27. Cuore fragile
Per arrivare a Firenze ci vuole circa un'ora e mezza di treno. Sono arrivata alla stazione con largo anticipo, terrorizzata alla sola idea degli imprevisti dell'ultimo minuto. Una volta, quando ancora facevo avanti e indietro da Bologna, sono finita nel bel mezzo di uno sciopero nazionale. Non c'era un solo treno disponibile, e io avevo un esame l'indomani. Mi ricordo che riuscii a rimediare miracolosamente un biglietto per un autobus di una compagnia privata. Fu un viaggio della speranza, che condivisi in ultima fila insieme a un gruppetto di liceali in pieno interrail, ma almeno sono riuscita ad arrivare a casa in tempo.
Solo che stavolta non devo dare un esame. Devo vedermi con una persona, e non si tratta di un tipo qualunque. È Ethan Lee Martin, una stella nascente del cinema internazionale. Cristo, è già tanto che non ci fermeranno per strada! Il che potrebbe essere una vera tragedia, dal momento che non è il caso che si faccia paparazzare con una emerita sconosciuta quando si trova a un passo dall'altare.
Mi aggiro per la stazione come una ladra, tormentata dalle farfalle nello stomaco. È tutto così assurdo, neanche fossi precipitata in un romanzo per ragazzine in cui la sfigata di turno finisce in qualche modo per conquistare il cuore della star del liceo. Con l'unica eccezione che ai tempi Ethan non era affatto la star del liceo, anzi, erano più le volte in cui dovevamo uscire dalla scala di sicurezza che dalla porta principale per non farci pestare a sangue da un ben noto gruppetto di persone. Eravamo entrambi due sfigati che però quando ci trovavamo insieme sembravamo stranamente funzionare.
Scaccio all'istante quei ricordi imbarazzanti, avvertendo subito il rossore salirmi lungo le guance. Mi sto di nuovo comportando da ragazzina innamorata, quando ormai dovrei essere una donna sulla soglia dei trent'anni e la testa ben avvitata sul collo.
Mi stringo ancora di più nel cappotto, alzandomi la sciarpa fino a coprire la punta del naso. Per fortuna è una bella giornata, anche se fredda: per questo ho corredato il mio outfit invernale con un bel paio di occhiali da sole per nascondermi ulteriormente la faccia.
Il treno arriva puntuale e, nel momento in cui le porte automatiche si chiudono, avverto di essere arrivata a un punto di non ritorno. Vado a cercare il mio posto, rifugiandomi nella mia musica preferita sparata a tutto volume negli auricolari. Avverto la schiena tesa contro lo schienale del sedile, e subito mille paranoie mi piombano addosso, facendomi schizzare l'ansia alle stelle. E se Ethan non si presentasse? Se fosse tutto uno scherzo? Se fosse rimasto bloccato a Roma all'ultimo minuto e non fosse riuscito ad avvisarmi? O ancora peggio, se si fosse trascinato dietro Nora?
Okay, Anna, questi non solo sono pensieri da ragazzina, ma anche da primo appuntamento. E, ora che ci penso, non mi sentivo così nemmeno la prima volta in cui Federico mi ha chiesto di uscire. Già, Federico. Non mi va di rovinarmi la giornata pensando a quello stronzo, né a Sofia, o a qualunque cosa stiano facendo quei due in questo momento. Ormai sono fuori dalla mia vita, e io mi sto finalmente godendo la libertà. C'è una sorta di strana eccitazione, a pervadere questi ultimi giorni. In tutta sincerità, credevo che avrei reagito molto peggio al tradimento del mio ragazzo. Eppure, dopo quella sera, non sono riuscita a versare una sola lacrima per lui. Chissà, forse sentivo che prima o poi sarebbe successo.
Quei giorni di vuoto si erano presto riempiti di qualcosa di completamente nuovo. Improvvisamente, mi sono sentita libera. Niente più pomeriggi all'addiaccio e in preda all'ansia, subendo continuamente le urla incrociate di Sofia e di sua madre. Niente più terrore verso il cellulare sempre pronto a suonare, o per quello che avrei potuto trovare una volta aperto Instagram. A dire la verità, una delle prime cose che ho fatto subito dopo essermi lasciata è stata togliermi da tutti i miei profili social. So bene che Sofia e gli altri continueranno a stalkerarmi fino alla morte, e l'ultima cosa che voglio dare loro in pasto è dove mi trovo e cosa sto facendo.
Finalmente, mi ritrovo ad avere un'infinità di tempo libero da dedicare a me stessa, e ho deciso di impiegarlo tutto per finire la tesi e chiudere una volta per tutte il capitolo università. Nonostante le suppliche di Ethan, non ho alcuna intenzione di restare a Bologna. Una volta discussa la tesi, credo che me ne tornerò giù per un po', almeno per rimettere a posto le cose. Ho già parlato della questione ai miei genitori, e loro si sono mostrati molto più comprensivi di quanto mi sarei aspettata. Chissà, magari aspettano che ritorni a casa, per la ramanzina. Intanto, mi chiarisco con loro. Poi si vedrà.
