2. Amiche

Una vera amica è il dono più prezioso che si possa desiderare. L'ho sempre saputo e in questo momento me ne rammento con un'emozione indescrivibile, mentre stringo tra le mie braccia quelle che forse sono le persone più importanti che ho al mondo: Vittoria e Cornelia, le mie migliori amiche.

Sono come il giorno e la notte, così diverse e assortite in modo talmente assurdo che sembrerebbe quasi che il destino le abbia fatte incontrare di proposito.

Vittoria è alta e sottile, con lunghi boccoli biondi che le arrivano fin sotto le spalle. Adora abiti semplici e dal taglio vagamente vintage, che ben si adattano alla figura professionale che si è costruita intorno con il passare degli anni. Cornelia, invece, è bassa e rotondetta, con il viso paffuto e sorridente al disotto dei capelli neri tagliati a caschetto. Il suo più grande pregio è il non dare troppo peso a quello che possono pensare gli altri, e di certo il fatto che adori vestirsi in maniera casual è il suo tratto distintivo. Una cosa che io e lei abbiamo condiviso sin dal primo momento.

Io, Cornelia e Vi siamo un trio indissolubile da ormai molto tempo. Ci siamo incontrate sui banchi di scuola, all'inizio della quinta ginnasio, quando hanno unito le nostre classi dopo lo sterminio dell'anno precedente, e da allora siamo rimaste sempre in contatto, per quanto le nostre strade si siano separate una volta finite le superiori. Siamo tre persone completamente diverse, è vero, eppure quando siamo insieme tutto sembra funzionare alla perfezione, come se esistesse una sorta di delicato equilibrio che unisce ogni nostra conversazione, ogni momento condiviso, rendendolo maledettamente piacevole.

Ed eccole lì, le mie amiche, sedute sul divano del salotto di fronte a un tè caldo e due fette di pane in cassetta spalmate di nutella a testa, come se non fosse passato nemmeno un minuto dall'ultima volta che ci siamo viste.

Non faccio nemmeno in tempo a varcare la porta d'ingresso, che subito mi trovo circondata dalle loro braccia, un porto sicuro dopo una lunga traversata nel mare in tempesta. Le abbraccio a mia volta, stringendole a me e inspirando il loro profumo, e finalmente mi rendo conto di quanto mi siano mancate, e di quanto avrei voluto averle al mio fianco in questi ultimi freddi e interminabili mesi.

«Lascia pure la tua roba di là. Abbiamo un sacco di cose di cui parlare.»

«Come sta andando su?»

«E Fede? Come mai non è riuscito a scendere, quest'anno?»

Di colpo sento mancarmi l'aria. Vi se ne accorge, perché subito mi indica il divano.

«Direi che prima di tutto mettiamo qualcosa sotto i denti» mi dice, strizzandomi un occhio.

Solo allora mi rendo conto di avere una gran fame, e tutto ciò che desidero è bere ancora una volta il suo tè aromatizzato agli agrumi, e staccare un morso di pane in cassetta spalmato di nutella. L'unico ricordo ancora vivo a cui posso aggrapparmi in quella terra morta.

Sono cambiate, le mie amiche, me ne rendo conto man mano che parliamo. Vi ha iniziato a lavorare insieme a suo padre, e sta portando avanti un progetto tutto suo. Con Fabrizio, il suo ragazzo storico, va tutto bene: hanno deciso di sposarsi, alla fine, e la cerimonia è fissata per l'anno prossimo.

«Riuscirai a venire, o donna super impegnata?» mi chiede strizzandomi l'occhio, e io rispondo che farò tutto il possibile.

