38. Di nuovo insieme
Andiamo a prendere Coco che sono ormai le nove di sera e il maneggio è completamente deserto: evidentemente Paola si è premurata che i suoi facoltosi clienti non vedano gente della nostra risma aggirarsi per casa sua.
Stella ha insistito affinché venissi anch'io. Sinceramente avrei preferito aspettarla alla base per lo scarico (anche perché il solo pensiero di rimettere piede a "I Pioppi" mi fa venire il mal di pancia per il nervoso), ma lei è stata inflessibile su questo punto.
«Devi uscire dalla tua zona di comfort e imparare a gestire le situazioni, anche quelle che ti sembrano più insopportabili» ha tagliato corto alla fine di una breve ma accesa discussione. «Perciò muovi il tuo bellissimo culetto e fatti trovare da me alle otto in punto, o giuro che non ti faccio più lezione da qui a per sempre.»
Inutile dire che ho dovuto accettare. Anche perché verrà pure Khadija, che mi ha già messo nero su bianco che se solo tenterò di disertare verrà lei stessa di persona a prelevarmi a casa per poi portarmi di peso fino a destinazione. In poche parole, sono spacciata.
Alle otto in punto sono in maneggio e un'ora dopo stiamo avanzando a passo d'uomo lungo il viale di ingresso de "I Pioppi", l'imponente struttura che svetta nell'oscurità illuminata dalle pallide luci dei lampioni posti nel piazzale.
Il nostro arrivo viene accolto dal latrare di Vincere, il grosso meticcio di Paola che la notte monta la guardia alla scuderia. Il suo abbaiare rauco si interrompe solo quando ode la voce della padrona richiamarlo seccamente, dileguandosi nel buio come un'apparizione uscita direttamente da un romanzo di Stephen King.
«Un benvenuto davvero caloroso» commenta Stella ridacchiando, e intanto io mi sento congelare le budella per il nervosismo. E se il fatto che ci abbia fatte venire qui a quest'ora desolata fosse solo un pretesto per mettere in atto chissà quale vendetta personale?
Negli anni ho sentito tanti e tali racconti agghiaccianti riguardo le beghe tra maneggi, che ormai mi aspetto praticamente di tutto, specie dopo aver frequentato Paola e Sofia per oltre un anno, e visto con i miei occhi di che cosa sono state capaci. Anni fa, un groom è stato massacrato di bastonate dal gestore di un grosso centro per aver tentato di porgere denuncia sui maltrattamenti che subivano continuamente i cavalli ospiti della struttura. Per non parlare dell'infinità di dispetti, ripicche e denunce che spuntano fuori come funghi ogni giorno. Io per prima ho subìto diversi episodi di stalking da parte di Sofia prima di arrivare a questa sera. Fatte queste premesse, la situazione non mi piace affatto.
Dal loro canto, però, Stella e Khadija non sembrano affatto inquiete, il che potrebbe essere un bene. Parcheggiamo il Defender rosso fiamma con il trailer agganciato nel piazzale di fronte alla scuderia e scendiamo a terra. Paola è in piedi davanti a noi, aspettandoci con le mani sui fianchi robusti. Indugia per un istante su di noi, un'espressione di puro disgusto che le increspa le labbra come nuvole a primavera; poi, lentamente, ci viene incontro con fare marziale, il passaporto di Coco già stretto tra le dita: è evidente che vuole chiudere la faccenda il prima possibile.
«La signora Paola?» esordisce Stella, senza curarsi del suo atteggiamento tutt'altro che cordiale.
«Stella» risponde l'altra con freddezza. «E così, finalmente conosco il terzetto al completo» commenta subito dopo, soffermandosi con lo sguardo su ciascuna di noi.
Khadija non risponde, ma dall'espressione tagliente che le rivolge subito dopo è chiaro che è rimasta in silenzio solo per non darle la soddisfazione di cedere alle sue sottili provocazioni.
«Già, loro sono le mie collaboratrici» taglia corto Stella, senza preoccuparsi di nascondere nulla. «Come concludiamo l'affare?»
«Mi hai portato l'assegno?» chiede Paola in tono sbrigativo.
L'altra estrae il blocco degli assegni dalla borsa militare che tiene a tracolla, staccandone uno già compilato.
«Eccolo qua, al prezzo pattuito» dice con calma.
«Per quello che mi è costato, sappiate che ve lo sto cedendo a una cifra a dir poco vergognosa» commenta Paola a denti stretti.
«Lo so. Proprio per questo la ringraziamo per il favore e la fiducia» risponde Stella con naturalezza, afferrando il passaporto e mettendolo al sicuro nella sua borsa.
«Ringrazia mia figlia, per questo» ribatte Paola. «A proposito, Sofia si scusa per non essere qui con noi stasera, ma è impegnata nel trasloco verso la nuova casa. Sapete, lei e il suo compagno hanno deciso di andare a convivere.»