Ormai non riesco a non associare quel mondo a Sofia, alle sue giacche tirate a lucido, alle sue coppe, agli stivali di marca e al cap bianco, ai sottosella e alle cuffie abbinati per ogni giorno della settimana, alle sue storie su Instagram con le hit del momento in sottofondo, e a tante altre cose che mi hanno lasciato tanta amarezza e ben poco amore verso i cavalli. Tutto questo mi nausea, e sì, sono invidiosa marcia di lei che ha avuto tutto dalla vita, dal suo fisico da modella fino al successo dentro e fuori dai campi gara, e cazzo se vorrei essere al suo posto, proprio lei che ha preso tutto ciò che avevo, dai cavalli alla dignità.
Ma, in fondo, è un bene che abbia finalmente deciso di prendere le distanze da quel mondo. Sofia è stata solo l'ennesima conferma che tutto questo non fa per me, e io sono ben contenta di lasciarla giocare con i suoi costosi giocattoli. Mi dispiace solo per Coco, per il legame che lentamente si stava instaurando tra di noi, anche se solo da terra; ma in fondo non posso crucciarmi più di tanto, quel cavallo non è mai stato mio e sicuramente Sofia saprà dargli molto più di quanto io possa anche solo lontanamente sognare, visti i miei poveri mezzi e le ben poche competenze.
Mi scopro ad avere improvvisamente gli occhi lucidi e mi maledico subito per la crisi di pianto che mi è piombata addosso solo ora, di fronte agli sguardi dei due sconosciuti seduti di fronte a me, quando ho avuto giorni interi per piangermi addosso nella deserta quiete del mio appartamento bolognese.
Ora le gallerie hanno preso a diradarsi, e i profili dolci delle colline prendono a rincorrersi al disotto del cielo limpido e perfetto. Mi asciugo gli occhi con un gesto deciso, imponendomi contegno. Neanche a farlo apposta, stiamo passando accanto a un grosso maneggio. Sembra un terreno di diversi ettari, con un grande campo da cross e ampi paddock in cui pascolano placidamente numerosi cavalli. Alcuni di loro levano il capo al nostro passaggio, quasi fossero abituati al fragore dei treni in transito, poi tutto viene inghiottito dalla velocità.
Cerco di rilassarmi lungo lo schienale, chiudendo gli occhi per non ferirmi di fronte alla vista di quel paesaggio verdeggiante, così dannatamente familiare. In questo momento, il treno inizia a rallentare, mentre le prime case della periferia di Firenze si scontrano con la campagna.
Manca poco all'arrivo.
Il binario è una foresta di teste e cappelli di lana. Scendo dal treno a passo svelto, lanciandomi intorno occhiate nervose, la sciarpa e gli occhiali premuti contro il volto. Per poco non mi sfugge un'esclamazione di euforia nel momento in cui riconosco il profilo di Ethan svettare in mezzo alla folla. Si è lasciato crescere i capelli dall'ultima volta che ci siamo visti, e ora i suoi riccioli scuri appaiono più scomposti e ribelli che mai. Indossa un cappotto grigio e una sciarpa di lana tirata sotto il mento, lasciando sfuggire le guance appena arrossate dalla tramontana.
Mi avvicino timidamente a lui, sfoggiando un sorriso a settantadue denti. Ethan impiega qualche secondo prima di realizzare che sono al suo fianco: sta guardando dalla parte opposta con la concentrazione di chi sta per lanciare un missile nucleare.
«Ehilà, straniero!» lo saluto finalmente.
Nell'udire la mia voce chiamarlo con il nostro saluto segreto, Ethan si volta di scatto e subito gli si illumina il viso.
«Anna!» esclama raggiante.
Non riesco nemmeno ad aprire bocca per rispondergli, che subito avverto le sue braccia circondarmi nel più caloroso degli abbracci. Trasalisco vistosamente, sorpresa da quel gesto inaspettato: Ethan ha sempre avuto il terrore degli abbracci. Solo una volta ho avuto l'onore di ricevere un simile gesto, pochi giorni prima che le nostre strade si dividessero.
«Okay, ora ho la conferma che ti hanno rapito gli alieni» commento una volta sciolto l'abbraccio.
«Scusami, è stato un periodo intenso anche per me» risponde lui, stringendosi nelle spalle. «Sono contento che alla fine sei venuta.»
«Perché, avevi paura che ti dessi buca?»
«Mah, di questi tempi non si sa mai...»
«Sei il solito malfidato!»
«Ma sentila!»
Scoppiamo a ridere entrambi e di colpo è come se il tempo non fosse mai passato, e mi ricordo di com'era bello stare insieme a lui.
«Fa tanto freddo, su a Bologna?» mi chiede Ethan a un certo punto, notando i miei numerosi strati di vestiario.
Effettivamente, so di assomigliare pericolosamente a una strana creatura appena sbarcata dalla luna, tra occhiali da sole, sciarpa e quant'altro.
«È per i paparazzi» spiego, visibilmente imbarazzata.
«Prego?»
