17. I Dissidenti

Questa notte non ho praticamente chiuso occhio. Appena mi sono rifugiata sotto le coperte, una valanga di pensieri mi ha assalita al punto da dissipare tutta la stanchezza accumulata e tenendomi sveglia e vigile fino all'alba. Solo allora sono caduta in una sorta di dormiveglia in cui sogni confusi e cupi si sono rincorsi uno dopo l'altro fino al suono della sveglia, che ho salutato con un certo sollievo. Ormai mi capita spesso, il fatto di non riuscire a dormire. Le ore di sonno si riducono a una timida manciata ogni notte, e al risveglio mi sento spesso stanca e intontita, come se non avessi riposato affatto. Mi domando se non sia il caso di farmi vedere, o perlomeno di iniziare a prendere qualcosa che mi aiuti a ritrovare un certo equilibrio, ma il solo pensiero di dipendere da dei farmaci mi fa rabbrividire e non vorrei cadere in una simile spirale.

Dedico la mattinata allo studio, anche se trovo difficoltà a concentrarmi. Troppi pensieri per la testa, primo fra tutti il fatto che oggi andrò a vedere un altro maneggio, e la cosa mi innervosisce parecchio, neanche stessi per compiere un efferato atto criminale. Il punto è che sono consapevole che Paola e Sofia non approverebbero. Anzi, lo vedrebbero quasi come un tradimento nei loro confronti. Ma se non glielo dico, loro non lo verranno mai a sapere, giusto? E se invece fosse tutta una trappola, e in realtà Khadija sta cercando di attirarmi laggiù per mettermi ancora più nei guai con loro e togliermi letteralmente dai piedi?

"Sei solo un'ingenua, Anna" pigola nella mia testa la voce maliziosa di Sofia, e mi ricordo benissimo quando, un po' di tempo fa, lei stessa mi ha sussurrato queste parole alla fine di un'accesa discussione fra me e lei. "Sei una persona così candida, così buona, che veramente non so quanto riuscirai a sopravvivere là fuori, con tutti gli squali che ci sono in giro pronti a divorare un bel bocconcino come te. Ammiro molto la tua onestà, il tuo voler vedere a tutti i costi del buono in chiunque, ma sappi che non è affatto così. Devi iniziare a farti furba, a guardarti le spalle, perché la gente non è né buona né onesta, e se non ti dai una bella svegliata di te non resteranno nemmeno le ossa."

Lo so, sono fatta così, e per quanto mi sforzi non riesco a cambiare. In questi ultimi mesi bolognesi, ne ho viste letteralmente di tutti i colori, soprattutto in scuderia: atti di bullismo verso gli allievi della scuola per il solo fatto che i genitori non riuscivano a permettersi di pagare una fida o comprare cap e attrezzature di quella specifica marca, tentativi di truffa ai danni di Paola da parte di persone insospettabili, fino a vere e proprie storie di corna tra privati. Di certo in maneggio non ci si annoia mai a suon di pettegolezzi, e il motivo per cui spesso Paola è così ligia a far rispettare le regole e mantenere una condotta degna di un collegio svizzero è dovuta anche all'evitare che la situazione degeneri nel caos e nell'anarchia più totale. Il che però mi lascia basita ogni volta, impreparata di fronte agli schiaffi che puntualmente mi arrivano da parte di persone che stimavo fino a un attimo prima. Allievi e genitori che fino a quel momento erano apparsi gentili con me e che poi vado a scoprire che mi parlavano dietro allegramente. Persone apparentemente disponibili che intanto non pagano la pensione del cavallo da mesi e che magari stanno facendo un periodo di prova in un altro maneggio all'insaputa di tutti. Padri che accompagnano i figli a montare con il solo pretesto di vedersi con l'amante, e i consorti legittimi pronti a scatenare il putiferio pur di denunciare la cosa, con il rischio di far finire in guai seri persino Paola, che finisce puntualmente per mettere alla porta tutti e chiudere la faccenda a suon di avvocati se i tizi coinvolti non si danno subito una regolata.

