4. Chiarimenti

Resto per un attimo come congelata, chiedendomi se tutto questo sta accadendo davvero, e allo stesso tempo non desiderando altro che sparire nel nulla. Ethan sembra dello stesso avviso. Anche lui è rimasto immobile di fronte a me, i suoi occhi neri sono un enigma di emozioni come al solito. Mi sento avvampare come un'adolescente, e provo vergogna per questo, eppure dentro di me provo un'emozione senza fine nel rivederlo dopo tanto tempo. E, adesso come allora, mi rendo conto di quanto siamo simili, ricordandomi come ai tempi fingevamo di essere fratelli, per quante cose in comune avevamo.

Ma ora che cosa è rimasto, in fondo?

«Ciao» mormoro in preda all'imbarazzo, la mano ancora sospesa a mezz'aria con il bicchiere vuoto in mano.

La mia voce sembra spezzare un incantesimo, al quale Ethan reagisce con uno dei suoi incredibili sorrisi, i suoi occhi che di colpo sembrano riprendere vita.

«Ciao», mi saluta a sua volta. «Come stai?»

«Bene, bene. Tu?»

Voglio troncare quella conversazione il prima possibile e filarmela con tanto di bandiera bianca prima di combinare qualche danno irreversibile.

«Non c'è male» commenta lui, stringendosi nelle spalle. «Non mi aspettavo di trovarti qui.»

«Sono amica di Vittoria da una vita, cosa ti aspetti?» mi schermisco io, abbozzando un sorriso. «Tu, piuttosto, cosa ci fai qui?»

«Nora, la mia fidanzata, ha seguito l'ultimo anno di università con Vittoria» spiega lui.

«Ah», spero solo di non essere risultata troppo poco entusiasta per quella notizia. «Che coincidenza, davvero.»

«Già. In fondo, il mondo è piccolo.»

«Quando si parla di qui, anche troppo.»

Lui scoppia a ridere, e io fatico a stargli dietro. Miseria nera, voglio andare a casa!

«Ti stavi prendendo l'acqua, giusto?» aggiunge subito dopo.

«Sì, ma...»

Prima ancora che abbia il tempo di fermarlo, lui mi ha già riempito il bicchiere, servendosi a sua volta. Quel gesto insensato mi lascia per un attimo interdetta; ma poi mi ricordo subito dopo che è tipico di Ethan, lo sganciare atti di gentilezza a caso, neanche fosse uscito dalla brutta copia di un romanzo di Jane Austen.

«Grazie, non dovevi» borbotto.

«Ma figurati. Sempre dopo di te.»

«Thank you, my lord.»

A quelle parole, per quanto volontariamente ironiche, lui scoppia a ridere un'altra volta.

«E dai, non ti vedo da almeno otto anni, concedimelo un pizzico di galanteria» sogghigna.

«Attento, o la tua fidanzata potrebbe ingelosirsi» lo avverto in tono pungente.

«Tranquilla, tutto sotto controllo» mi rassicura lui.

«Lo spero per te.»

Vuoto il bicchiere con due profonde sorsate, poi faccio per allontanarmi.

«È stato un piacere» mi congedo, decisa a mettere nuovamente più terreno possibile tra me e lui. «Ci vediamo!»

So che Ethan sta per aggiungere qualcos'altro – lo sento formicolare dietro la nuca – ma non voglio sentire, non posso proprio permetterlo. Ho giurato, tanti anni fa, che lo avrei lasciato andare. Era la cosa più giusta da fare, in fondo, e ora lui non può ricomparirmi davanti dal nulla e confondermi le idee.

Avverto le farfalle nello stomaco – di nuovo quelle maledette farfalle nello stomaco! – e allungo istintivamente il passo verso la porta. Devo andarmene da lì, devo tornare a casa e magari fare un colpo di telefono a Fede, anche se so che non mi risponderà, probabilmente è uscito con il gruppo, la Sofy stava programmando una serata in disco.