«Be', sai, siamo comunque a Firenze e non vorrei che qualcuno ci riconoscesse...»
«Di certo, con quello scafandro attirerai molto di più l'attenzione che girando a viso scoperto» commenta lui ridendo. «E comunque non credere che di colpo sia diventato Brad Pitt: non ho ancora frotte di ragazzine urlanti che mi seguono in ogni dove.»
«Molto modesto come al solito, complimenti. E con i paparazzi come la mettiamo?»
«Guarda, finora non è mai successo. Sono troppo tranquillo per i loro gusti, fidati.»
«Fino a quando non ti vedono girare con una tipa che non è la tua fidanzata.»
«Non sanno neanche che sono fidanzato, in realtà.»
«Peggio ancora! Ti immagini la reazione di Nora se mi vedesse comparire vicino a te in qualche rivista scandalistica, visto che ho come l'impressione che non se ne perde una? Potrebbe squartarci entrambi, per questo.»
«Ma dai, ti preoccupi troppo! Pensi che ti chiederei di vederci così tranquillamente, se non fossi sicuro al cento per cento sulla nostra reciproca incolumità, specie dopo quello che ti è successo?»
Le sue parole bastano a farmi tornare seria. «Perdonami» mi schermisco. «Negli ultimi tempi sono diventata parecchio diffidente.»
«È comprensibile» assicura Ethan. «Ti va se ci mettiamo in moto?»
«Certo. Dove andiamo?»
Alla fine, gli avevo lasciato scheda bianca sull'organizzazione della giornata: l'unica cosa che volevo, era non avere pensieri almeno per stavolta.
«All'inizio, pensavo di fare il solito giro turistico, ma poi sono incappato per caso in una locandina della pro loco e mi è venuta un'idea alternativa» spiega lui con fare misterioso.
«Devo preoccuparmi?» domando io, sollevando un sopracciglio.
«Diciamo che potrebbe essere qualcosa che potrebbe farti saltare di gioia come farmi rimediare un bel pugno in piena faccia.»
«D'accordo, sono preoccupata.»
«Niente di compromettente, comunque, almeno su questo puoi stare tranquilla.»
«Fantastico.»
Da come la sta mettendo, siamo in caduta libera verso la catastrofe. Se c'è una cosa che ho sempre amato – e temuto – di Ethan è proprio il suo spirito di iniziativa. Con lui puoi aspettarti veramente di tutto. Come quella volta che aveva proposto un'uscita tranquilla con il nostro gruppo del maneggio, e ci siamo ritrovati a fare rafting sull'Aniene.
Mi sistemo gli occhiali a cavallo del naso, seguendolo verso l'uscita della stazione e preparandomi mentalmente a qualunque cosa lui abbia in mente. Sono già stata a Firenze in passato, ma allora ero solo una liceale e non conservo altro che vaghi ricordi. La città è baciata dal sole e, per quanto siamo ancora agli inizi di febbraio, sembra quasi di poter percepire un timido assaggio di primavera. Le strade sono gremite di persone e solo a quel punto noto che alcune di loro, in particolar modo i bambini, indossano maschere e costumi dai colori sgargianti.
«Possibile che siamo a Carnevale?» chiedo spaesata.
«Benvenuta nel 2020, Anna cara» risponde Ethan ridendo. «Diciamo che sarebbe stata più a effetto Venezia, ma dubito che avremmo potuto assistere alle stesse iniziative.»
«Del tipo?»
In quel momento, un rombo lontano sembra rispondere alle mie domande. Mi manca il fiato, riconoscendo in quel suono qualcosa di profondamente radicato dentro di me, una pulsione selvatica e dimenticata che batte al ritmo del mio stesso cuore. Tamburi. Tamburi che risuonano in lontananza, tra le facciate delle case e le strette vie della città.
«Oh, no no no no» inizio subito a borbottare, intuendo all'istante le intenzioni di Ethan.
«E invece sì» ridacchia lui. «Coraggio, non hai ancora visto niente!»
Posso solo immaginare che cosa mi aspetta alla fine della strada, dove il grosso dei turisti sembra incanalarsi come in un'informe marea umana. A ogni passo, il rullare dei tamburi si fa sempre più forte. Giungiamo infine in piazza della Signoria, dove, all'ombra di Palazzo Vecchio e delle sculture maestose della Loggia dei Lanzi, hanno allestito una gigantesca arena in sabbia. La gente si accalca intorno alle transenne e agli spalti che delimitano il campo, sporgendosi in avanti e levando i cellulari di fronte alle evoluzioni di un gruppo di sbandieratori in abiti storici.
Ethan mi spinge a trovare un posto in prima fila, a un passo dalle transenne. A giudicare dalla sua espressione stampata in faccia, si sta divertendo come un cretino di fronte alle mie reazioni di puro sconcerto.
«Fammi capire bene,» dico io a voce alta, cercando di sovrastare il rullare dei tamburi. «mi hai fatta venire fin qui solo per assistere a una rievocazione storica?»
«Perché, cosa c'è di male?» risponde lui in tono innocente.