È vero, sono andata a vivere in una grande città e di conseguenza la vita è diversa, più frenetica e complicata. Anche giù in paese avevamo le nostre beghe e pettegolezzi, ingigantiti dal fatto che là ci conoscevamo praticamente tutti e di conseguenza anche la più piccola voce diventava ben presto di pubblico dominio. Ma è anche vero che non esisteva questo clima di perenne tensione e opportunismo, come se chiunque potesse pugnalarti alle spalle da un momento all'altro solo perché non gli servi più, o aveva messo gli occhi su qualcosa di tuo e voleva portartelo via a tutti i costi solo perché provava l'invidia più becera. Il fatto che vivessimo in una comunità ristretta era un'arma a doppio taglio: da una parte era praticamente impossibile mantenere un segreto, dall'altra ti proteggeva in qualche modo da questo tipo di sottili cattiverie. In ogni caso, sapevi di poter contare sempre su qualcuno, poco importava chi fossi: se succedeva qualcosa, c'era comunque un amico o un parente pronto ad aiutarti e consigliarti.

Ne avevo avuto la dimostrazione alla festa di Capodanno, quando ho rivisto Vittoria e Cornelia. O anche con Ethan, che nonostante tutto si ostina ad aiutarmi a fare ordine alla valanga di problemi che per mesi e mesi ho accumulato e mi sono tenuta dentro, per paura di apparire debole o ancora peggio di fare la figura della vittima. Sono diventata una persona silenziosa, anche se dentro vorrei urlare, stufa di questo ambiente così tossico. Mi sento sola, maledettamente sola, perché non ho più nessuno accanto di cui mi fidi veramente, e la cosa peggiore è che al momento non riesco a vedere un'alternativa. Faccio fatica a inserirmi in questa città proprio perché avverto il divario abissale fra la mia mentalità, così candida e ingenua come afferma Sofia, e gli altri. Non riesco a farmi degli amici perché ogni volta che qualcuno mi si avvicina avverto quel sottile tono falso e malizioso nella voce che mi fa intuire sin da subito quanto i nostri tentativi di allacciare un qualsiasi rapporto siano finti e fumosi, quasi un modo per riempire il vuoto e la noia con interminabili aperitivi e frasi di circostanza, e a me questa cosa non piace. E la gente se ne accorge, ed è per questo che si allontana quasi subito. Forse sta andando così anche con Federico, o con il gruppo: sentono che sono diversa, poco propensa alla malizia e alle battute saccenti di fronte alle quali mi ritraggo, e per questo mi evitano sempre di più. Già, peccato che anche in paese mi sentissi perennemente un pesce fuor d'acqua per altri motivi. Speravo che in città fosse diverso, che riuscissi a nascondermi in mezzo al caos e trovare la mia dimensione una volta per tutte. Quanto mi sbagliavo! Alla fine, l'unico posto in cui mi sono sentita veramente a mio agio era il maneggio. Ora, invece, persino lì comincio ad avere dei problemi, a vedermi come la solita disadattata. Questa sensazione non mi piace, mi mette profondamente a disagio.

Per questo non sono affatto convinta quando, all'ora stabilita, mi presento all'appuntamento con tutta l'aria di chi vorrebbe trovarsi da tutt'altra parte. Non mi sono nemmeno messa gli abiti da equitazione e ho lasciato i capelli sciolti per paura che qualcuno mi riconosca e mi additi come una traditrice. Khadija è già arrivata, sta fumando pigramente una sigaretta con la schiena appoggiata al suo Defender con un atteggiamento di tacito orgoglio. La giornata è meno grigia di ieri, ma dannatamente fredda.

«Oh, eccoti!» mi saluta Katy appena mi vede scendere dall'auto. «Andiamo con la mia o mi segui con la tua?» aggiunge subito dopo, indicando la sua auto.

«Preferirei seguirti con la mia, se non ti dispiace» faccio io, e in tutta risposta lei scoppia in una fragorosa risata.

«Cos'è, hai paura che ti rapisca o cose simili?» ribatte, e intanto getta via la cicca.

«Più che altro mi è più comodo al ritorno» butto giù lì, sperando che se la beva.

Lei annuisce, aprendo la portiera. «D'accordo, allora. Andiamo, che Stella inizierà le lezioni tra poco.»

«Stella?»

