16. Al cinema
Il film che gli altri hanno scelto si intitola I guardiani del Crepuscolo ed è una produzione inglese ispirata a una serie urban fantasy uscita alcuni anni fa. Dal trailer sembrava interessante, anche se si tratta dell'ennesima storia di vampiri adolescenti e possibilmente interpretati da attori piacenti. In effetti, il vero motivo per cui ora ci troviamo tutti stipati nella fila centrale della sala 6 è che il protagonista è interpretato da Luke Evans, di cui Gloria è patita a livelli stellari ed è arrivata addirittura a minacciare Simone di lasciarlo se non l'avesse portata a vedere il film al cinema.
Devo confessare che a me il genere non dispiace affatto, da sempre adoro il fantasy di ogni tipo, ma con il passare del tempo sono diventata molto esigente a riguardo, senza contare che ultimamente mi sto orientando sempre di più verso i film e i romanzi storici e il thriller. Una virata a livello di gusti che ho tenuto opportunamente per me, per paura di fare l'ennesima figura della snob con cui temo di essere stata etichettata già da tempo, in particolar modo da Simone, il quale una volta ha confessato che il non sapere a memoria tutte le battute dei film sugli Avengers è sufficiente a far saltare un'amicizia.
Ci sediamo tutti vicini, e con mio sommo fastidio noto che Sofia si mette automaticamente accanto a Federico, che ora è schiacciato tra me e lei come una fetta di salame in un panino. Certo, stasera Sofy è l'unica senza accompagnatore, ma non avrebbe avuto più senso che si mettesse vicino a me? Mentre sono alle prese con le mie solite paranoie da 'ragazza di provincia', il film comincia e io spero di riuscire finalmente a concentrarmi su qualcos'altro.
La trama è abbastanza lineare. In un futuro post apocalittico in cui un'infezione ha vampirizzato il cinquanta per cento della popolazione mondiale, il resto dell'umanità si è riunito in una serie di bunker sotterranei per organizzare la resistenza e intanto cercare un vaccino che estingua una volta per tutte la sete di sangue. La vicenda è ambientata in una Londra devastata, la cui nebbia è resa ancora più fitta e densa dai poteri degli Antichi, ovvero i primi vampiri a essere infettati, i quali sono in possesso di poteri talmente smisurati da riuscire a evocare le nubi per oscurare il sole, e rendere quindi la caccia eterna.
Il protagonista è un politico (Luke Evans, per l'appunto), il quale scopre che suo figlio adolescente è affetto dal virus e che pertanto deve essere consegnato alle autorità per portarlo in una sorta di prigione apocalittica dove verrà sottoposto a ricerche per trovare il vaccino. Lui – che in precedenza ha strappato tanti figli dalle braccia delle proprie madri in nome del bene comune – si rifiuta di adempiere ai suoi doveri e per questo motivo inizia una fuga nel Mondo di Sopra (ovvero i sobborghi di Londra), inseguito sia dagli umani che dai vampiri alla disperata ricerca di una cura non solo per il ragazzo ma anche per il resto della comunità.
Tutto procede bene fino a quando non compare finalmente sulla scena Tristan, il figlio del protagonista. Per poco non faccio un salto spettacolare sulla sedia, guardandomi intorno nervosamente nella speranza che nessuno nel buio della sala si sia accorto della mia reazione fuori luogo. Di tutti gli attori britannici sotto i trent'anni che potevano interpretare il ragazzo hanno scelto proprio... Ethan. Il quale, per quanto abbia i capelli più lunghi e arruffati che mai, due spettacolari occhiaie stampate sulla pelle cadaverica e l'aria malaticcia, la sua eterna espressione da schiaffi campeggia sullo schermo ad alta definizione, quasi ci stesse sbirciando da dietro il personaggio che si è costruito per l'occasione.
Non avevo la minima idea che aveva recitato in questo film (pare che ultimamente lo stiano scritturando un po' ovunque, visto che la sua carriera è in costante ascesa), ma se solo lo avessi saputo dubito che sarei venuta al cinema. Sul serio. Tra le tante cose che mi ero imposta da quando avevamo rotto molti anni fa, c'era anche la promessa che non l'avrei visto mai e poi mai recitare di lì a per sempre. Non è che avessi ricevuto un'ordinanza restrittiva per stalking o cose del genere, ma conosco come sono fatta e ben sapendo che qualsiasi contatto successivo alla nostra rottura mi avrebbe provocato solo sofferenze inutili, avevo preferito fingere di non conoscerlo e tenere i bei ricordi al sicuro nel passato.