Per poco non mi viene da stampargli tutte e cinque le dita della mano destra sulla sua faccia da schiaffi, tanto l'ha fatta grossa. Anche perché so perfettamente dove vuole andare a parare. Per fortuna, mi trattengo al momento giusto, limitandomi a dargli le spalle e stringendomi le braccia al petto. Ci mancava solo la rievocazione storica, accidenti a lui! Altra cosa in cui, ai tempi d'oro, eravamo veramente forti, giù al ranch. Durante l'anno sportivo, il nostro calendario era occupato più da spettacoli equestri e rievocazioni storiche che dai concorsi. Il nonno era un vero appassionato e di conseguenza ci metteva veramente l'anima nel preparare tutto nei minimi dettagli, dai costumi alle coreografie. Di solito veniva tutto il paese ad assistere, e noi ci preparavamo all'evento addirittura con mesi di anticipo. Di solito, i nostri caroselli si tenevano in concomitanza con le feste comandate, e il Venerdì Santo eravamo noi a fare le comparse a cavallo per la tradizionale Via Crucis. Tutte cose che Sofia avrebbe bollato come barbarie da cavallari ignoranti, e di certo non roba da considerare anche solo lontanamente equitazione.
In questo momento, gli sbandieratori stanno lasciando l'arena per cedere il posto a un uomo in abiti rinascimentali.
«Ringraziamo ancora una volta i ragazzi per questa bellissima dimostrazione» esordisce quest'ultimo attraverso il microfono fissato a un angolo della bocca. «Ora vi prego di riservare il vostro applauso più fragoroso al pezzo forte di questa giornata. Diamo il benvenuto ai Cavalieri del Leone e ai maestri della Scuola Fiorentina di Falconeria!»
Il pubblico esplode in una forte ovazione, mentre una versione moderna dei Carmina Burana echeggia a tutto volume dalle casse poste ai margini dell'arena. I cavalieri fanno ingresso in sella ai loro possenti destrieri bardati come per una giostra medievale. Sono in totale cinque bai e un grigio candido come la neve, e avanzano compatti verso il centro dell'arena prima di dare inizio alle esibizioni. Dietro di loro, sfilano tre uomini e una giovane donna, ciascuno con un uccello rapace appollaiato sull'avambraccio protetto da uno spesso guanto di cuoio. Da questa distanza, mi sembrano due falchi e un allocco. L'uomo che apre il corteo dei maestri falconieri, grande come una montagna, esibisce una splendida e maestosa aquila.
Dopo aver salutato il pubblico, i cavalieri e i falconieri iniziano la loro esibizione, muovendosi nell'arena a ritmo di musica. Io seguo le loro evoluzioni con gli occhi spalancati, che di colpo sento bruciare per l'emozione. Mi porto le mani verso le guance, cercando di nascondere ancora di più la mia espressione da bambina di fronte al suo primo spettacolo equestre. I cavalli avanzano leggeri e sicuri sulla sabbia, esordendo con un carosello, i colli elegantemente ripiegati al contatto leggerissimo delle mani dei loro cavalieri, gli occhi buoni e sereni mentre si lasciano guidare nell'esecuzione delle figure di maneggio compatti e vicini l'un l'altro, senza però arrecarsi fastidio a vicenda.
Al centro del campo, i falconieri hanno liberato i loro rapaci, che ora volteggiano con grazia intorno ai cavalieri. Una volta finito, i cavalli si schierano al centro del campo, lasciandosi accogliere dall'applauso del pubblico senza mostrare alcuna irritazione, anzi, arrivando addirittura a studiare con curiosità quella folla di umani venuti a vederli.
A quel punto, i falconieri lasciano la pista. La musica cambia, e i cavalieri si lanciano in una serie di dimostrazioni equestri illustrate dalla voce del presentatore, cimentandosi uno alla volta in alcuni movimenti tipici del combattimento e della caccia, uno dei quali accompagnato dalla ragazza con il falco. Seguono poi delle prove di abilità e coraggio, dal tiro con l'arco fino a un percorso con il fuoco; il tutto si conclude con un vero e proprio torneo medievale.
Alla fine dello spettacolo, il pubblico esplode nell'ennesimo, fragoroso applauso, e io mi scopro a battere le mani più forte che mai. I cavalieri ci salutano con un ultimo giro d'onore al galoppo, mentre lo speaker li presenta uno alla volta prima di lasciare l'arena. A quel punto, viene annunciata la pausa pranzo con tanto di indicazioni verso gli stand gastronomici allestiti lungo la piazza.
Mi volto verso Ethan. Sono allo stesso tempo euforica e sconvolta, e lui sa fin troppo bene il perché. Io adoravo fare quella roba lì, mi riusciva decisamente meglio che saltare le baracche o sgambettare in un rettangolo nella speranza di ottenere il punteggio più alto.
«Allora, ti è piaciuto?» mi chiede, sfoggiando la sua migliore espressione da schiaffi.
«Riformulo la domanda» rispondo io, ancora visibilmente scossa. «Mi hai fatta venire fin qui solo per assistere a una dimostrazione storica?»