«La mia istruttrice» spiega Khadija. «Vedrai, ti piacerà.»

«Lo spero.»

«Le opzioni sono due: o la ami, o la odi. Con lei, non ci sono vie di mezzo. Per questo ci tengo a presentartela. Poi prenderai le tue decisioni.»

«Capito.»

Questa prospettiva non piace affatto. L'ultima cosa di cui ho bisogno in questo momento è l'ennesimo drago che mi urli addosso quanto sono scarsa. Sinceramente sono un po' stanca di sentire sempre la stessa storia, e giuro che se anche questa mi ripete le stesse identiche cose che mi tocca sentire quotidianamente da Paola e che in precedenza mi sono state scagliate addosso durante l'ultimo periodo al ranch, allora potrò dire di aver chiuso definitivamente con il mondo dell'equitazione. Non sto scherzando, questa è veramente l'ultima spiaggia.

Ci mettiamo in marcia. Contrariamente alle mie aspettative, Khadija non parte subito a stecca come mi sarei immaginata, procedendo a una velocità ragionevole e addirittura fermandosi ad aspettarmi quando a una rotonda una vecchia utilitaria mi ha tagliato la strada, facendomela perdere di vista. Non che la sua auto sia difficile da ritrovare: è una specie di mostro schizzato di fango che a occhio e croce avrà almeno quattordici anni, con quel gigantesco comignolo che spicca al disopra del tettuccio. Come ha fatto a rimediarlo, non lo so. Probabilmente, l'avrà pagato una miseria e rimesso in sesto a suon di calci e bestemmie, e per questo motivo trasuda orgoglio e ignoranza in ogni centimetro della sua carrozzeria rosso fuoco.

Usciamo rapidamente dalla zona industriale, lasciandoci alle spalle i capannoni e i quartieri fantasma per inoltrarci nella campagna ai piedi delle colline, il sole del primo pomeriggio che indora pigramente i campi e i canali, fino a declinare dolcemente verso le montagne. Ci inoltriamo per stradine sempre più sinuose e strette, costeggiate da piccoli e grandi casali, e subito inizio a sentirmi sempre più a mio agio, quasi stessi tornando nel mio ambiente naturale. A un certo punto, nel cortile di una casa intravedo un grasso pony circondato da un piccolo esercito di galline e qualche coniglio, e subito penso a quanto mi piacerebbe vivere in un posto del genere.

Quasi non mi accorgo che Khadija ha inserito la freccia e sta sgattaiolando in una strada privata, talmente piccola e stretta che il suo Defender ci passa appena. Quasi mi fa strano vederla avanzare a passo d'uomo, con inaspettata cautela. Il fondo non è asfaltato e frammenti di ghiaia ticchettano allegramente contro il parafango. Prego solo che non lascino segni visibili, o dovrò ingegnarmi a farli sparire prima che Paola o Sofia li notino e mi facciano domande sulle mie eventuali scorribande domenicali.

Sulle prime, il posto dove siamo arrivate non mi sembra neanche un maneggio. Non c'è alcun cartello all'ingresso, fatta eccezione di una bandiera pirata dipinta su una tavola di compensato appesa di traverso di fianco al cancello. Posteggiamo le nostre auto di fronte a un vecchio fienile riverniciato di rosso, su cui campeggia la scritta a caratteri corsivi "I Dissidenti SSD" al disotto del profilo giallo splendente della testa di un cavallo, la stessa dello stemma Parelli.

All'ingresso del fienile sono legati tre cavalli, un Paint e due Quarter Horse. Nonostante faccia un freddo polare, hanno indosso solo delle normali coperte in plaid. In compenso il loro pelo è talmente folto e lucido da far presupporre che non abbiano mai visto una tosatrice in vita loro. Anche al ranch eravamo soliti a non tosare i cavalli durante l'inverno, a eccezione di quelli che facevano concorsi. A "I Pioppi", invece, con i primi freddi tutti i cavalli vengono tosati per evitare che il sudore si accumuli dopo il lavoro, e il gelo viene combattuto con due coperte imbottite messe una sopra l'altra.

