29. Quando sarà il momento

 Cavalchiamo una accanto all'altra, con i capelli appena mossi dalla brezza invernale mentre ci inerpichiamo lungo l'argine inondato dalla luce dell'ultimo sole. Breeze e Mary procedono al passo, i colli allungati in avanti e le orecchie ritte, lasciandosi sfuggire di tanto in tanto uno sbuffo rilassato.

Non era previsto che uscissimo in passeggiata. Per la verità, non lo faccio da anni e devo ammettere che in questo momento sto decisamente lottando contro le farfalle nello stomaco. Che poi, da quando sono diventata così nervosa alla sola idea di fare quattro passi fuori dal campo? Diciamo che, da quando sono a "I Pioppi", le occasioni per farmi accantonare gli inviti a uscire in passeggiata sono state diverse, dalla ragazza che si è disintegrata il cap dopo che il suo cavallo l'ha scaraventata contro un albero per aver visto un cane al periodo in cui erano arrivati due ex galoppatori, i quali non perdevano occasione per seminare il panico ogni volta che si entrava in campo da cross. Per non parlare delle poche volte in cui ero uscita con Sofia, la quale scambiava puntualmente il defaticamento con il galoppare a briglia sciolta in mezzo ai campi che circondavano il centro ippico, con il rischio di finire in qualche canale. Insomma, ne avevo viste abbastanza da dimenticare i bei vecchi tempi, in cui io e la mia compagnia scorrazzavamo in mezzo ai campi senza nemmeno curarci di mettere sella o imboccatura.

«Oi, che cosa ti sta dicendo la scimmietta in questo momento?» interviene Khadija improvvisamente, facendomi tornare con i piedi per terra al momento giusto.

«Scimmietta?» biascico io confusa.

«Ah-ah.»

Stella la tira fuori spesso, quando nota che un allievo si sta facendo prendere da troppi pensieri.

«Ma niente, ero solo sulle mie. È passato tanto tempo da quando sono uscita in passeggiata l'ultima volta.»

«E per questo te la stai facendo sotto.»

«Diciamo di sì.»

«È normale. Per questo ho voluto uscire dalla tua zona di comfort.»

«Be', diciamo che forse la terapia d'urto è proprio quello che mi ci vuole, in questo momento.»

Khadija ridacchia, scuotendo il capo divertita. «Smettila di parlare di te stessa come se fossi un caso senza speranza. Sei più normale di quanto pensi» aggiunge subito dopo.

«A livello equestre sono un controsenso fatto persona» ribatto io prontamente. «Guardami. Quasi metà della mia vita passata in sella e mi sembra di montare ancora come una principiante. E poi sono una fifona, diciamo la verità. Perché io ho paura, Katy, una paura da matti.»

«E meno male, direi!» risponde lei, ridendo. «Tutti i cavalieri hanno paura, che ti piaccia o no. Solo che alcuni hanno imparato a nasconderla meglio di altri.»

Neanche a farlo apposta, ecco che un fagiano schizza fuori dall'erba alta, prendendo a correre lungo le pendici dell'argine. Subito le cavalle drizzano le orecchie e io provo l'impulso di avvinghiarmi al pomolo della sella, preparandomi a un'eventuale fuga.

«So che hai passato delle cose molto brutte, come del resto la maggior parte delle persone che sono arrivate qui,» prosegue Khadija «ma proprio per questo non significa che debba accadere di nuovo. Devi imparare a lasciarti il passato alle spalle, ora. A fidarti di nuovo. Credo che il tuo cavallo sia il tipo giusto per iniziare.»

Proprio in questo momento, Mary sembra aver capito che il fagiano non rappresenta una minaccia e abbassa nuovamente il capo con uno sbuffo rilassato, prendendo a piluccare un ciuffo d'erba ai suoi piedi.

«I cavalli sono lo specchio delle nostre emozioni» continua Katy. «A volte ci dimentichiamo di quanto ci ascoltano. Quanto si fidano di noi e di ciò che proviamo.»

«Mio nonno diceva sempre che a un cavallo non puoi mentire» commento io.

«Ed è vero. Con loro, niente bugie. Per questo li trovo decisamente migliori di molte persone. In tutti questi anni, in cui ne ho viste di cotte e di crude e ho assaggiato la sabbia del campo più volte di quanto avrei voluto, posso affermare di non essere stata mai tradita da uno di loro.»

Annuisco silenziosamente, saggiando il peso delle sue parole. Non posso che essere d'accordo con lei, per quanto il solo pensiero di fidarmi nuovamente di un altro essere vivente mi terrorizza a morte.

«È difficile stare tranquilli quando hai visto tanta gente schiantarsi davanti ai tuoi occhi, specie negli ultimi tempi» mi lascio sfuggire.