Ci fermiamo a mangiare seduti su un muretto a pochi passi da Ponte Vecchio, dopo aver rimediato un paio di focacce generosamente farcite con salumi locali, i volti baciati da sole che accarezza la città, illuminandola dei suoi caratteristici colori ocra. Finalmente mi sono decisa a togliermi gli occhiali, tenendoli sollevati sulla fronte a mo' di cerchietto.
«Allora?» torna alla carica Ethan una volta finito di mangiare. «Non mi hai ancora detto che cosa ne pensi della sorpresa.»
Accartoccio tra le dita la carta dentro cui tenevo avvolta la focaccia, rivolgendogli un'occhiata carica di imbarazzo.
«Io...» mormoro. «Sono confusa, davvero. Non fraintendermi, è stato tutto bellissimo. Però non capisco. Hai tanto insistito con il fatto che dovrei chiudere con il passato, quando invece sei il primo a rimettermelo continuamente davanti.»
«Perdonami, forse stai facendo un attimo di confusione» mi viene incontro Ethan. «Un conto sono le cose andate irrimediabilmente perdute, come il ranch per esempio. O le persone che in qualche modo ci hanno lasciato troppo presto. Almeno fisicamente» si ferma un attimo, sondando il mio sguardo prima di continuare. «Ma ci sono altre cose che invece sono destinate a restare per sempre con te, non importa quanto lontano andrai o chi diventerai. Sono parte di te, e ti guideranno sempre, in un modo o nell'altro. E anche se ora il buon vecchio Rudy non è più con noi, i suoi insegnamenti vivranno sempre nei nostri cuori. Almeno così è stato per me e, conoscendo la persona che sei, quando ti ho rivista quella sera a casa di Vittoria per me è stato come uno shock. Non avrei mai creduto di vederti così... persa, ecco. Proprio tu che da sempre hai nei cavalli un punto di riferimento e una guida. Ti giuro, da quella sera non mi sono dato pace. Non potevo vederti così. Anche perché so che, in parte, è stato per causa mia.»
Mi congelo improvvisamente, lasciando cadere lo sguardo sulle mie mani strette intorno alla carta ormai appallottolata nel disperato tentativo di non tradire alcuna emozione.
Ma allora lui sa?
«Anna, qualunque cosa sia successa allora, ti chiedo scusa. Davvero» prosegue Ethan. «Non era mia intenzione ferirti. Credimi.»
«Non capisco di che cosa tu stia parlando.»
«Avanti, lo sai benissimo invece.»
«Abbiamo solo preso strade diverse, tutto qui. Era prevedibile.»
«Sono stato un coglione, dimmelo pure.»
«Per cosa? Per aver preferito la mia migliore amica? Sciocchezze. Sara era molto meglio di me, questo lo sapevo bene. Il fatto che abbia voluto tagliare i ponti con entrambi è stato perché non mi andava di fare da terzo incomodo, tutto qui.»
«Ah, sì? Veramente il classico atteggiamento di chi si ritrova la migliore amica fidanzata.»
«Sai bene che ho un brutto carattere, okay? Volevo stare un po' da sola, visto che improvvisamente voi due non mi cagavate più. E poi, perché dovremmo stare a rivangare queste cose? È acqua passata, semplici screzi tra ragazzini.»
«Però da allora non sei più stata la stessa, sbaglio?»
Mi volto di scatto, fissandolo dritto negli occhi. Dal suo canto, Ethan non sorride più.
«Che cosa vuoi da me?» gli chiedo seccamente. «Ti prego solo di essere il più diretto e sincero possibile, perché non ho più tempo o energie da sprecare. Se sei venuto per scusarti dopo oltre dieci anni, va bene così, e chiudiamola qua. Io allora l'ho accettato, e sto andando avanti con la mia vita. E tu dovresti fare altrettanto con la tua.»
Mentre parlo, non riesco a credere a ciò che sta accadendo, a quello che leggo nei suoi grandi occhi scuri. Fino a un attimo fa credevo di essere io quella che aveva smarrito la strada, ma evidentemente le cose non stanno affatto così. Anche Ethan si trova nei casini fino al collo, forse anche peggio di me, e l'espressione allucinata sul suo volto ormai celebre è la stessa che aveva da ragazzino, quando si nascondeva dietro la scala di emergenza nella speranza che i bulli della scuola non lo trovassero per spaccargli di nuovo la faccia a pugni.
«Stai di nuovo scappando» mi lascio sfuggire dalle labbra, sondando attentamente la sua espressione. «Qualunque cosa sia, ne sei terrorizzato a morte.»
Ethan non risponde, ricambiando lo sguardo con gli occhi scuri spalancati. Non capisco se la mia risposta lo abbia spiazzato, o se sia stata semplicemente la conferma a un timore che covava da tempo.
«Non lo so» risponde dopo attimi che mi sono sembrati infiniti. «Davvero. Probabilmente, sono perso quanto te.»
«E allora, ha senso sperticarti così tanto per aiutarmi, quando non riesci nemmeno a badare a te stesso?»