Riconosco subito Ginevra, la ragazza che sta trafficando con una sella inglese intorno al Quarter sauro. Nel vederci arrivare, corre subito a salutarci, le guance arrossate dal freddo che sfuggono al disotto del cappello di lana e lo scaldacollo tirato fin sotto il piccolo naso all'insù.

«Ehilà, sei in ritardo!» esclama ridacchiando. «E lei è...?»

«Anna» mi presento io timidamente, allungandole una mano guantata.

«Nuova leva, a quanto vedo! Tanto piacere, io sono Ginevra» mi saluta lei, serrandola in una stretta d'acciaio.

«Sono qui solo per dare un'occhiata» mi schermisco io, terrorizzata al solo pensiero che le amiche di Khadija saltino subito a conclusioni affrettate.

«Stella deve ancora arrivare?» chiede lei subito dopo.

«Sarà qui a momenti» risponde Ginevra, riprendendo a trafficare con la sua sella. «Monti con noi?»

«Yessa.»

Khadija le strizza un occhio, facendomi cenno di seguirla. Entriamo nel fienile, che scopro fungere anche da selleria. L'interno è freddo e polveroso e sulle pareti sono stipate in allegro disordine selle sia inglesi che americane insieme a capezze e lunghine dai colori brillanti e una serie di carrot stick. Un armadio è riservato alle cassette di bellezza, molte delle quali decorate con adesivi e scritte a pennarello che riportano i nomi dei cavalli e dei loro proprietari. Vicino all'ingresso, spicca un grosso secchio di plastica colmo di biscotti, con segnata sul coperchio la frase: "servirsi a volontà ma non troppo, grazie."

Khadija stacca dalla parete una capezza color giallo evidenziatore insieme a una lunghina verde smeraldo e afferra una cassetta dall'aria vissuta con la mano libera.

«Avete tanti cavalli privati?» chiedo mentre la seguo nuovamente verso l'esterno.

«Abbastanza, sì. Più che altro, sono di allievi storici di Stella che hanno deciso di prendersi un cavallo proprio. Ma in realtà abbiamo una scuola parecchio frequentata. Se non sbaglio, i cavalli sono in tutto una decina. Non abbiamo pony però, Stella sa essere abbastanza rognosa con i ragazzini.»

«Ah.»

Mi guardo attorno, parecchio confusa. Mi sono talmente abituata all'ordine scintillante de "I Pioppi" che quel posto mi sembra a dir poco una vecchia topaia, e non vorrei essere finita in un covo di cavallari.

Khadija esce dal fienile e prende a marciare verso i paddock, io che le trotterello al seguito lanciandomi intorno occhiate nervose. Noto con una punta di compiacimento che non ci sono box, e i cavalli pascolano beati in ampi recinti fangosi, separati solo da un sottile filo bianco che farebbe inorridire Sofia alla sola vista.

«Qui siamo per la gestione naturale» spiega Khadija in tono pratico. «I cavalli vivono in piccoli branchi e restano fuori tutto il giorno, a prescindere dalle condizioni meteo. Ah, e nessuno ha i ferri. Siamo tutti barefoot.»

«Fico.»

Al momento non mi vengono in mente altre parole. È tutto così diverso dal luogo a cui sono abituata che temo di essere sul punto di essere colta da un principio di labirintite. Niente campo coperto, niente scuderie all'avanguardia, niente selleria sterilizzata con impianto antifurto incorporato. A essere sincera, al momento non lo vedo proprio, il campo. In compenso, i cavalli sono all'aperto, in ampi recinti dove possono correre, sgroppare, rotolarsi e brucare a loro piacimento. E sono in gruppo, guardandosi, annusandosi e socializzando a vicenda senza che nessuno abbia il terrore che si feriscano o si facciano male. In fondo, a loro cosa importa dei box di ultima generazione, della sella griffata o dei biscottini a fine lezione se poi non hanno neanche un buco dove potersi comportare in maniera naturale?

Man mano che passiamo in rassegna i paddock, noto i loro sguardi, incredibilmente vispi e pacifici mentre levano la testa verso di noi con i musi incrostati di fango e il pelo selvaggio che sfugge dalle coperte. Molti di loro sembrano cavalli da monta americana, ma alcuni sono visibilmente da salto ostacoli: mammut solitari che brucano placidi tra l'erba gelata, svettando come montagne semoventi in mezzo ai compagni.