Al solo pensiero di sapere il mio ragazzo da solo con quella compagnia, in mezzo a un locale pieno di gente sconosciuta, magari con qualche bicchiere di troppo visto che non ci sono io a controllare, mi assale subito un insopportabile sensazione di vertigini.

Lo so, non dovrei essere in pena per lui, sono stata io la prima ad aver voluto passare l'ultimo dell'anno da sola, ma allora perché di colpo sono così agitata?

"Tranquilla, Federico non è tipo da fare certe cose, e poi non è da solo. C'è anche Sofia con lui".

Appunto, sogghigna una vocina maligna nella mia testa, aumentando ancora di più il mio senso di vertigine.

Entrambi single, entrambi soli. In disco.

Ma no, dai! Che cosa vado a pensare? Fede sta con me da molto tempo ormai, siamo una coppia affiatata, stiamo addirittura parlando di andare a convivere con il nuovo anno. E Sofia, be', io e lei siamo comunque amiche, quasi due sorelle per certi versi. Lei non farebbe mai una cosa del genere, non a me, perlomeno. Anzi, dovrei sentirmi tranquilla che perlomeno c'è lei, a vegliare su di lui mentre sono via.

Sempre se non è già crollata sbronza con la faccia su un tavolo, ovviamente, torna subito alla carica la mia coscienza.

«Tutto bene?»

Per poco non vado a sbattere contro Vi, che mi fissa con un'aria a dir poco preoccupata.

«Niente, solo un calo di zuccheri» mi schermisco io.

«Ovvero, sei in preda a una crisi di panico» conclude la mia amica, indovinando subito il mio linguaggio in codice. «Facciamo due passi, che ne dici?»

Io annuisco, ora più che mai capisco che la cosa migliore da fare è parlare con qualcuno di cui mi fido. Dopotutto, quando avrò di nuovo l'occasione per confidarmi nuovamente con Vi?

Torniamo all'esterno – questa volta mi sono premurata di recuperare il cappotto – e ci sediamo ancora una volta sul bordo della piscina, respirando finalmente un po' d'aria fresca.

«Allora,» esordisce Vittoria «ho notato che vi siete parlati.»

«Prego?»

«Dai, non fare sempre quella che cade dalle nubi! Sto parlando di te ed Ethan. Vi ho visti mentre vi parlavate.»

«Ah.»

Abbasso gli occhi, lottando contro le orecchie che mi ronzano. Dio, quanto mi sento ridicola!

«Ci siamo giusto salutati, niente di che» faccio in tutta risposta.

«E come ti senti a riguardo?»

Lo sguardo con cui Vi mi sta studiando attraverso i suoi occhi verdi lascia spazio a ben poche interpretazioni. È preoccupata per me, si vede.

«Mah, ha cambiato fidanzata. Sta con una tua amica, giusto?»

«Nora, esatto» conferma Vittoria. «Mah, amica. Abbiamo frequentato l'ultimo anno di università insieme e di tanto in tanto usciamo con la stessa compagnia, ma definirla un'amica è una parola un po' grossa, se permetti.»

«Però l'hai invitata lo stesso.»

«Ha chiesto di fare praticantato nello studio di mio padre. È una ragazza brillante, in fondo. Non potevo certo lasciarla fuori.»

«E sapevi che stesse con Ethan?»

«Per la verità, no. Mi aveva detto di avere un ragazzo da ormai due anni, che viveva all'estero. È molto riservata su questo, e conoscendo la carriera di Ethan posso capirla. Perciò, quando ho saputo che lui era rientrato per le Feste, ho pensato bene di estendere l'invito, anche per conoscerlo. Di certo non mi aspettavo nemmeno io che fosse lui, altrimenti ti avrei avvertita.»

«Bella fregatura, vero?»

«Già. Però, dai, almeno mi sembrate tranquilli.»

«Finché stiamo a distanza di sicurezza, sì.»

Avverto di nuovo lo sguardo indagatore di Vi su di me, e capisco che non se l'è bevuta. C'è dell'altro.

«Provi ancora qualcosa per lui?» chiede subito, arrivando dritta al punto dove mi fa più male.

«Io? Ma che dici? Sono fidanzata, lo sai!»