L'espressione di Ethan cambia ancora, facendosi imbronciata. Nel vederla, mi scappa un sorriso involontario. Siamo di nuovo noi due, e ci stiamo nascondendo dai bulli sotto la scala.
«Non so dirti esattamente cosa sia accaduto, quella sera» risponde lui dopo un po'. «So solo che, nel momento in cui ti ho rivista, è successo qualcosa. È stato come risentirmi a casa dopo tanto tempo.»
«Una casa che non c'è più, almeno per me» le parole mi escono ben più dure di quanto avrei voluto, ma non mi importa. Voglio che abbia almeno un assaggio di che cosa si prova, quando si va a sbattere contro un muro laddove ci si aspettava il calore di due braccia pronte ad accoglierti. «Hai ragione, laggiù ci sono solo rovine. Non mi è rimasto più nulla per cui valga la pena di tornare. E, se solo ciò che mi ha insegnato il nonno avesse avuto un senso, a quest'ora non mi ritroverei in mezzo a una strada, dopo essere stata trattata come una sguattera per oltre un anno. È tutto morto, laggiù, e l'unica cosa che mi resta da fare è andare avanti. Perché, che ti piaccia o meno, le cose cambiano, Ethan.»
«Anna, io sono innamorato di te.»
Quelle parole mi arrivano addosso come un'improvvisa secchiata d'acqua bollente. Resto completamente basita per un istante, sicura che si tratti di uno scherzo.
«Che cosa hai detto?» chiedo sconvolta.
«Ecco, ho fatto la cazzata» borbotta lui, e in quel momento le orecchie gli diventano scarlatte come ogni volta in cui si sente in imbarazzo. No, in questo momento non sta recitando, ne sono sicura.
«No no no, aspetta... tu mi stai dicendo che io ti piaccio? Dopo oltre dieci anni che non ci parliamo e per di più a un passo dall'altare?»
«Te l'ho detto che sono un coglione.»
«Certo che sei un coglione, e di dimensioni monumentali anche!»
Per poco non lo prendo a schiaffi per davvero, nonostante abbia aspettato questo momento da moltissimo tempo.
«Da quanto?» torno alla carica, facendo appello a tutto il mio autocontrollo. «Da quanto tempo lo hai capito?»
«Non saprei dirlo con esattezza» risponde lui, con tutta l'aria di chi vuole sprofondare nel terreno e sparire. «Forse l'ho sempre pensato, ma l'ho capito solo quando ormai era troppo tardi.»
«Guarda che secondo me ti stai facendo trascinare dalle emozioni. In fondo, era solo una festa» cerco di farlo ragionare io.
«Non mi sto riferendo alla festa. È stato molto prima» Ethan si passa di riflesso una mano tra i capelli, scacciandosi il ciuffo ribelle dalla fronte. «Non so dirti quando è successo, so solo che mi trovavo ancora in Inghilterra, durante il periodo no. È stato allora che l'ho sentito. Una sorta di vuoto incolmabile, come se mi mancasse qualcosa di molto importante.»
«Avevi nostalgia di casa, tutto qui. È comprensibile, anche a me capita spesso.»
«È quello che credevo anch'io. Per questo sono tornato. Ma poi ho rivisto casa. Il ranch distrutto. Tante persone che se n'erano andate, in un modo o nell'altro. Era tutto cambiato, in così poco tempo. E poi, tu. Non ci crederai, ma quando sono tornato, le uniche cose che ancora mi facevano capire che ero a casa mi riportavano irrimediabilmente a te. La piazza del paese, dove ci sedevamo spesso quando uscivamo. La strada che portava al ranch. La nostra scuola. I pochi amici che ancora vivono lì. Non hai idea di quanto quel posto sia ancora pieno di te, per quanto sia cambiato.»
Trattengo il fiato, cercando di trovare le parole giuste per spiegargli che è naturale, quando si manca da casa per tanto tempo, aggrapparsi a ogni piccola cosa, ogni singolo ricordo felice, persino alle illusioni. Ma questa volta dalle labbra non esce nemmeno un sospiro, perché in realtà ciò che prova lui sono le stesse emozioni che mi hanno tormentata a lungo dopo la sua partenza, quando il nonno ancora stava bene e il ranch era l'unico luogo in cui mi sentissi al sicuro, nonostante Ethan avesse lasciato delle tracce indelebili anche lì. Conoscevo fin troppo bene quella sensazione soffocante. Quando ami qualcuno tanto a lungo, ogni cosa intorno a te porta in qualche modo l'ombra della sua presenza, specie in un paese piccolo come il nostro, dove tutti conoscono tutti ed era praticamente impossibile evitare una persona neanche volendolo.
Non è vero che i primi amori sono qualcosa di passeggero. Sono proprio quei sentimenti ancora acerbi a lasciare le cicatrici più profonde nel cuore e nella memoria, come prezzo per l'inesperienza. Allora non ero preparata né all'amore né alla prospettiva di riceverlo, e trovarmi di fronte ai miei sentimenti per Ethan per poi scoprire che non sarebbero stati accettati era stato per me un dolore troppo grande da sopportare. Un dolore da ragazzina, certo, che avevo portato dentro con bruciante orgoglio e che lentamente aveva finito per scavare molto più a fondo di quanto sarebbe accaduto se avessi avuto il coraggio di affrontarlo e di lasciarlo andare una volta completato il suo corso. E il risultato era stato che, alla fine, tutto questo mi era diventato insopportabile.