Ora però Ethan è di fronte a me, e io non posso fare altro che restare a guardare. E rendermi conto che sì, negli anni è diventato maledettamente bravo, e che anche in una produzione commerciale a dei livelli imbarazzanti come quella riesce a far valere il proprio talento e rivendicare gli anni trascorsi sul palcoscenico dei vari teatri e accademie. Lo si capisce dal suo modo di muoversi e di recitare, decisamente diverso da quello di molti altri attori. La voce non è sua, però: il film è interamente doppiato e mi fa veramente strano sentirlo parlare come Ron Weasley.
Mi guardo intorno ancora una volta, cercando di mantenere la calma. Federico sembra molto preso dal film, e Sofia ha messo una mano sul bracciolo accanto a lui. Le basterebbe alzare l'indice per sfiorargli le dita. Sospiro, e torno a concentrarmi sul film.
La storia prosegue a ritmi sempre più rapidi e carichi di tensione. La malattia di Tristan-Ethan peggiora, e anche se suo padre inizialmente l'ha portato con le migliori intenzioni di questo mondo, presto si rende conto che il giovane in realtà è una bestia assassina, che in breve tempo prende ad attaccare gli umani e arriva addirittura a uccidere la madre e tentare di dissanguare la propria ragazza (la scena è stata commentata da un colossale «Mado', che cringe!» da parte di Sofia, facendo voltare parecchie persone).
Dopo un crescendo di sangue e violenza, dove Ethan appare sempre più deformato dalla follia e si aggira per una Londra innevata con gli abiti a brandelli e una scia insanguinata che gli cola dalla bocca alla vita (senza risparmiare nulla, e intanto mi chiedo quale orrendo peccato devo espiare per essere costretta a subire tutto questo), finalmente suo padre si decide a fare la cosa giusta... ammazzandolo. E ammazzandolo male, per di più, visto che con l'aiuto di una folla inferocita riesce prima a catturarlo, poi impalarlo, decapitarlo e infine bruciarlo sul rogo, tanto per essere sicuri. Rimasto solo come un cane, il protagonista decide quindi di diventare un cacciatore di vampiri e di vivere come un ramingo nel Mondo di Sopra, deciso a sterminarli tutti fino all'ultimo dal momento che ha capito che cercare una cura a quello schifo è completamente inutile. Fine. Titoli di coda. Luci in sala.
«Spero solo che non facciano un sequel a questa merda» commenta Riccardo subito dopo, ricevendo un coro di ovazioni da parte degli altri e un coppino carico di risentimento da Gloria, che nonostante il film sia stato qualcosa di straziante ha letteralmente gli occhi a forma di cuore, come negli anime giapponesi.
Io resto per un attimo incollata alla sedia, il cervello che tenta di fare un attimo di ordine su quello che ho appena visto.
«Tutto bene, principessa?» mi fa Sofia, torreggiando su di me con le mani sui fianchi. «Non avrai visto troppo sangue, spero.»
«Come mi fai delicata, tesoro» ribatto io, riscuotendomi con un ghigno tattico. «No, sto solo cercando di capire che cosa cazzo ho appena visto.»
«Uuuuh Anna che dice le parolacce! Mi sa che pioverà per un altro mese» sghignazza Riccardo, e io fingo di ignorarlo, alzandomi a mia volta e infilandomi nuovamente il cappotto.
In realtà, al momento ho ben altri pensieri per dare retta a quel branco di idioti (Federico intanto è partito con un panegirico infinito sul suo parere a caldo sul film e su quanto poco lo abbia convinto la trama). Sul serio, anche se non lo vorrei mai ammettere, mi ha fatto davvero piacere rivedere Ethan sul grande schermo, e anche se la produzione non era delle migliori è comunque tangibile quanto sia diventato bravo e talentuoso. Che sia il caso di farglielo sapere?
"Ferma, Anna, ferma!" mi impone la voce della mia coscienza, severa. "Stai galoppando troppo forte come al solito, e rischi di farti illusioni pericolose. Il fatto che Ethan si sia riavvicinato a te non significa niente, è fidanzato e sta per sposarsi. Aveva bisogno di togliere un po' di scheletri nell'armadio, tutto qui. Quindi, anche se in questo momento parlargli ti fa sentire bene, questa storia deve finire al più presto. Pensa piuttosto a farti degli amici veri, come ti ha suggerito lui."
