brillano di un'irresistibile felicità. «A dire il vero, è stata una cosa abbastanza improvvisa, che avremmo voluto mettere in conto più in là. Però, be', è successo ed ora eccoci qua.»

«Wow! E gli zii lo sanno?»

«Certo che lo sanno, anche se per poco a mio padre non gli prende un colpo» scoppiamo entrambe a ridere al pensiero di zio Cristiano di fronte a una simile notizia, visto quanto è attaccato a mia cugina. «Però capisci che, col bambino in arrivo, ho dovuto fare una scelta. Anche tenendo presenti i rischi che comporta il nostro sport, gli impegni lavorativi e anche quelli di famiglia.»

«Insomma, hai chiuso con i cavalli?»

Cassandra si stringe nelle spalle. «Diciamo che è arrivato il momento di mettere la testa a posto» risponde semplicemente. «Dopotutto, ogni cosa ha il suo tempo.»

«Certo, certo.» Perché tutto a un tratto avverto una fastidiosa stretta allo stomaco? «E la tua cavalla?»

«L'ho data a una ragazzina che montava con me ed era alla ricerca di un cavallino con cui progredire nelle gare» spiega Cassie. «Starà bene, non preoccuparti.»

«Ma infatti sono tranquilla» la rassicuro io, anche se sto cercando di ignorare un'antica frecciatina di mia madre che in questo momento è tornata a bruciarmi nella memoria. "Ti preoccupi di più per i cavalli che per i cristiani."

«Ascolta, Anna» prosegue Cassandra improvvisamente, riportandomi alla realtà. «Mi dispiace molto per quello che è successo al ranch, davvero. Io credo che avresti avuto il diritto di saperlo.»

«Va tutto bene, Cassie, sul serio. In fondo, era logico che passasse tutto allo zio. È il primogenito e anche l'unico che avesse avuto un minimo di interesse verso quel posto. Che poi l'abbia trasformato in un lotto edificabile è un'altra storia, del resto era terra sua.»

«Il ranch era condannato ben prima della morte del nonno. Negli ultimi anni della sua vita, aveva accumulato una quantità esorbitante di debiti per il mantenimento dei cavalli. Quando papà ha rilevato il terreno, non ha avuto altra scelta» spiega lei. «Credimi, lui per primo ha fatto di tutto per salvarlo. Non hai idea di quanto ha pianto quando ha deciso di vendere.»

Io ascolto incredula, il cuore che di colpo ha mancato più di qualche battito. Per quanto fossi già adulta all'epoca dei fatti, sulla questione del ranch non avevo ricevuto altro che le parole cariche d'odio di mia madre durante tutta l'accesa faida con il fratello. Mio zio Cristiano era stato tacciato di essersi incassato l'intera eredità per poi pisciarci sopra, salvo poi scoprire che probabilmente quel lascito non era mai esistito.

«Non avreste ricevuto nient'altro che una montagna di debiti» prosegue Cassie, quasi indovinando i miei pensieri. «Con la vendita del ranch, papà ha in qualche modo salvato la famiglia. Volevo che lo sapessi, perché posso solo immaginare quanto tu abbia sofferto in questi anni, e quanto la verità sia stata nascosta o travisata da tua madre.»

La rivalità tra mia madre e mio zio era qualcosa che andava avanti da una vita intera, complice la loro estrema diversità e il loro forte attaccamento all'uno o all'altro genitore. Al pari di mia nonna, mia madre aveva sempre nutrito una forte avversione verso i cavalli e trovava inconcepibile che una persona potesse sprecare tanto tempo e soldi per degli animali così grossi e pericolosi. Aveva sempre accusato il nonno di aver trascurato sia lei che la nonna, e quando quest'ultima si era ammalata era come se si fosse segretamente convinta che lui non avesse fatto abbastanza per permetterle di curarsi e, forse, sopravvivere.