«Non significa niente.»

«Sì, invece. E, comunque, tra me e lui la partita è chiusa. Io sto con Fede, lui con Nora. O con chiunque altra nei prossimi sei mesi. Fine.»

«Come vuoi.»

Restiamo per un attimo in silenzio, io che fingo di osservare i mille riflessi creati dalle luci a led sotto la superficie della piscina, Vi che continua a fissarmi con il suo sguardo di ghiaccio.

«Si sposeranno» dice a un certo punto.

«Chi?»

Avverto un'improvvisa stretta allo stomaco, come se avessi ingoiato un mattone.

«Ethan e Nora. Me l'hanno detto poco fa. Lui è venuto giù per i preparativi ufficiali. La cerimonia è a giugno, il ventisei hanno festeggiato il fidanzamento» spiega Vittoria.

«Ah.»

Non so perché, ma spero tanto di non essere tra gli invitati.

«Almeno lei è una brava ragazza?» chiedo, tanto per colmare il vuoto.

«Per quel tanto che la conosco, direi proprio di sì. Mi sembrano una bella coppia, sono tanto carini insieme.»

«Allora a posto.»

«E tu?»

Mi volto verso di lei, cercando di non apparire troppo scocciata da quel suo incalzare di domande.

«Come va con Federico?» continua Vi.

«Tutto bene. Mi pareva di avertelo detto» rispondo, laconica.

«Però non è qui» osserva lei.

«Aveva da fare» taglio corto io.

Vittoria estrae il cellulare dalla borsetta, prendendo a trafficare con la tastiera. Dopo pochi attimi, mi accorgo che è entrata su Instagram. Mi allunga l'apparecchio, mostrandomi una storia. È Fede, insieme alla nostra compagnia bolognese. Sofia è al suo fianco, gli cinge le spalle con un braccio. Accanto a lui, appare di gran lunga più minuta di quanto non sia in realtà. Ha i capelli biondi legati in una coda di cavallo e indossa un top attillato nonostante su abbiano previsto neve.

«Che sta succedendo, Anna?» chiede Vittoria. «Lo sai che a me certe cose non riesci a nasconderle.»

Io sospiro, massaggiandomi le tempie. Okay, mi ha scoperta.

«Avevo bisogno di staccare un attimo. Di riflettere. Ecco perché sono scesa da sola» butto fuori. In realtà, il vero motivo per cui ho voluto trascorrere le vacanze in quel modo sfugge persino a me.

«Non sei più convinta di lui, non è così?» incalza Vittoria.

«No, al contrario. Stiamo per andare a convivere, questo è il nostro progetto per il prossimo anno.»

«Da quanto tempo lo dici?»

«Lo so, è da quando mi sono trasferita che è il mio chiodo fisso. Però sto aspettando che trovi un lavoro anche lui, e io intanto finisco gli studi. Sai, il nostro è un grande passo...»

«Certo, certo.»

«Ti sento sarcastica.»

«No, affatto. Sto solo riflettendo. E, intanto, cerco di capire.»

«Non c'è nulla da capire. Purtroppo, sai bene anche tu in che tempi viviamo, e la fatica che si fa a trovare un lavoro decente per mantenersi senza dover chiedere sussidi alla propria famiglia.»

«Certo, ma lui ormai ha finito la magistrale, giusto?»

«Sì, da un anno a questa parte. Ma sai, per quanto chieda in giro, le offerte sono sempre molto basse. Ha cominciato da poco in un bar, in attesa di tempi migliori. E intanto va avanti con il teatro, gli piacerebbe iscriversi a qualche scuola di recitazione per migliorare la tecnica. E intanto tira avanti la sua compagnia, con cui fa ancora spettacoli.»

«Tanti progetti, in ogni caso.»

«Oh sì, quelli sempre.»

«Questo è l'importante.»

Restiamo per un attimo in silenzio. La sensazione di fastidio allo stomaco non mi ha mollata per un solo istante.

«Che c'è?» chiedo a un certo punto.

«Niente. È che non mi sembri affatto convinta di quello che stai dicendo» ammette Vi.