Sì, ma che male c'è a mandargli un messaggio? Mica ci sto provando, e di certo lui non si sognerebbe mai di provarci con me!
«Hai detto qualcosa?» interviene Sofia, improvvisamente.
«Io? No, niente. Non ho detto niente» rispondo io, e intanto mi mando al diavolo. Ho di nuovo fatto uno dei miei 'pensieri rumorosi'. Nel senso che, quando sono particolarmente concentrata su qualcosa, tendo a lasciarmi sfuggire qualche mugugno sovrappensiero, che viene puntualmente scambiato per un tentativo di fare conversazione. Ecco, con questo lo starterpack per la matta del paese può dirsi ufficialmente completo.
«Strano, ero sicura che avessi detto qualcosa» incalza intanto Sofia, e in tutta sincerità io non vorrei altro che sparire.
Mi metto tatticamente al fianco di Federico e mi rifugio sotto il suo braccio. Lui si accorge della mia presenza dopo qualche istante, voltandosi verso di me.
«Tesoro, che c'è?» chiede. «Hai una faccia...»
«Niente, niente. È solo che il film era troppo trash, e mi sento sinceramente sconvolta» mi schermisco io, accennando a una risata.
«Non farti sentire da Gloria, per favore: sarebbe capace di non rivolgerti la parola per il resto dei tuoi giorni» interviene Riccardo, strizzandomi un occhio.
«Ragazzi, che ne dite se mangiamo qualcosa?» dice Simone, dopo aver scardinato Silvia e Gloria da un distributore automatico prima che dilapidassero i loro risparmi per cercare di pescare un peluche a forma di unicorno grande come un cucciolo di sanbernardo.
«L'Old è ancora aperto» fa Federico, indicando l'uscita. «Tranquilla, Sofy, offro io» si affretta ad aggiungere, nel notare l'aria mesta che lei ha assunto quasi in automatico.
Il ristorante si trova appena fuori dal cinema. Ci andiamo spesso in queste occasioni, anche perché è convenzionato e talvolta riusciamo a ricavare qualche buono sconto o addirittura biglietti omaggio.
L'interno è caldo e accogliente e ci dà un minimo di ristoro dalla ventata di aria gelida che ci ha accolti nel momento in cui abbiamo attraversato il piazzale di ingresso per raggiungerlo. Subito Sofia nota le due grandi selle americane esposte davanti alla porta ed emette un gridolino eccitato, tirando il gomito a Silvia e Gloria mentre gliele indica.
«Guardate che figata! Le selle americane.»
«Coraggio, perché non le provate, tu e Anna? Scommetto che questa è roba vostra» incalza Federico voltandosi verso di noi, e io non so stabilire con certezza chi delle due stia guardando davvero.
«Ma noi pratichiamo la monta inglese, vecchio» ribatte Sofia, mettendosi subito le mani sui fianchi. Nel mentre, però, mi accorgo che indossa un paio di stivali di cuoio che in qualche modo ricordano quelli di un cowboy, e subito alzo gli occhi al cielo. «Prova tu a saltare con questi affari.»
«Scusa, ma che differenza c'è? Io sono abituato a vederle sempre tutte uguali» interviene Riccardo, fingendo di incalzare un cavallo invisibile con le braccia (e ovviamente tenendo le redini fittizie in maniera decisamente inappropriata).
«È ovvio che non puoi saperlo, razza di ignorante» risponde Sofy in tono pratico. «La sella inglese è più piccola ed essenziale, serve per montare restando sollevati per permetterci di saltare. La sella americana invece è più grande e comoda, visto che è stata pensata per trascorrere intere giornate a cavallo per gestire le mandrie.»
«E poi ha il pomolo» sghignazza Simone.
«Ah ah, spiritoso» lo tacita subito Sofia in tono piatto. «In ogni caso, la monta americana non fa per me. L'ho provata una volta e devo dire che è abbastanza scomoda. E poi non mi ritrovo con quei cavalli così piccoli e veloci, mi sembra una cosa un po' troppo raffazzonata per aria. Insomma, preferisco di gran lunga saltare gli ostacoli piuttosto che girare attorno i barili oppure rincorrere vitelli per tutto il campo, no?»