Uno di loro sta trottando in circolo intorno a un ragazzo biondo, che riconosco subito come Valerio. Khadija lo saluta allegramente, e lui risponde con un rapido gesto della mano prima di tornare a dedicarsi al suo bisonte.

«Come vedi, qui c'è un po' di tutto. Poi, se avrai voglia, ti presento anche i cavalli della scuola» spiega lei. «Oh, ecco Breeze.»

In quel momento, una cavalla dal manto scuro fatta eccezione di una lista bianca che le attraversa il muso e quattro balze sugli arti ci corre incontro nitrendo. È poco più alta di un pony e sembra incredibilmente aggraziata e veloce.

«Ti presento la mia bambina» annuncia Khadija, entrando nel paddock e accarezzandole il muso. Lei la saluta leccandole la mano tesa e prendendo a strofinare la grossa testa contro la sua spalla.

«Quarter?» chiedo io.

«Paint No Color. Era una campionessa di reining, prima che si rompesse un legamento e rischiasse di finire al macello. Poi l'ho trovata io e, be', è stato amore a prima vista. Ormai sono cinque anni che lavoriamo in Parelli. Si è perfettamente ristabilita, se te lo stai chiedendo.»

Khadija le infila la capezza, e Breeze la lascia fare prima di seguirla docilmente all'esterno. Quando mi arrivano accanto, io non resisto e le accarezzo a mia volta il muso. Ha un manto incredibilmente lucido e morbido, nonostante sia ricoperta di fango, e subito lei mi annusa la mano e mi mordicchia le tasche del cappotto alla ricerca di biscotti.

«Un po' di educazione, signorina» le intima Katy ridacchiando. «Vieni, devo sellarla per la lezione.»

Torniamo al fienile, dove Khadija assicura Breeze a un anello fissato sulla parete esterna. La pulisce rapidamente, eliminando i residui di fango, poi le lancia sulla schiena una sella americana grande come una barca. Proprio in quel momento, il placido silenzio del pomeriggio viene spazzato via da una sinfonia orchestrale sparata a tutto volume, e per un attimo mi convinco che sia arrivata l'apocalisse, salvo rendermi conto che la musica non proviene dai cori angelici, bensì dall'impianto stereo di ultima generazione del pick-up lucente che si è appena fermato nel parcheggio.

«Eccola» ridacchia Ginevra, stringendo la sella.

«Che cosa dice la playlist di oggi?» chiede Khadija.

«Sembra tanto il Dies Irae di Verdi.»

«Ah, ecco perché mi sembrava di averla già sentita.»

«Ehm, tutto bene?» chiedo io, il tono di voce esageratamente alto per sovrastare la musica.

«Tranquilla, Stella è una patita dell'opera. Ti ci abituerai» spiega Ginevra.

«Oh.»

Okay, ora sono veramente preoccupata! Intanto Stella ha appena spento il motore e sta uscendo dalla macchina, e in tutto questo mi sto chiedendo che aspetto possa avere una persona che ascolta l'opera a tutto volume dall'interno di un fuoristrada colossale manco fossero gli Iron Maiden. Resto completamente spiazzata nel momento in cui mi rendo conto che la persona in questione è una ragazza che avrà all'incirca la mia età, piccola e minuta con le guance paffute spruzzate di efelidi – ma saranno vere o è una sorta di makeup? – e un grazioso naso all'insù a cui è fissato un piercing lucente. Ma la cosa più sconvolgente sono i suoi capelli, di un verde acquamarina che sfuma verso l'azzurro cielo, raccolti in due lunghe trecce che le sfuggono dal cappello di lana. Sembra una via di mezzo tra un folletto e qualche strano essere emerso da uno sperduto villaggio di nativi americani, dal momento che i suoi abiti comprendono svariati strati di poncho e maglioni di lana dai motivi sgargianti.

«Buongiorno, mie prodi amazzoni!» ci saluta con una voce incredibilmente energica per una ragazza della sua statura.

«Ciao, Stella» ricambiano Khadija e Ginevra all'unisono.