Inutile dire che i rapporti con mia madre sono stati sempre molto tesi, specie da quando ha capito che in me palpitava la stessa odiosa passione che le aveva impedito di avere un vero padre e che ora si era letteralmente annidata nel suo grembo. Era più di quanto potesse sopportare, e la capisco.

«Grazie per avermelo detto, Cassie» dico a quel punto, e nel frattempo ho come l'impressione di essermi appena levata un macigno dal cuore. «Ora ho più di un motivo per non tornare qui.»

«Mi dispiace tanto, Anna» risponde lei, l'espressione del volto visibilmente dispiaciuta, ma ormai è tardi. «Avremmo potuto essere una famiglia felice. E unita.»

«Ma è andata così. Pazienza» mi stringo nelle spalle, rivolgendole un sorriso sincero. È tutto quello che riesco a restituirle, dopo quasi trent'anni di rabbia, di bugie e di frustrazioni.

E ora più che mai mi rendo conto di quanto tossico sia questo posto, e di quanto sia vitale per me andarmene il più lontano possibile senza voltarmi indietro. Devo solo arrivare viva alla fine di questa maledetta serata.

Inizia la cena, un trionfo di portate tra antipasti, primo, secondo, dessert, caffè e sorbetti al limone. Per tutto il tempo avrò detto sì e no tre parole in fila, soffocata dalla parlantina incessante di mio padre e di mio zio, conversando di tutt'altro meno che di quello che ho fatto negli ultimi mesi. In fin dei conti, tra un lavoro indecoroso e lo scandalo con il mio ex, faccio meglio a starmene zitta per conservare almeno la dignità.

Dopo un lungo panegirico storico, politico e culturale incentrato sulla questione Covid e di come la politica degli ultimi decenni abbia rovinato il paese, finalmente si decidono ad affondare il colpo.

«Allora, adesso si pensa al dottorato?» chiede mio padre improvvisamente, volgendosi verso di me.

Soffoco un paio di colpi di tosse, rischiando di soffocarmi con il sorbetto appena servito. Ero pronta a quella domanda, ma non all'infame risposta con cui avrei dovuto ribattere.

«Non lo so» mormoro, decisa a prendere tempo. «Al momento avrei solo bisogno di fare chiarezza. Aspettare l'estate, e intanto iniziare a cercarmi un lavoro, prima ancora di intraprendere un nuovo percorso di studi.»

«Cosa stai cercando di dire? Che vuoi interrompere l'università dopo tutta la fatica che hai fatto?»

A quella notizia, mio padre diventa improvvisamente color prugna, com'era prevedibile del resto.

«A dire il vero, mi sono appena laureata» metto subito in chiaro io. «E poi, inizio ad avere una certa età per il mercato lavorativo. Temo che proseguire negli studi mi faccia solo perdere tempo.»

«Stai scherzando, vero? E per fare cosa, poi?»

Ecco, ci siamo. Quel momento che ho aspettato e temuto per tutta la vita è infine giunto. Avverto gli occhi di tutti fissi su di me, l'attesa che ormai si è trasformata in un'autentica agonia.

«Io voglio lavorare con i cavalli» sputo fuori finalmente. «Ho capito che quello è il mio posto, ed è ciò che so fare bene. Voglio dedicarmici seriamente e trasformarlo in un lavoro vero e proprio, in modo tale da non dover dipendere più da voi. E voglio farlo su al Nord, dove ci sono più possibilità e centri più grandi.»

Buio, sipario. Un silenzio di tomba cala improvvisamente sull'intera tavolata, simile alla cupa frazione che separa il fulmine dal tuono in mezzo a una tempesta. Poi l'esplosione.

«Ci stai dicendo che vuoi buttare all'aria anni e anni di studi per lavorare con degli animali?» sbotta mio padre, e io prego che non sia sul punto di avere un infarto.

«Precisamente» rispondo, nella speranza di apparire più ferma possibile. «In questi anni ho provato più volte a cercare strade alternative, ma non ha funzionato. Ho portato avanti gli studi per non darvi un dispiacere, ma ora basta così. Sono abbastanza grande per decidere, e questa è la mia strada. Mi dispiace.»