«Infatti è così» sospiro, stringendomi negli abiti. «E va bene, ho dei dubbi. Un sacco di dubbi, a dire la verità. Ho paura che Fede non sia la stessa persona che ho conosciuto anni fa, e che i miei abbiano maledettamente ragione sul suo conto. Che sia un buono a nulla, eccetera eccetera» mi decido a sputare fuori, finalmente. «Negli ultimi tempi lo vedo... strano. Sembra sempre indeciso, o infastidito da qualcosa. A volte, faccio persino fatica ad avere un dialogo con lui. E intanto c'è Sofia.»

«Che cosa c'entra Sofia? Credevo che foste amiche.»

«Infatti lo siamo. Sai che lavoro da lei, o meglio, per sua madre. Il maneggio è suo. Però... anche lei da un po' di tempo è...»

«... strana. Ho capito.»

Mi volto verso Vi, gli occhi improvvisamente carichi di apprensione. «Credi che mi stiano nascondendo qualcosa?» chiedo, la voce ridotta a un sussurro carico di attesa.

Vittoria sospira, rigirandosi il cellulare tra le dita con fare pensoso.

«Non saprei che dire» ammette. «Certo, conosco Federico, ma sicuramente mai quanto te. Mi è sempre sembrato un bravo ragazzo, ma devo ammettere che è da un po' di tempo che noto le sue interazioni sui social e, se permetti, mi sembrano veramente un po' strane. Insomma, capisco che ci sia un'amicizia di lunga data con Sofia, ma certe cose tra amici non si fanno. E tu dovresti saperne qualcosa a riguardo, giusto?»

Annuisco, e avverto qualcosa dentro di me bruciare. Certo, io e Ethan ci siamo arrivati molto tempo fa, e i confini che ci siamo tracciati allora erano decisamente molto più netti di quelli che esistono tra il mio ragazzo e la nostra migliore amica, o meglio, la loro totale assenza.

«Nemmeno con Sofia le cose vanno così bene» mi lascio sfuggire. «Anzi, ultimamente non so nemmeno se posso fidarmi di lei. Non del tutto, almeno. Sono confusa.»

Ed è lì che mi convinco finalmente a vuotare il sacco. Le confesso ogni cosa. Della compagnia bolognese e dei loro problemi con l'alcol. Degli sbalzi di umore di Federico. Della crescente saccenza di Sofia, che si trascina dietro non solo nelle uscite di gruppo, ma anche in maneggio.

«Ho dovuto anche smettere con le gare» confesso, di fronte allo sguardo sgomento di Vittoria. «Mi stavo allenando per l'inizio dei campionati regionali, ero molto eccitata perché sarebbe stato il mio primo concorso dopo oltre un anno di stop. Avevo comprato tutto, dagli stivali alla giacca nuova. Due giorni prima della competizione, a fine turno di lavoro, Sofia mi ha presa in disparte, ha detto che voleva parlarmi in privato. Mi ha detto chiaro e tondo che non riteneva opportuno che gareggiassi, non il suo stesso giorno, almeno. Non importava se non fossimo state nella stessa categoria. Io... avrei rischiato di rovinare la reputazione del maneggio, ecco.»

«Che cosa?» Vittoria appare visibilmente sconvolta da questa rivelazione. «E perché mai? Scusami, sono completamente estranea all'equitazione, ma mi ricordo che qui eri una vera fuoriclasse, vincevi tutto tu!»

«Era diverso, a Nord ci sono degli standard molto più alti, e lì dentro sono poco più di una groom» cerco di razionalizzare. «Ne ho parlato anche con Paola, la madre di Sofia, e si è mostrata d'accordo con lei. Ha detto che, quando Sofia esce in gara, il mio compito è farle da assistente e basta. Il punto è che Sofia esce in concorso tutte le domeniche.»

«Quindi per te significherebbe non uscire più in gara?»

«Esattamente.»

«Ma per chi ti ha preso, per Cenerentola?»

«Non lo so.»