«Io ti ci vedrei, in ogni caso» scherza Federico allungandole un buffetto sulla testa, e intanto io rischio di prendere fuoco.
«Ma se al Fieracavalli abbiamo trascorso un'intera mattinata a vederci le Gimkane Western? Hai persino svaligiato il padiglione, a forza di comprare roba, compreso il tuo cappello bianco da cowgirl» intervengo io, dal momento che non sono riuscita a mordermi la lingua in tempo.
«Eravamo in gita, concedimelo» taglia corto Sofy.
«Io invece la monta americana l'ho praticata, per un periodo» attacco io, che finalmente ho trovato un aggancio per fare conversazione. «Mia cugina è una campionessa di reining, e per un anno circa ho provato anch'io la sella western, prima di puntare al dressage e agli spettacoli equestri. Era un periodo di transizione per il ranch, il nonno stava cercando un nuovo istruttore e intanto mio zio ci dava una mano con le lezioni. È stato bello, mi ha insegnato un sacco di cose. E poi uscivo un sacco in passeggiata.»
«Ah che palle, ancora con questo ranch!» mi interrompe Sofia. «Ce l'avrai raccontato almeno un trilione di volte, perché non cambi argomento, eh? A proposito, lo sapete che lunedì arriva finalmente il mio cavallo?»
«Davvero?» chiede Federico.
«Sì,» risponde Sofy con orgoglio. «Per un attimo abbiamo rischiato di perdere l'affare, quello stronzo del commerciante si è messo a tirare all'ultimo sul prezzo, ma per fortuna noi gli abbiamo presentato una bella lettera da parte dell'avvocato e lui ha ceduto senza troppe storie. Non vedo l'ora di poterlo cavalcare!»
«Hai delle foto? Facci vedere!» esclama Silvia, protendendosi in avanti.
«Certo, tesoro.»
Sofia estrae il cellulare e prende a scorrere la galleria, dove campeggiano già innumerevoli immagini di Corallo Blu, alcune scattate da lei, altre ritrovate su Internet o inviatele su Whatsapp dal commerciante. Io cerco di avvicinarmi, nonostante Gloria e Silvia si siano strette così tanto intorno a lei da non lasciare nemmeno un centimetro libero, e in breve capisco che qualsiasi tentativo di socializzazione da parte mia è ormai inutile. Mi limito quindi ad ammirare le foto di Corallo mentre lecca la mano curata di Sofia oppure vola al disopra di baracche alte un metro e quaranta, sprofondando nella mia invidia.
Certo, Sofia ha proprio una vita di merda, poverina, ma intanto erediterà uno dei più importanti maneggi del Nord Italia senza dover fare troppi sforzi (a parte quello di passare l'esame da istruttore federale, certo, ma con Paola che conosce mezzo mondo non mi sembra molto impossibile; specie dopo che l'anno scorso ho assistito a una sua scenata di fronte alla giuria perché sua figlia non era sul podio nonostante non avesse fatto i tempi sufficienti, e non si è schiodata da lì fino a quando non ha visto modificare la classifica, poco importa se un istante dopo la ragazzina che aveva vinto è stata costretta a cedere la coppa davanti a tutti) e in più, nonostante l'agghiacciante carriera universitaria, ha appena ricevuto in regalo un cavallo fatto e finito, e anche dannatamente forte. Non ha mai bisogno di chiedere, Sofia, perché in realtà ha già tutto. E dire che, secondo Federico, lei è invidiosa di me. Ma invidiosa di cosa, di preciso?
Seguo gli altri all'interno, mentre rimugino quei pensieri, quando di colpo ci troviamo di fronte all'unica persona che potrebbe aggravare ulteriormente la situazione. Riconosco subito le ciocche verde bottiglia che le mulinano al disotto di un berretto di lana, anche se il poncho è stato sostituito da una lunga giacca in camoscio e sembra vestita quasi da persona normale. È seduta a un tavolo insieme ad altri due ragazzi. Il primo è una specie di vichingo dai capelli rasati quasi a zero, fatta eccezione di una lunga treccia che gli arriva fin quasi a metà schiena, e le mani ricoperte da tatuaggi, oltre a svariati piercing sul volto. La ragazza al suo fianco invece è piuttosto minuta, con pelle e capelli scuri, e sembrerebbe quasi una persona normale se non fosse per la Giratempo attorno al collo e il berretto con le orecchie da gatto in testa.