Cornelia invece si è lasciata da poco con Enrico, il tipo con cui è stata negli ultimi tre anni. Le cose non andavano più bene da tempo e quando lui aveva detto di non essere sicuro di voler intraprendere un progetto di vita insieme, lei aveva preferito troncare subito prima di ritrovarsi invischiata in una storia destinata a trascinarsi in uno squallido fallimento. Intanto, aveva iniziato a lavorare per un'agenzia immobiliare, e si trovava bene. Cornelia aveva mollato gli studi subito dopo la maturità, dal momento che gli innumerevoli problemi in famiglia le impedivano di prendere in considerazione seriamente qualsiasi percorso universitario.

«Ti troviamo bene, Anna» osserva Vi a un certo punto.

«Davvero?»

Quella constatazione mi coglie completamente impreparata.

«Certo!» Vi si porta per un attimo la tazza verso le labbra, prendendo una sorsata furtiva prima di continuare. «Hai uno sguardo diverso. Più maturo. Da vera donna.»

Le sue parole mi toccano nel profondo. Non me l'aspettavo, e sono sicura che lo pensa davvero.

«Grazie» mormoro, sollevando la tazza a mia volta. Il tè è ormai tiepido, avevamo veramente troppe cose da raccontarci.

«Allora, come sta andando su?» incalza Cornelia, andando subito a toccare il tasto dolente. «Che stai facendo di bello? Su Instagram ho notato che posti spesso foto di cavalli...»

«È un maneggio della zona» mi affretto a precisare. «Comunque, ora che ho finito gli esami, ho iniziato uno stage presso una casa editrice.»

«Davvero? Ma questa è un'ottima notizia!»

«Già» afferro distrattamente una fetta di pane. Il solo pensiero della mia postazione in ufficio mi ha messo addosso un'improvvisa fame chimica. «L'ho trovato tramite l'università. È anche in una bella zona, in pieno centro.»

«Che cosa ti fanno fare?» interviene Vi in tono pratico.

Bella domanda.

«Io... mi occupo di sinossi» cerco di spiegare. «Ogni volta che esce un nuovo bestseller, scrivo un riassunto della trama che non vada oltre i centoventi caratteri e lo inserisco all'interno di un database.»

Sondo i loro sguardi, sperando di aver dato loro l'impressione di essere stata più professionale e convincente possibile. A giudicare dalle loro facce, direi che non ci sono riuscita.

«Quindi tu scrivi riassunti» taglia corto Vi. «E...?»

«E basta. Ne faccio anche cinquanta al giorno, quando mi sento in forma» mi affretto a precisare.

«Ma ti pagano, almeno?» interviene Cornelia.

«No, ovviamente. Lo stage è promosso dall'università, serve per la tesi finale. Ma è solo per tre mesi, poi se ne riparla.»

«Nel senso che alla fine ti proporranno un contratto?»

«Non lo so. Lo vedo difficile, al momento. Probabilmente, dopo di me prenderanno un'altra stagista e ripartiranno col giro. Ma, intanto, mi sono fatta un po' di esperienza.»

«A scrivere riassunti» puntualizza Vi, senza preoccuparsi di apparire diretta.

«Mi sto guardando intorno, comunque» mi affretto a precisare. «E poi, stanno già parlando di pubblicare la mia tesi.»

«Su che cosa la stai scrivendo, che non ricordo?» interviene Cornelia.

«Archivistica digitale» rispondo io. «È su un nuovo motore di ricerca per la catalogazione dei periodici di letteratura moderna sul territorio italiano. Si trova ancora in fase sperimentale, se ne sta occupando la mia relatrice insieme ai dottorandi.»

«Capito.»

«E per il resto, invece?» torna alla carica Vi. «Il vero motivo per cui sei andata a vivere su?»

«Intendi dire Federico?»

«A parte lui.»

Mi mordo le labbra inavvertitamente. In questi giorni sono stata molto attenta a evitare l'argomento tabu se non direttamente interpellata. Ma con loro è praticamente impossibile evitare di finire a parlare di cavalli, per quanto siano estranee a questo mondo, e la cosa mi ricorda ancora una volta quanto mi vogliano ancora bene nonostante tutto, compresi i miei mille difetti e il mio assurdo stile di vita ai confini con la civiltà.