Sospiro, il senso di fastidio che ormai sta diventando più simile alla nausea. Osservo lo sguardo di Vi e mi rendo conto di quanto avrei voluto averla vicina quella sera, quando, appena tornata dal maneggio dopo un massacrante pomeriggio di lavoro, sono crollata in lacrime in un angolo della camera da letto, soffocando i singhiozzi contro la manica del maglione per non allertare la mia coinquilina.

«Ma tu adoravi uscire in gara, eri bravissima! Possibile che non ci sia una soluzione?» insiste Vi, sconvolta.

«Una soluzione ci sarebbe» rispondo. «Essere all'altezza di Sofia.»

«Ovvero?»

«Dovrei arrivare a saltare le centoventi. O le cento, se proprio voglio sminuirmi.»

«Ossia?»

«Un metro» spiego.

«Aspetta, ma tu non facevi dressage?»

«Appunto» ridacchio amaramente. «In teoria, sarei una categoria brevetto. Sofia sta prendendo il secondo grado. In pratica, è molto più avanti di me. Per raggiungerla, ho bisogno di un cavallo che salti quelle altezze, il tempo di allenarmi e un istruttore disposto a seguirmi. Cose che al momento non posso permettermi. In altre parole, per ora è questo ciò che passa il convento, e devo accontentarmi.»

«Ma non puoi scendere a un simile compromesso, non tu!»

«Senti, la verità è che non sono niente di speciale, okay?» la mia risposta lascia Vi visibilmente perplessa, ma non mi importa. «Qui sarò anche apparsa un piccolo fenomeno, almeno di fronte alle mie amiche più care, ma la verità là fuori è molto diversa. Per una serie di ragioni, prima fra tutte quella di assecondare le aspettative dei miei genitori che mi hanno messo di fronte a ben altre priorità, sono rimasta decisamente indietro rispetto a chi in sella ci è letteralmente nato. Non ho partecipato a chissà quali o quanti campionati, non ho un cavallo mio, se vogliamo dirla tutta non ho nemmeno chissà quale talento. L'unica cosa che sento di avere tra le mani in questo momento è una passione per questi meravigliosi animali che sembra essere la mia unica e vera ragione di vita, ma non basta. Servono impegno, costanza tenacia e tanta, ma tanta umiltà, e l'unica cosa che posso fare ora è mettermi a imparare tutto quello che posso, anche a costo di fare dei sacrifici. Capisci cosa intendo?»

Vittoria annuisce. Per fortuna, lei è una che di impegno ne sa qualcosa.

«Sto solo cercando di trovare la mia strada, come la maggior parte delle persone» continuo, e di colpo sento che l'espressione dei miei occhi è visibilmente cambiata. «Non saprei giudicare se sto perdendo tempo o se veramente sto costruendo qualcosa, l'unica mia certezza è che in questo momento mi trovo a collaborare con uno dei maneggi più prestigiosi dell'Emilia Romagna, e intendo restarci per poter imparare tutto il possibile, lontana dai parenti serpenti e in compagnia di chi al momento ha saputo tirare fuori il meglio di me. Anche a costo di avere a che fare con qualcuno come Sofia e sua madre.»

Vi ascolta ogni mia parola con gli occhi sgranati. Non capisco se è ammirata o se sta addirittura per mettersi a piangere.

«Tu sei qualcosa di incredibile» commenta a mezza voce. «Vorrei solo capirci qualcosa di più per poterti aiutare, perché sento che ora più che mai ne avresti bisogno, almeno di un consiglio. So che hai tanta passione, ma percepisco anche tanta amarezza quando parli di quel posto.»

«L'unico che potrebbe aiutarmi davvero in questo momento, sarebbe il nonno. E sono sicura che, se solo mi vedesse, mi direbbe che devo andare avanti» commento con fermezza. «Cosa devo dirti, Vi. Per fortuna ho i cavalli. Anche se Fede mi lasciasse, almeno so che loro non mi abbandonerebbero mai.»

Prendo un profondo respiro, accennando a un sorriso. È incredibile quanto il solo parlare di cavalli susciti in me una simile calma, anche se la scuderia per la quale sto lavorando in questo momento mi sta sottoponendo a una situazione stress difficile da descrivere a parole.