«Siete pronte? Possiamo andare in campo?» fa Stella in tono sbrigativo. Poi, i suoi lucenti occhi scuri si posano su di me, e io abbasso istintivamente lo sguardo intimidita. Non vorrei essere troppo precipitosa, ma temo che sia persino più bassa di Sofia. «Abbiamo visite, vedo» commenta, rivolgendomi un sorriso gentile. «Con chi ho il piacere di parlare?»

«Sono Anna» mi presento io, porgendole la mano. «Sono venuta con Khadija.»

«È una mia collega» spiega lei. «Lavora a "I Pioppi".»

«Oh, abbiamo infiltrati da Alcatraz, allora!» risponde Stella, ridacchiando.

«Sono venuta qui solo per cambiare aria, niente di che» ribatto io, sentendomi subito in imbarazzo.

«Anna è in crisi» interviene Khadija. «È stufa di litigare con quei macellai, per questo le ho proposto di venire a provare il Parelli. Anche perché sarebbe un vero peccato, se smettesse di montare.»

«Aspetta di vedermi in sella, prima di parlare» rispondo a mia volta, e subito le altre due scoppiano a ridere.

«Questo è tutto da vedere» Stella mi strizza un occhio. «Forza, ragazze, al lavoro!»

Ginevra e Khadija corrono dai loro cavalli, e insieme ci dirigiamo verso il campo, che sorge alla fine dei paddock. Nel vederlo, resto completamente spiazzata. Non ha niente a che vedere con il nostro colossale campo coperto, grande quasi quanto un palazzetto dello sport. Il campo de "I Dissidenti" è un semplice recinto di quaranta metri per sessanta circondato da uno steccato sbilenco e ricoperto da un sottile strato di sabbia da cui emergono impertinenti chiazze d'erba. Qua e là, sono disseminate barriere scrostate, diversi coni, un paio di barili e una croce solitaria.

«Perdona il disordine, ultimamente stiamo facendo un po' di lavori di manutenzione» spiega Stella, invitandomi ad accomodarmi accanto a lei al centro del campo.

Ginevra e Khadija ci seguono, schierandosi poco più in là e finendo di stringere le selle, per poi passare le lunghine intorno al collo dei loro cavalli e annodandole in modo tale da formare due redini.

«Ti avverto che se vorrai provare il Parelli dovrai imparare a fare un sacco di nodi» spiega Khadija, notando la mia aria perplessa; poi monta agilmente in sella.

Ginevra invece ha iniziato a longiare il suo cavallo (che poi scopro chiamarsi Kevin) restando perfettamente immobile al centro del circolo e passandosi la corda di mano in mano mentre lui le gira attorno.

«Alt e redini di controllo, Katy» intima nel frattempo Stella rivolta alla sua allieva.

Lei obbedisce, fermando Breeze portandosi una mano verso la coscia e piegandole il collo di lato con estrema dolcezza, anziché tirare entrambe le redini come sono abituata io.

«Non usando l'imboccatura, è inutile tirare le redini» mi spiega Stella nel notare la mia aria perplessa. «Per questo, nel freestyle usiamo le flessioni laterali, la respirazione e il peso del corpo per far andare il cavallo. Da qui non lo vedi, ma prima di fermare Breeze, Khadija ha buttato fuori l'aria e bloccato ogni singolo movimento del corpo, allontanando le gambe dal costato e togliendo ogni pressione.»

Katy ripete l'azione più volte a entrambe le mani, solo allora Stella le dà il permesso di iniziare a trottare. I suoi movimenti sono fluidi e leggeri, sembra quasi che stia dicendo a Breeze che cosa fare solo con il potere della mente per quanto appare immobile sulla sella, correggendo appena i suoi movimenti con il semplice abbassare lo stick verso il muso o la groppa del cavallo, senza nemmeno sfiorarlo.