«E, ciononostante, stai uscendo in passeggiata in capezza, per di più con un cavallo che conosci appena» osserva Khadija in tutta risposta.

«Solo perché qualcuno mi ha costretta» ribatto io in tono sarcastico.

«L'ho fatto per il tuo bene. Un giorno mi ringrazierai.»

Ci fermiamo un istante, mentre le prime ombre iniziano ad allungarsi sui campi accarezzati dalla brina. Di fronte a noi si estende un grande prato, che supera l'argine e si perde nelle campagne, fino a un filare di pioppi che svetta in lontananza. Per un attimo, una sottile vibrazione sembra cogliere umani e cavalli allo stesso tempo, e mi trovo a temere che Khadija stia per lanciarsi al galoppo da un momento all'altro. Lei sembra aver percepito il mio fremito di paura, anche se non mi sta nemmeno guardando, perché inaspettatamente volta il cavallo e fa per tornare a casa.

«Quando sarai pronta» dice, neanche mi avesse letta nel pensiero. «Fidati quando ti dico che la paura è un bene. È il nostro miglior sistema di difesa: ci fa capire quando è giunto il momento di fermarci.»

Getto un'ultima occhiata verso il prato, così verde e infinito, e subito avverto bruciare dentro di me il desiderio di lanciarmi al galoppo in quella distesa erbosa, di avvertire nuovamente il vento tra i capelli mentre sfido il vento e la velocità. Poi però la sento arrivare di nuovo, quella fredda sensazione che mi paralizza la colonna vertebrale e mi impedisce qualsiasi movimento.

«Quando sarà il momento» ripete Khadija con fermezza.

Annuisco rapidamente, riprendendo le redini a mazzetta e conducendo Mary lungo la sua scia, ma non prima di essermi voltata un'ultima volta verso il prato. Improvvisamente, tutto mi appare chiaro, come il disegno che mi permetterà di esercitarmi ogni giorno, fino a quando non mi sentirò pronta per tornare lì e attraversare finalmente quella verde distesa senza più alcuna barriera, finalmente libera.

Finalmente me stessa.

Rientriamo in maneggio che è ormai calata la sera e nel cielo limpido stanno spuntando le prime stelle. Al nostro arrivo, troviamo anche Ginevra, che sta finendo pulire gli zoccoli del suo sauro: la riconosco per via delle corte ciocche corvine che le sfuggono da sotto il cappello di lana. C'è anche Stella, intenta a fumare una sigaretta con le spalle appoggiate alla portiera della sua jeep in compagnia di Valerio, il ragazzone biondo tutto piercing e tatuaggi che avevo intravisto quella sera all'Old Wild West. Riesco a cogliere frammenti dei loro discorsi mentre inizio a dissellare.

«Sei sicuro di volerlo fare? Guarda che poi sarà un bell'impegno» sta dicendo Stella.

«Lo so, ma non posso lasciarla in quelle condizioni, capisci? Prima la portiamo qui, meglio sarà per tutti» risponde Valerio con decisione.

«Che succede?» chiedo rivolta a Khadija.

«Credo che presto il nostro branco di anime perdute si ingrandirà» risponde lei. «Ehi, Vale, ma allora la prendi o no, la pony?» aggiunge subito dopo, facendomi cenno di unirmi alla compagnia.

«Ho chiamato il veterinario per domani pomeriggio» spiega lui. «Se tutto va bene, sarà qui per il fine settimana.»

«La metterai insieme al mammut?»

«Possiamo provare. Credo che a Denver non dispiaccia avere compagnia.»

«Hai optato per un pony? Come mai?» chiedo io timidamente.

Alla mia domanda, Valerio estrae il cellulare e mi mostra una serie di foto e video di una piccola pony morella dallo sguardo dolce e vispo. «La sto salvando da uno che vuole mandarla al macello» spiega lui, gli occhi che brillano come quelli di un bambino. «Pensa che l'aveva comperata per la nipotina di quattro anni, che non l'ha mai degnata di uno sguardo. Per questo ha deciso di sbarazzarsene. Ho saputo di lei da un mio amico che abita da quelle parti e ho deciso di prenderla io.»

«Hai intenzione di cavalcarla, per caso?» chiede Khadija ridacchiando.

«Quanto sei scema» ribatte lui facendole la linguaccia. «Diciamo che la vedo molto bene a fare il Parelli, magari in liberty.»

«E Stella ebbe finalmente un pony da scuola» conclude lei.

«Guarda che poi sono geloso!» la punzecchia subito Valerio. «E in ogni caso, ammesso che Stella decida improvvisamente di aprire un pony club, sappiate che io i marmocchi li perseguiterò fino alla morte se solo oseranno infastidire la mia cavalla.»

«Tranquillo, non ho alcuna intenzione di avere bambini tra i piedi. Mi bastano gli adulti» lo rassicura Stella, ridendo.