«Spero veramente che tu riesca ad avverare il tuo sogno» commenta Vi a un certo punto. «Di aprire un maneggio tutto tuo, come sognavi una volta. Ti ricordi?»

«Sì. E, credimi, non l'ho mai archiviato del tutto» ammetto.

«Ti ci vedo. Saresti perfetta. Sei sempre stata la migliore, almeno per me, non importa quello che possono pensare i bolognesi» confessa lei, sorridendo.

«Grazie, Vi.»

Mi rilasso sulla sedia a sdraio, levando lo sguardo verso il cielo. Il suo manto blu scuro è trapuntato da una miriade di stelle, brillanti come punte di diamanti. È una notte bellissima, fredda e tersa come piace a me.

Io e Vi restiamo in silenzio per qualche istante, ciascuna di noi persa nei propri pensieri, quando un improvviso rumore di passi attira la nostra attenzione. Non siamo più sole sul bordo della piscina, qualcuno è appena uscito all'esterno. Avvertiamo i tacchi delle scarpe martellare contro il pavimento in cotto del terrazzo.

«Dai, Nora. Sicura di non voler restare?»

Il cuore mi fa una capriola indietro nella cassa toracica. È Ethan.

«Mi gira la testa e ho la nausea. Credo che andrò a casa» risponde Nora. La sua voce è stanca e annoiata.

«Ma dai, siamo appena arrivati!» protesta Ethan, sembra perplesso.

«Se vuoi, tu resta pure. Io mi sa che mi faccio venire a prendere da mio padre. Scusami, devo aver mangiato qualcosa che non andava a pranzo.»

«Fa' come vuoi, però è un peccato. Insomma, questa doveva essere la nostra serata...»

«Lo so.»

I due restano per qualche minuto a discutere, le loro voci si fanno ovattate man mano che si appartano sul retro della casa. Poi noto con la coda dell'occhio Nora rientrare ed Ethan rimanere solo sul terrazzo, le braccia incrociate sul petto e l'aria torva. Intuisco che sta per voltare la testa verso di noi, e distolgo rapidamente lo sguardo, decisa a non farmi sorprendere a fissarlo. Troppo tardi.

Un istante dopo è davanti a me, fissandomi con le mani incrociate sul petto.

«Tutto a posto?» chiede Vi in tono innocente.

«Più o meno. Nora ha una forte emicrania e ha deciso di andare a casa» risponde lui in tono burbero.

«Mi dispiace. Vuoi accompagnarla?»

«No, grazie. Va a casa con il padre, sinceramente non ho molta voglia di trascorrere il Capodanno con il suocero.»

«Problemi ad apparire simpatici?» mi insinuo io, pensando a tutte le volte che i miei hanno fatto disperare Fede.

«Guarda, preferisco non parlarne» sospira lui, esasperato. «Diciamo che preferirei restare, se non vi dispiace.»

«Fai con comodo. Mi casa es tu casa» Vi mi scocca un'occhiata complice, che fingo di ignorare. «Ragazzi, temo di avere urgente bisogno del bagno. Voi continuate pure, io vi raggiungo tra cinque minuti.»

E, prima ancora che io abbia il tempo di fermarla, Vittoria sgattaiola via, scomparendo all'interno della villa. Restiamo io e Ethan, a fissarci negli occhi con l'aria più stupida che siamo riusciti ad attingere dal nostro repertorio.

Io sono a dir poco sconvolta. Non riesco a credere che Vittoria mi abbia fatto una cosa simile, e sono sicura che la sua urgenza sia stata perfettamente calcolata per costringermi a restare da sola con Ethan, a fare i conti con qualsiasi cosa sia rimasta in sospeso tra noi. Che poi, a mio giudizio, io e lui abbiamo ben poco da dirci.

Poi, all'improvviso, lui decide di rompere il ghiaccio.

«Temo di doverti ancora un caffè» dice, lasciandomi senza parole per la seconda volta nell'arco della stessa serata.


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