Avverto l'odio e la perplessità bruciare su di me, ma cerco di non farmi sopraffare dai sensi di colpa che mi stanno arpionando implacabili. Mia madre sembra sul punto di mettersi a piangere, mentre mio padre sta visibilmente lottando per mantenere un minimo di contegno. Sono sicura che, se solo non fossimo in pubblico, mi sarei già presa due schiaffi in piena faccia.

«Vi prego di non prenderlo come un semplice capriccio da parte mia, ci ho pensato parecchio in questi mesi, soprattutto durante il lockdown» mi affretto a precisare. «La situazione è quella che è, e con una laurea in lettere la vedo veramente dura trovare un lavoro ben retribuito in un momento in cui l'economia mondiale è letteralmente paralizzata. E di certo non voglio pesare su di voi per i prossimi anni. Questo è il mio primo obiettivo, a prescindere da quello che farò: diventare indipendente.»

«Ma tu non pesi su di noi! Ti avremmo aiutata in ogni caso, se ciò fosse servito a farti acquisire un titolo di studio in più» interviene mia madre. Il suo tono patetico mi dà letteralmente la nausea.

«Ah, sì?» ribatto prontamente. «Ma come, se fino a Natale scorso non facevate altro che rinfacciarmi quanto fossi in ritardo con gli esami e quanto gravoso fosse mantenermi!»

«Ci stai dando dei morti di fame, quando negli ultimi anni non hai fatto altro che perdere tempo sulle nostre spalle, a partire da quel delinquente del tuo ex fidanzato?» latra mio padre a quel punto.

«Ma intanto ho anche studiato e lavorato, e mi pare che sia riuscita ad andare avanti benissimo senza di lui» rispondo asciutta.

Mia madre spalanca la bocca per rispondere, e per un attimo sono convinta che sia sul punto di mettermi veramente le mani addosso, quando improvvisamente mio padre si frappone tra noi.

«Molto bene» dice con un tono improvvisamente freddo, che terrorizzerebbe il diavolo in persona. «Se finalmente hai deciso di andare via di casa, nessuno te lo impedisce: come hai detto tu stessa, sei grande abbastanza per decidere da sola. Ma, in quel caso, devi essere anche pronta a subirne le conseguenze. Finora abbiamo avuto un progetto insieme, che siamo stati lieti di finanziarti. Questa invece è una scelta tua. Può andare bene come può anche fallire. Perciò ti do tre mesi, non uno di più, per trovare un lavoro decoroso e sistemarti come si deve. E dovrai fare tutto da sola, io e tua madre non sganceremo un solo centesimo. Se ce la farai, noi ne saremo ben contenti. Ma dovessi fallire, allora dovrai tornare qui e fare domanda di dottorato all'università più vicina. Affare fatto?»

Lo fisso con il cuore che sta per esplodermi in mille pezzi, consapevole che sto per giocarmi tutto in un istante. Da una parte la vita sgangherata ma felice che mi sto faticosamente costruendo in mezzo ai cavalli, dall'altra un destino scrupolosamente programmato da altri. So già cosa voglio, devo solo fare un passo in avanti per raggiungerlo.

«Affare fatto» rispondo con decisione.

Le mie parole hanno come l'effetto di un incantesimo in cui tutto il mio mondo che mi aveva circondato fino a quel momento sembra andare in mille pezzi. Mi manca il respiro e per una frazione di secondo l'intera stanza prende a galleggiare intorno a me, l'unico punto di fermo sono gli sguardi per metà accondiscendenti e per metà giudicanti dei parenti, il sorriso tirato di mio padre che mi tiene inchiodata allo schienale della sedia come se stesse per pronunciare la sentenza del mio inesorabile fallimento.

Poi i miei occhi si posano casualmente in quelli neri di Ethan, in piedi all'ingresso della sala.


Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top