Il ranch del nonno era l'unica ragione che ancora mi teneva legata a quel posto, e quando anche quest'ultima mi è stata portata via, allora ho capito che era giunto il momento di partire. In un paese come il mio, le piccole cose appaiono molto più grandi di ciò che sono in realtà.
Eppure eccoci qua, dopo oltre dieci anni, a guardarci negli occhi con l'imbarazzo di due adolescenti al primo appuntamento. Perché, per quanto siamo andati lontani, una cosa è rimasta viva e bruciante nel tempo, e il momento in cui ha deciso di uscire allo scoperto è stato quando entrambi abbiamo capito che non saremo riusciti a stare sempre insieme. Dovevamo correre il più possibile l'uno lontano dall'altra, prima di renderci conto del vuoto che si era spalancato al nostro fianco.
«Scusami, Ethan, mi sono sbagliata» mi correggo finalmente. «Non sei un coglione. Sei solo pazzo. E, purtroppo, temo di esserla anch'io.»
E, arrivati a quel punto, faccio la cosa più ovvia, folle e dannatamente istintiva che mi passa per la testa in quel momento: mi protendo in avanti e poso le mie labbra sulle sue, donandogli il bacio più timido e sincero che potessi dargli. Lui non mi respinge, anzi, mi accoglie tra le sue braccia in un modo che non mi sarei mai aspettata, ma che in realtà ho sempre sognato. Non riesco a credere che stia accadendo davvero, eppure siamo qui, io e lui, completamente fuori da qualsiasi logica, due ragazzini fuggitivi che hanno scoperto l'uno nell'altra una irresistibile complicità.
Quando finalmente ci discostiamo, i nostri sguardi tornano a specchiarsi, e noto che i suoi occhi brillano di una luce del tutto nuova, che non gli ho mai visto prima. La magia dura per un'eterna manciata di istanti, prima di precipitare nuovamente sul pianeta Terra.
«Stiamo facendo una grandissima cazzata, ti rendi conto?» sussurro a mezza voce.
«Temo sia troppo tardi, ormai» risponde Ethan, visibilmente imbarazzato.
«Ti dico da subito che non ho alcuna intenzione di iniziare una relazione, specie se di mezzo c'è una terza persona» mi affretto a mettere in chiaro. «Mi sono lasciata da poco, per di più a un passo dalla convivenza, e sinceramente non trovo questa cosa giusta né per me né per te, e nemmeno per Nora. Capisci cosa intendo?»
Ethan annuisce, serio. Preferisco spezzargli il cuore prima che lui abbia il tempo di farlo a me per la seconda volta.
«Devi fare una scelta, Ethan» proseguo decisa. «So che non è facile, ma prima ancora di promettere cose che non puoi mantenere devi essere sicuro di quello che fai. Dal mio canto, io ho già sperimentato l'esperienza di una relazione a distanza, per di più con un eterno indeciso, e direi che mi è bastato. In tutta onestà, non ho alcuna voglia di soffrire di nuovo, o di trascinarmi in cose che non ci porteranno da nessuna parte.»
«Capisco.»
Ethan annuisce piano, e avverto la delusione riempire il suo sguardo. La sua reazione mi fa prudere le mani dal nervoso. Cosa si aspettava? Che dopo tutti questi anni gli cadessi tra le braccia come se niente fosse?
«Ethan, qualunque cosa accada, voglio che tu sappia una cosa» mi affretto a precisare, tornando a guardarlo negli occhi. Ormai non ci sono più confini tra di noi, dal momento che entrambi abbiamo messo a nudo i nostri sentimenti più fragili, e finalmente so di potergli dire tutta la verità senza temere di essere ferita. «Io ti amo, come ti amavo allora. E molto probabilmente continuerò a provare dei sentimenti per te anche in futuro, perché il posto che occupi nel mio cuore è veramente troppo importante, e non sarà facile strapparlo via. Ma proprio come allora ho scelto di allontanarmi da te per evitare che i miei sentimenti fossero causa di sofferenza per entrambi, ti prego di avere lo stesso tatto per le tue scelte future. Francamente, preferirei mille volte dirti addio in questo stesso istante piuttosto che dover rovinare il nostro legame per qualcosa che magari è solo un capriccio passeggero.»
«Stai dicendo che non ti fidi di me?» chiede Ethan sulla difensiva.
«Non ho detto questo» ribatto a mia volta. «Ti chiedo solo di essere sincero con te stesso, e anche con me. E con Nora, anche se ammetto che in tal caso sarebbe una grandissima infamata da parte tua.»
Ethan annuisce, senza rispondere. Le sue spalle si sono improvvisamente incurvate, e ora sembra più esile che mai.
«Mi dispiace che sia andata così» aggiungo subito dopo. «È che sono confusa. E tanto, tanto spaventata.»