Io non proferisco una sola parola, anche se dentro di me vorrei urlare. È chiaro che quest'ultima frecciatina era rivolta esplicitamente a me, l'ennesima sottile vendetta da parte di Sofia nel suo morboso progetto di rovinarmi la vita un pezzo alla volta, tanto per ricordarmi chi delle due deve giocare la parte della perdente.
«Direi che possiamo caricare» interviene Khadija a quel punto. «Abbiamo una capezza e una lunghina?»
«Sarebbe buona educazione che a questo pensi l'acquirente» risponde Paola, e subito capisco che abbiamo commesso un passo falso. «Sella, testiera e finimenti vari resteranno qui. Come ho detto, quel cavallo mi ha già fatto perdere abbastanza soldi e dubito che voi siate interessati all'acquisto, visto quanto avete offerto.»
«Se si tratta di quegli arnesi di tortura che chiami imboccature, allora puoi anche tenerteli» sputa Khadija tra i denti, e prima ancora che Paola abbia il tempo di rispondere al fuoco lei è già partita alla volta della scuderia, facendomi cenno di seguirla.
Io le trotto prontamente alle costole, ripercorrendo i corridoi di quella che per un certo periodo ho chiamato addirittura casa e che ora mi appare completamente estranea, le mani nelle tasche e un fuoco venefico che mi brucia dentro alla vista di quei box lindi e perfetti, con le sbarre alle finestre verniciate di fresco che ora più che mai mi ricordano quelle di una prigione.
Una volta che Khadija si è assicurata che nessuno ci abbia seguite, si volta verso di me con decisione.
«Ehi, tutto bene?» chiede sollevando un sopracciglio castano.
Io annuisco appena, anche se temo che la mia faccia tradisca ben altro.
«Sono solo provocazioni, niente di più» interviene lei, ponendomi una mano sulla spalla e stringendo le dita con energia come per riscuotermi dal torpore autodistruttivo dei miei pensieri. «Qualunque cosa vuole insinuare quella lì, ormai fa parte del passato. Capitolo chiuso, okay? Questo mondo non ti appartiene più, sei una persona diversa adesso.»
Faccio un cenno di assenso con il capo, soppesando le sue parole. In realtà, per quanto mi stia sforzando di tenere fuori il passato, so di avere ancora parecchi conti in sospeso con esso, nodi che prima o poi arriveranno inesorabilmente al pettine. E la cosa mi fa sentire più fragile che mai.
Attraversiamo il corridoio silenziosamente, i nostri passi che risuonano sul pavimento perfettamente spazzato. I miei occhi passano in rassegna i cavalli confinati nei box. Per la maggior parte sono sempre gli stessi, ma due di loro mancano all'appello: probabilmente sono stati venduti o più semplicemente i loro proprietari si sono trasferiti altrove. Osservo la scuderia illuminata dalla pallida luce dei neon, le schiene dei cavalli perfettamente lucide e tosate che si muovono nella penombra, e penso a quanto tutto questo sia ormai lontano.
Quando sono arrivata qui, ero convinta di aver varcato le porte del paradiso dell'equitazione, il massimo a cui un'amazzone con pochi mezzi e tanta forza di volontà potesse aspirare. Quel maneggio così stratosferico, grande come una città, con quelle scuderie linde e quei cavalli spaziali che avevo visto sfrecciare solo nelle gare internazionali, era più di quanto avessi mai immaginato. Ero entrata finalmente a far parte di quel mondo che solo fino a poco tempo prima ritenevo precluso, ma solo per rendermi conto di quanto fosse marcio. E che quel luogo così perfetto era ben lontano dall'Eden che mi ero immaginata, e decisamente l'opposto di quello che stavo cercando.
Me ne sono resa conto passati i primi tempi da "I Dissidenti", quando dal mega campo coperto ero passata al loro maneggio scalcagnato, dalle scuderie lustre dotate di ogni comfort a un fienile polveroso e un filare di paddock con il cielo come unica copertura insieme alle capannine di legno, dalla club house riscaldata a un tavolo con delle sedie di plastica intorno e un distributore automatico che va attivato a suon di cazzotti all'interno di quello che avrebbe dovuto essere un semplice box vuoto.
Mi ricordo che le prime notti piangevo al solo pensiero di dove ero finita dopo aver percorso così tanta strada, e invece quella che credevo la fine era in realtà solo un meraviglioso inizio. E di colpo siamo qui, io e Khadija, non più curve in quel corridoio nella speranza di non finire bersagliate dall'ennesimo capriccio di Sofia, ma complici e libere, senza che nessuno possa più farci del male.
Raggiungiamo il box di Coco, sempre lo stesso da allora, il quale sussulta guardingo non appena avverte la nostra presenza. I suoi occhi luccicano nel buio al di là delle sbarre della finestra, e in quel momento realizzo che effettivamente stiamo liberando un prigioniero.
Khadija estrae una capezza e una lunghina dallo zaino (era sicura infatti che Paola avrebbe lesinato perfino su questo), e subito lui prende a recalcitrare terrorizzato contro la parete della scuderia, rintanandosi il più lontano possibile da noi.