«Come si chiama?» interviene Ginevra.

«Olga» risponde lui.

«Alleluja, ci mancava un nome normale!» commenta Stella. «A proposito, truppa, che ne dite se andiamo a prenderci qualcosa insieme? Anche per fare due chiacchiere al caldo.»

Gli altri annuiscono con entusiasmo e io, che non ho praticamente programmi per la serata, accetto di buon grado di unirmi alla compagnia. Finiamo rapidamente di dissellare i nostri cavalli e poi, dopo aver aiutato Stella a somministrare la razione di cibo serale a tutti gli ospiti del maneggio, ci mettiamo in marcia.

Scopro così che il centro abitato più vicino si trova a due chilometri e mezzo ed è composto dal comune, una chiesa, una scuola per l'infanzia e un pub circondati da una manciata di case. Il pub è un locale piccolo e angusto, con vecchie foto appese alle pareti che si alternano a paesaggi campestri e una nostalgica veduta di Bologna appesa dietro il bancone. Il proprietario è un uomo sulla sessantina, e nel momento in cui facciamo ingresso mi sembra di cogliere le note di una canzone di Guccini risuonare in sottofondo.

Stella e gli altri devono essere clienti abituali, perché sembrano conoscere molto bene il posto e più di una volta si fermano a salutare i rari avventori di passaggio. Ordiniamo tutti da bere, e per la prima volta dopo tempo immemore scopro di non essere l'unica astemia della compagnia: Stella infatti si butta subito su un caffè americano, mentre Khadija opta per una cioccolata calda.

C'è un'atmosfera diversa, che aleggia su quel tavolo di dissidenti, nella quale mi sento improvvisamente accolta. Parliamo a lungo, di noi e dei nostri cavalli, e per la prima volta dopo tantissimo tempo mi accorgo di avere finalmente a che fare con gente che la pensa come me, che vede il cavallo come un amico e un compagno di vita, prima ancora di un mezzo per raggiungere un risultato agonistico. Ci raccontiamo così le nostre storie, dove scopro che i miei compagni di maneggio in questi anni ne hanno viste letteralmente di tutti i colori.

Khadija rievoca il giorno in cui ha preso Breeze, cinque anni fa: si trovava alla finale del campionato italiano di reining quando si è imbattuta in questa favolosa Paint No Color, allora ridotta a uno scheletro schiumante di paura che la fissava con gli occhi sgranati dal fondo del box dove era confinata. A quei tempi apparteneva a una ragazzina che la montava pochissimo, lasciando il grosso dell''addestramento' al suo istruttore, il quale a quanto pareva non era celebre per l'utilizzo di metodi esattamente civili. Qualunque cosa fosse accaduta, quel giorno la cavalla era pronta per essere caricata sul trailer che l'avrebbe condotta dritta al macello. Katy l'aveva vista ed è stato amore a prima vista, al punto da arrivare persino a venire letteralmente alle mani con il conducente pur di prenderla con sé. Alla fine – non ha specificato esattamente come – è riuscita ad avere la meglio e da allora Breeze è sempre rimasta con lei.

I primi tempi sono stati una vera impresa. La cavalla infatti era terrorizzata da qualunque cosa e più di una volta Katy si è trovata con l'idea di gettare la spugna e lasciarla definitivamente al prato. L'incontro con Stella durante un clinic di monta americana le ha cambiato letteralmente la vita. È stata proprio lei a farle scoprire il metodo Parelli, e da allora le cose con Breeze sono andate sempre migliorando.

«Insomma, se la vedete ora non direste mai che solo pochi anni fa era una bestia di Satana pronta a farmi fuori non appena provavo ad avvicinarmi» conclude Khadija ridacchiando.

A quelle parole, non posso fare a meno di pensare a Coco, e subito la mia espressione si fa cupa. La cosa sembra non sfuggire agli altri, perché in quel momento Stella mi chiede: «Ehi, tutto bene?»

«Sì, stavo pensando un attimo al mio vecchio maneggio e ai cavalli che ho lasciato indietro» rispondo. «Soprattutto uno. Avrei tanto voluto aiutarlo, e invece Dio solo sa che fine farà.»

«Ti riferisci al grigio di Sofia?» interviene Katy. «Ti capisco, certe cose ti fanno ribollire la bile quando ci pensi. Ma non possiamo aiutarli tutti, capisci? Tu hai fatto il possibile, e va bene così. Non c'era posto per te, là dentro. Mettitelo in testa una volta per tutte e vai avanti per la tua strada.»

«Vorrei solo capire che cosa effettivamente è andato storto» ribatto io. «Che cosa ho fatto di sbagliato per cacciarmi in un pasticcio simile.»