Io la osservo incantata e incredula allo stesso tempo, desiderando intimamente di provare anch'io quell'esperienza, di sentire com'è montare senza alcuna imboccatura, con le redini lente sul collo, nella libertà assoluta. In passato avevo provato anch'io l'emozione di montare in capezza o addirittura in collare, ma erano state perlopiù delle brevi ragazzate che facevamo al ranch quando il nonno era ancora vivo e in salute, che spesso improvvisavamo quando ci trovavamo fuori dal campo. Ma di certo non pensavo che si potesse fare addirittura un allenamento in quel modo, e ora vedere Khadija e Ginevra muoversi in maniera così disinvolta insieme ai loro cavalli mi genera un misto di ammirazione mista a inquietudine.

«Va tutto bene?» mi chiede Stella. Devo avere un'espressione davvero orribile, dal tono di voce sembra preoccupata.

«È che non so se sarò in grado di fare tutto questo» confesso lievemente a disagio, mentre Katy esegue una serie di circoli senza nemmeno toccare le redini e poi inizia a fare qualche passaggio sulle barriere a terra.

«Non dobbiamo necessariamente fare tutto subito. Cominceremo comunque da zero e andremo avanti passo dopo passo» mi rassicura lei.

«Non sono abituata a vedere gente che monta in capezza» aggiungo subito dopo. «Insomma, se il cavallo prende paura e non si riesce più a fermare?»

In tutta risposta, Stella scoppia in una fragorosa risata. «Giusta osservazione» risponde. «Be', per quello ci sono le redini di controllo. Però, vedi, montando in Parelli ti accorgerai di una cosa. Ogni volta che ti relazioni con un cavallo, che sia da sella o da terra, non potrai mai controllarlo completamente. È un essere vivente, dopotutto, e tentare di annullare la sua volontà non farà altro che renderlo impaurito e imprevedibile, anche con l'imboccatura più forte del mondo. A questo punto che differenza fa, usare il morso o meno? La decisione resta soltanto tua, se preferisci avere un animale sottomesso o un compagno di cui fidarti.»

Io annuisco. Sono perfettamente d'accordo, anche se al momento il solo pensiero di lasciarmi andare in quel modo mi terrorizza. Nell'ultimo anno ho visto talmente tanti cavalli fuori di testa, che ormai non riesco nemmeno a ricordare l'ultima volta che ho montato in assoluta tranquillità, senza temere scarti o difese di ogni sorta. Durante una lezione con Paola fatta poco prima di Natale, Ginger, la cavalla della scuola che prendevo spesso nell'ultimo periodo, è partita in fuga per aver sentito battere la portiera di una macchina fuori dal campo coperto. Parliamone.

Mi fa così strano vedere Khadija e Breeze lavorare in assoluta tranquillità, così placidi e allo stesso tempo concentrati, con gli occhi vispi e il collo rilassato in avanti, ascoltando anche la minima vibrazione delle proprie amazzoni. C'è un clima solenne e allo stesso tempo sereno, in questo campo tenuto in piedi con la forza del pensiero. Come se in questo momento non stesse avvenendo una vera e propria lezione, ma un evento fuori da questo mondo, in cui umani e cavalli trovano finalmente il loro equilibrio, la loro connessione. Non ero preparata a una cosa del genere, e tutto questo mi piace, anche se dentro di me provo una gran paura.

Persino quando Khadija parte al galoppo ed esegue una serie di figure di reining Breeze rimane perfettamente serena e concentrata, i suoi zoccoli che accarezzano appena il terreno quasi come se fosse sul punto di spiccare il volo.

«Adesso prova un alt con i passi indietro» ordina Stella a un certo punto.

Khadija obbedisce. Non appena mette le spalle indietro, Breeze si ferma dolcemente, prendendo ad arretrare non appena la ragazza prende un leggero contatto con le redini. Fa cinque passi indietro con estrema fluidità, poi si ferma con uno sbuffo, mentre Katy la ricompensa con una sonora pacca sul collo.

«Con dolcezza, mi raccomando!» esclama Stella incrociando le braccia sul petto, e Khadija le fa la linguaccia. Evidentemente, scene del genere devono essere all'ordine del giorno. «Allora, che te ne pare?» mi domanda lei, volgendosi verso di me.

Io non so che dire, gli occhi ancora sgranati per la sorpresa e la meraviglia. Le parole affiorano alle mie labbra prima ancora che abbia il tempo di fermarle.

«Potrei fare una lezione di prova?»

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