«Fantastico, è peggio di quanto credessi» commento io, sconvolta. «Che cosa gli avranno fatto, mentre ero via?»
«Non chiedere che è meglio» ribatte Khadija seccamente. «Temo che dovrai farlo tu.»
«Cosa? E perché?»
Lei mi sorride, allungandomi la capezza. «Eri tu la sua groom. Forse con te sarà più facile» spiega.
Avverto il cuore accelerare come un cavallo in fuga all'interno della mia gabbia toracica, ma sono consapevole che effettivamente Katy ha ragione: è il momento di dimostrare sul campo quanto appreso negli ultimi mesi.
Tendo le dita e afferro la capezza, avviandomi verso il box e aprendo piano la porta scorrevole. Subito Coco si irrigidisce ancora di più contro la parete, quasi voglia scomparirvi dentro, e intanto io regolo ogni singolo respiro, fino a contare i battiti del cuore.
«Coco,» sussurro, tendendo la mano nel buio «sono io.»
Il suono della mia voce ha come l'effetto di un incantesimo. Coco si calma, le orecchie si drizzano e il suo corpo si rilassa: mi ha riconosciuta! Avanzo con calma verso di lui, i palmi delle mani aperti verso l'alto come per accoglierlo e la capezza inerte infilata nel mio avambraccio destro, offrendogli nient'altro che tutta la mia vulnerabilità di essere umano.
Lui mi annusa ripetutamente, le froge dilatate e il respiro affannoso, e io mi domando quando è stata l'ultima volta in cui ha ricevuto una carezza o anche solo una parola gentile. Sono attimi eterni, questi, in cui il mondo là fuori sembra correre forte, troppo forte, mentre noi siamo sospesi nel buio delle nostre reciproche paure. Preda e predatore. Una storia antica come il mondo.
Senza distogliere lo sguardo, lascio scivolare una mano nella tasca ed estraggo due biscotti alla mela, allungandoli verso di lui. Coco torna ad annusarmi, questa volta con fare incuriosito, e molto lentamente muove un timido passo verso di me. Io lo accolgo con una carezza, mentre conquista avidamente quel piccolo premio, e il contatto della mia mano sul suo mantello lucido è come un ritorno a casa.
Solo adesso riesco finalmente a infilargli delicatamente la capezza e condurlo fuori con la lunghina, attenta a non tirare o strattonare: Coco è infatti una bomba pronta a esplodere al primo passo falso.
Khadija ha osservato l'intera scena e, nel momento in cui la raggiungo, noto che i suoi occhi sono lucidi.
«Forza, portiamolo via da qui» commenta venendomi incontro.
Attraversiamo quel maledetto corridoio per l'ultima volta e infine ci troviamo fuori, sotto le stelle. Stella è da sola, le spalle appoggiate sul fianco del trailer e un'espressione tesa sul volto. Non appena ci vede arrivare, ci corre incontro con un'aria decisamente sollevata, quasi avesse temuto per un istante che non tornassimo più.
«Dov'è Paola?» chiedo subito, quasi nel timore di vedercela comparire alle spalle armata di Winchester.
«Per fortuna, aveva fretta di concludere l'affare. È andata via subito dopo che siete andate a prendere il ragazzone» risponde lei strizzandoci un occhio.
«Il che ci risparmierà una sfilza infinita di commenti sulla nostra totale incompetenza nel momento in cui faremo a fatica a caricarlo sul trailer, visto come è arrivato» commenta Khadija di rimando.
La sua previsione, però, si rivela completamente errata dal momento che Coco sale a bordo senza nemmeno un accenno di protesta: evidentemente, lui è il primo a volersene andare di lì il prima possibile.
Una volta tutte al sicuro all'interno dell'abitacolo, ci lasciamo sfuggire all'unisono un profondo sospiro di sollievo, seguito puntualmente da una fragorosa risata liberatoria.
«Be', ragazze, direi che siamo state magnifiche» commenta Stella asciugandosi gli occhi. «Facciamo tappa al Mac dopo lo scarico? Offro io, ovviamente.»
«Sì, capo» risponde Khadija, correndo ad accendersi una delle sue sigarette casalinghe per liberarsi dallo stress accumulato.
Stella mette in moto, e subito le note dell'Aida si sovrappongono al ruggito del motore all'interno del piazzale deserto, scatenando nuovamente l'abbaiare isterico di Vincere, il quale ci rincorre come una furia fino al cancello. Khadija gli allunga uno scenografico dito medio dal finestrino aperto, mentre Stella abbassa a sua volta il deflettore per gridare a squarciagola: «State tranquilli, cavallini: appena sarò miliardaria vi porterò tutti via con me!»
Io scoppio a ridere, e mentre Khadija inizia già a delirare su quanto starebbe bene Coco con la bardatura all'americana, mi rilasso finalmente contro lo schienale dell'auto e chiudo gli occhi, il cuore improvvisamente leggero e la consapevolezza che almeno questo capitolo doloroso della mia vita può dirsi chiuso per sempre.
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