«Tu non hai sbagliato proprio niente. Sono loro a essere due stronze piene di arie» commenta Khadija asciutta.

«Katy, per favore!» interviene Stella in tono severo. «Anna, tesoro, non devi accusarti di cose più grandi di te. Non eri tu a essere sbagliata, semplicemente quel posto non faceva per te. Era diverso, come noi lo siamo da loro. Ma non per questo siamo migliori, così come loro non sono migliori di noi. Ognuno ha il suo posto, e se per caso di tanto in tanto si prende qualche inciampo va bene lo stesso, sono comunque tutti punti esperienza che si accumulano.»

«Sei sempre troppo buona, visto che sai anche meglio di me quanta merda giri in posti come quello» borbotta Khadija, incrociando le braccia sul petto.

«Il mio istruttore storico è un terzo livello federale, eppure non mi pare che mi insegni a torturare i cavalli, nonostante abbia imparato nella scuola militare» precisa Stella con fermezza.

«Un momento, tu fai ancora equitazione tradizionale?» chiedo io incuriosita.

«Certo! Ed esco anche in gara, di tanto in tanto» risponde lei con una punta di orgoglio, estraendo il cellulare e mostrandomi una serie di foto in cui sfreccia su una centoventi in giacca nera e pantaloni bianchi, i capelli turchesi accuratamente nascosti sotto il cap.

«No, dai, non ci credo!» esclamo io, esterrefatta.

«Credici pure, l'ultima volta ho anche sfiorato il podio.»

«E intanto ci insegni ad andare all'americana.»

«Io insegno ad andare a cavallo, il fatto che ci orientiamo verso una disciplina piuttosto che un'altra dipende da molteplici fattori.»

«Primo fra tutti quello di allargare la nostra zona di comfort» interviene Ginevra a quel punto.

«Esatto» conclude Stella strizzandole un occhio. «Posso comunque capire che è difficile fare pace con la monta tradizionale, specie per chi ha avuto esperienze molto negative con essa.»

«Anche tu montavi in tradizionale, vero Katy?» chiedo io.

«Diciamo che ho un passato molto oscuro di cui preferisco non parlare» taglia corto lei.

«È inutile insistere, non è mai scesa nei dettagli nemmeno con noi» interviene Ginevra, levando gli occhi al cielo.

«Pensa che per un periodo ero convinta che fosse addirittura orfana» aggiunge Stella, ridendo.

«Infatti è come se lo fossi, visto che non parlo con i miei genitori da anni» ribatte Khadija laconica.

«Ma sono vere le voci che in passato giravi anche tu per concorsi?» incalza Ginny.

«Oddio, la Katy in giacca e pantaloni bianchi proprio non ce la vedo» commenta Valerio, rimasto a sghignazzare sulle disgrazie altrui fino a quel momento.

«Vero quanto il fatto che mio padre lavori in Parlamento» risponde Khadija con un ringhio. «Possiamo parlare d'altro, per favore?»

L'ora di cena arriva come un cavallo al galoppo e con essa, a malincuore, il momento di salutarci. Ringrazio ancora una volta i miei nuovi amici per il pomeriggio trascorso insieme; poi, dopo aver promesso a Stella che sarei tornata a montare l'indomani stesso, mi avvio finalmente verso casa. Il pomeriggio sembra essere volato via in un battito di ciglia e di colpo tutto lo schifo che mi ha travolta negli ultimi tempi sembra appartenere a un'era ormai lontana.

Mi dirigo verso il mio appartamento con il cuore leggero e la mente serena, quando improvvisamente il cellulare prende a vibrare con prepotenza all'interno della tasca della giacca da equitazione. Aggrotto le sopracciglia, chiedendomi chi mai potrebbe cercarmi, scoprendo che si tratta di mia madre. Rispondo incerta, dal momento che è decisamente insolito che mi cerchi a quest'ora.

«Oi, che succede?» chiedo.

«Tesoro, dove sei?»

Il tono della sua voce non mi piace affatto.

«A casa, perché? È successo qualcosa?» chiedo.

«Ma non hai sentito i notiziari?»

«No, perché?»

«Pare che vogliano chiudere tutto.»

«Cosa?»

«Per colpa del virus. Vogliono tenere chiuso tutto, negozi, scuole, tutto. Dicono che ci sono un sacco di morti, che stanno addirittura chiamando l'esercito e che presto gli ospedali saranno al collasso.»

«Ma mamma, che stai dicendo? Come sarebbe a dire l'esercito?»

Ora sono veramente spaventata. Avverto tutto il mio mondo sgretolarsi intorno a me, mentre cerco disperatamente di trattenere gli ultimi frammenti con le dita.

«Non lo so, tesoro» risponde mia madre, e di colpo la sua voce si spezza. «Nessuno lo sa. Siamo nelle mani del Signore, ora.»


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