«Posso capire» risponde Ethan. «Solo che temo di non poter sopportare di perderti di nuovo.»
«Non posso promettere che non accadrà» ribatto io. «Ma, in qualunque parte del mondo saremo, puoi stare sempre certo che potrai contare su di me.»
«Da come la stai mettendo, sembra tanto una fine» commenta lui tristemente.
«Può darsi.»
Ethan annuisce nuovamente, rabbuiandosi. «Avrei preferito evitare la friendzone» commenta subito dopo.
«Ma infatti non ti sto friendzonando. Ti sto solo chiedendo di pensare bene a quello che fai. Le mie condizioni le conosci. Non sono disposta a ricambiare i sentimenti di chi è già impegnato, tantomeno diventare la seconda scelta di qualcuno. Ci sono già passata, e l'ultima cosa che voglio è uscire da una prigione per entrare in un'altra.»
«Hai perfettamente ragione. Scusami.»
«Ma di che? Mi dispiace solo di aver rovinato tutto.»
«Ma no, anzi, sono contento di vederti finalmente più agguerrita.»
«Ed è stato sempre grazie a te.»
Lui mi sorride, anche se la sua espressione appare velata di tristezza. Mi dispiace moltissimo, ma quello che mi sta chiedendo è veramente troppo per me. Ho già vissuto questa esperienza dalla prospettiva di Nora, e ancora oggi faccio fatica a capire con quale faccia tosta Sofia abbia tirato dritto con Federico pur sapendo quanti e quali danni avrebbe causato. Io non sono lei e non ho alcuna intenzione di compiere un atto tanto infame ai danni di un'altra persona, per quanto Nora non rientri esattamente nelle mie simpatie.
«Credo sia arrivato il momento di andare» dico a un certo punto, controllando l'ora.
«Ti accompagno alla stazione» propone Ethan, e io non me la sento di rifiutare.
Camminiamo fianco a fianco per i vicoli del centro, senza parlare. Ethan appare decisamente cupo e l'atmosfera che è calata fra noi due si è fatta molto tesa. Calcolo mentalmente quanto manca alla stazione, pregando che questa tortura finisca il prima possibile. Sono ancora confusa, e dannatamente euforica. Non riesco ancora a capacitarmi del tutto di quanto è appena accaduto, e quasi stento a riconoscermi. Fino a poche ore fa, ero io quella che aveva bisogno di conforto, e ora scopro che la situazione si è completamente ribaltata.
Sicuramente è la prima volta che vedo Ethan in questo stato, lui che di solito ha sempre la battuta pronta e la sua faccia da schiaffi in bella mostra per tenere testa al mio carattere burbero. Vorrei tanto abbracciarlo, ma temo che in una simile circostanza il mio sarebbe un gesto che metterebbe in difficoltà entrambi.
Una volta giunti a destinazione, Ethan si ferma poco prima del binario. È visibilmente in imbarazzo, anche se continua a sforzarsi di sorridere.
«Ehi,» gli chiedo di slancio «stai bene?»
«Sì, ho solo i miei pensieri» si schermisce lui, scrollando le spalle.
«Ti ringrazio per quello che hai fatto oggi. Lo spettacolo e tutto. Almeno ora mi sembra di aver fatto un po' di chiarezza.»
«Avremmo dovuto farla molto tempo fa.»
«Allora non eravamo pronti. Avremmo rovinato tutto comunque.»
«Può darsi.»
È arrivato il momento di salutarci e stavolta non mi trattengo dall'abbracciarlo forte. Mi immergo nel suo profumo, e ancora una volta mi rendo conto di quanto mi sia mancato. Cerco di trattenerlo a fondo nella mia memoria, perché so bene che questa potrebbe essere davvero l'ultima volta che ci vediamo: la decisione di fronte a cui l'ho messo potrebbe infatti essere troppo grande persino per uno come lui, e la scelta più logica in questo momento potrebbe essere un addio.
«Fammi sapere quando arrivi a Roma» mi premuro di aggiungere dopo un ultimo saluto; poi mi avvio lentamente verso il binario.
Non appena salgo sul treno, mi volto ancora una volta verso l'uscita. Ethan è ancora lì, immobile tra la folla. Si è abbassato gli occhiali da sole a cavallo del naso, e quando le porte si chiudono e il convoglio inizia a muoversi lui resta a osservarlo con lo sguardo, agitando appena la mano nella mia direzione.
Solo a quel punto le emozioni si decidono finalmente a crollarmi addosso, scoprendomi a tremare dalla testa ai piedi. Cerco di rilassarmi lungo lo schienale, chiudendo gli occhi e rifugiandomi ancora una volta tra le note della mia canzone preferita.
Mi sento stranamente leggera, consapevole del fardello di cui mi sono finalmente liberata e allo stesso tempo piena di inquieti interrogativi su ciò che mi aspetta da qui in avanti.
Ethan ha ragione: quella di oggi è stata una fine. E, qualunque cosa avessi lasciato laggiù, ora sento di non avere più alcuna ragione per tornare.
Sono libera.
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