«Come ti trovi nel nuovo maneggio?» incalza Cornelia.

«Sto dando una mano» rispondo, laconica.

«Stai lavorando» precisa Vi, più informata sui fatti.

«I miei genitori non lo definirebbero un lavoro» mi scappa fuori dai denti, ancora agra per la discussione di pochi giorni prima.

«Perché, scrivere riassunti da centoventi caratteri lo è?» Vi ridacchia, ma senza malizia, ha avvertito il mio disagio e vuole trovare il modo di alleggerirlo. «Dai, coraggio, cosa ti fanno fare?»

«Nulla di impegnativo. Mi occupo dei cavalli, più che altro. Rifaccio i box, preparo i pony della scuola in vista delle lezioni, qualche volta seguo un paio di ragazzini quando l'istruttrice non può. Tutto qui. Del resto, avendo in mano solo la qualifica di Tecnico di Base, al momento non posso fare molto altro.»

«Ma, per quel poco che hai, è già qualcosa, giusto?

«Beh, sì. Perlomeno mi pagano. Poco, ma mi pagano. E in maniera anche adeguata per le ore che sto facendo. E, nel frattempo, l'istruttrice che c'è lì mi ha presa come tirocinante, in modo tale da andare avanti a imparare il mestiere ed essere pronta per l'esame del passaggio di livello successivo... Che c'è?»

Man mano che racconto le mie avventure bolognesi, ho notato un sorriso allargarsi sui volti delle mie amiche.

«Eccoti, ora ti riconosciamo al cento per cento» spiega Vi. «Quando parli di cavalli, gli occhi ti si illuminano in un modo che nemmeno immagini.»

«Perdonatemi, sono monotematica come al solito.»

«No, invece. Anzi, dovresti essere fiera di quello che stai facendo» interviene Cornelia in tono deciso. «Cavolo, avrei voluto avere io la tua stessa passione nel fare qualcosa.»

«Lo so, ma è anche vero che molto probabilmente sto solo perdendo tempo in qualcosa che non mi porterà da nessuna parte.»

«Hai di nuovo litigato con i tuoi, vero?» domanda Vi.

Traggo un profondo sospiro, annuendo. La storica avversione dei miei genitori verso tutto ciò che ha a che fare con l'equitazione è nota alle mie amiche sin da quando ci conosciamo, e sono sempre state loro a darmi il giusto sostegno ogni volta che uscivo dall'ennesimo litigio con il morale a pezzi.

«Diciamo che non hanno apprezzato al cento per cento la mia decisione di trovare un piccolo impiego mentre sto ultimando gli studi» spiego.

«In pratica, te l'hanno bocciata con tanto di maledizioni e anatemi.»

«Fino alla terza generazione. Esatto.»

«Ottimo, vuol dire che sei sulla strada giusta!» Vi sorride, strizzandomi un occhio con fare complice. «Per l'amor del cielo, Anna. Smettila di ascoltare le loro ansie, altrimenti finirai davvero per non concludere niente nella vita. La situazione sappiamo tutti qual è: un vero schifo. Al giorno d'oggi, avere una passione e trasformarla in un lavoro vero e proprio è la più grande risorsa che una persona possa possedere. Credimi. E tu, come amazzone e aspirante istruttrice, hai veramente tanto talento. Noi l'abbiamo sempre saputo, ti sosteniamo da una vita, e continueremo a fare il tifo per te, perché te lo meriti tutto. Se i tuoi vecchi non se ne rendono conto, tanto peggio per loro, vedranno i risultati tra qualche anno.»

Io ascolto ogni sua parola con il cuore gonfio di emozioni, e di colpo mi accorgo di avere gli occhi lucidi. Una delle qualità che ho sempre ammirato di Vi è proprio la sua schiettezza e ai tempi non si era mai fatta troppi problemi a evidenziare ciò che pensava dei miei genitori in situazioni del genere.

«Vorrei che tu avessi ragione» mormoro. «È solo che ho tanta paura.»

«Ci siamo noi, per questo» Vi mi appoggia una mano sulla spalla, e nel frattempo si scambia un'occhiata di intesa con Cornelia. «È normale, Anna. Tutti ne abbiamo. Per questo dobbiamo essere unite, anche se separate momentaneamente da una grande distanza fisica.»

«Ti sta dicendo che dovresti far sentire un po' più spesso» le sopracciglia scure di Cornelia assumono un'espressione severa.

A quelle parole, divento di tutti i colori. In effetti, negli ultimi due anni sono decisamente sparita dai radar, e il fatto che in quel momento mi trovi sul divano a parlare con loro dopo tanto tempo è stata quasi una coincidenza, dal momento che Vi mi ha praticamente sequestrata per questa sera dietro le peggiori minacce non appena ha saputo che sarei rientrata a casa per le Feste di Natale.

«Avete ragione» ammetto. «Scusatemi, sono sempre presa da mille impegni.»

«Lo sappiamo. Solo che, una volta tornata su, vedi di non sparire di nuovo tra le nebbie della Pianura Padana » ridacchia Cornelia.

«E, se hai un problema, non esitare a chiamarci» incalza Vi.

«È solo che non vorrei disturbare...»

«Ma quale disturbo! Da quando ti fai questi scrupoli, con noi?»

«Ehm...»

«Avanti, cosa c'è?»

«Cosa c'è cosa?»

«Non ce la stai raccontando tutta. Che sta succedendo, Anna? A noi puoi dirlo, lo sai.»

Deglutisco, distogliendo per un attimo lo sguardo dai loro occhi carichi di attesa. Bingo.

Mille pensieri attanagliano in questo momento la mia mente, ma non riesco ad afferrarne nemmeno uno con le parole giuste.

Come faccio a descrivere loro di come mi sono sentita, quando il mio istruttore mi ha costretta a guardare mentre frustava quasi a sangue un cavallo della scuola solo perché si era rifiutato di saltare due volte lo stesso ostacolo? O di quando Federico, nel momento in cui a una festa ha abbracciato in maniera un po' troppo confidenziale Sofia, mi ha accusata di essere solo gelosa, che queste sono cose che tra amici si fanno? Come del resto è normale che loro due passino tutto il giorno a messaggiarsi, e che l'ultima volta che si sono sentiti, mentre io ero barricata in maneggio a far passeggiare su e giù per il campo coperto un pony affetto da colica, loro due sono rimasti attaccati al telefono per quasi tre ore?

«Ho solo bisogno di staccare un po'» è tutto quello che riesco a dire. «Trovare il modo per schiarirmi le idee, di pensare senza che nessuno si metta in mezzo con le sue assurde chiacchiere. Di dedicare un po' di tempo a me stessa e capire se quello che sto facendo è effettivamente la cosa giusta.»

«Mi sa che è da un bel po' di tempo che non ti concedi una serata di svago, vero?» domanda Cornelia.

«Già. Ti giuro, sto diventando una vecchia biliosa.»

«Ma dai, smettila che sei un fiore!» commenta Vi, ridacchiando. «Direi che questa è la serata perfetta, allora. Vietato pensare alle cose tristi o alle preoccupazioni, ora siamo di nuovo tutte e tre insieme e abbiamo tutto il diritto di divertirci. Al diavolo quello che possono pensare gli altri!»

Sorrido, provando l'istinto di stringere entrambe in un abbraccio di gruppo. Avverto di nuovo le loro braccia stringersi intorno a me dopo tanto tempo, e di colpo mi sento finalmente a casa, al sicuro. Lontana dalla paura.

«Mi siete mancate, ragazze» mormoro, lasciandomi cullare dal loro calore.

Solo allora mi rendo contodi quanto mi sia sentita sola durante tutto questo tempo. 

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