«Ehi, guarda chi c'è!» esclama Sofia, adocchiandola. «Ciao, Katy!»
Khadija alza lo sguardo dal suo hamburger con estrema discrezione, cercando la fonte di quella voce. Impiega qualche secondo per registrare che la ragazza con gli stivali da cowboy è in realtà la figlia della sua datrice di lavoro, e per questo si alza timidamente per venire a salutarci.
«Sofia, vero?» esordisce, mentre lei le stampa due baci sulle guance.
Solo allora mi rendo conto di quanto sia alta: per raggiungerla, Sofy deve alzarsi sulle punte nonostante abbia almeno cinque centimetri di tacco, e Khadija indossi invece un paio di Timberland slacciate.
«Che bello vederti qui!» esclama lei. «Stai uscendo con i tuoi... amici?» Sofia appare un attimo incerta, mentre sbircia oltre la sua spalla per indagare che razza di tipi frequenta la nuova venuta.
«Oh, sì. Loro sono Valerio e Ginevra. Montano con me» spiega lei, stringendosi nelle spalle. «Volete unirvi a voi?»
«No, no, non c'è problema. Vedo che avete quasi finito» si schermisce lei, e conoscendola intuisco al volo che la compagnia di Khadija non le piace. «Ci vediamo lunedì al lavoro, Katy. Buona serata.»
«A te» risponde lei; poi, a sorpresa, si volta verso di me e aggiunge: «Ciao!»
Io ricambio il saluto timidamente: a essere sincera, non mi aspettavo un simile slancio di confidenza da parte sua, visto che ci siamo incrociate di sfuggita solo questa mattina e ci siamo scambiate sì e no due parole. Prima ancora che possa aggiungere altro, Khadija è ritornata al tavolo dai suoi amici, e io sono rimasta con il mio gruppo. Non ci resta che sistemarci anche noi, seguendo un cameriere che ci sta indicando dove sederci.
«Certo che razza di stronza» commenta Sofia non appena mi ha a tiro. «Ci ha visti entrare e ha fatto subito finta di non vederci.»
«Scusa?» chiedo io, sicura di essermi persa qualche passaggio.
«La ragazza nuova, Khadija» mi fa lei a bassa voce, e intanto continua a fissarla con la coda dell'occhio.
«Come mai? Voglio dire, credevo che ti piacesse» faccio io, decisamente perplessa.
«Piacermi quella? Ma fammi il favore!» Sofy sbuffa. «Ma l'hai vista, come va vestita? Sembra una stracciona. E dire che si crede un'istruttrice di equitazione. Vedremo, vedremo quanto è competente, la signorina so tutto io.»
«Mi sembra un po' eccessivo giudicare una persona che hai appena visto, no?» mi azzardo a rispondere io, rendendomi conto troppo tardi di aver commesso un passo falso.
«Per piacere, Anna, ma ti sembra normale una così? E poi, li hai visti i suoi amici?» continua lei, indicando il tavolo dove Khadija ha ripreso a scherzare con gli altri due. «Secondo me, quelli là si drogano. Hanno proprio la faccia da tossici.»
«Scusami, mi hai presa un attimo in contropiede» mi schermisco io. «Stamattina non sembravi pensarla così. Insomma, sia tu che Paola eravate molto entusiaste di lei.»
«Uno, questa ragazza è comunque in prova; due, non so se te ne sei accorta, ma è una parelliana. E chi fa Parelli secondo me andrebbe radiato a vita da qualsiasi cosa abbia a che fare con l'equitazione» Sofia fa una smorfia schifata, fissandola con odio. «Per ora la teniamo perché ci serve un istruttore di base. Massimo è veramente saturo con la classe di agonismo e non abbiamo nessuno che segua la scuola. Ma, se vuoi sentire il mio onesto parere, appena riesco a tirarti fuori dal disastro in cui ti sei cacciata, farò in modo che mia madre ti restituisca le lezioni. Parola mia.»
Io la guardo con tanto d'occhi, come se quest'anno festeggiassimo Natale per due volte di fila. «Come, scusa?» chiedo, sicura di aver capito male.
«Ma è logico, no? Di tutte le persone che conosco, se dovessi affidare delle lezioni a qualcuno, preferirei che fossi tu. Almeno ho la certezza che non ti trovo a blaterare cose sulla psicologia equina o, peggio, mi ritrovo gli allievi che montano senza imboccatura e con le redini a penzoloni, magari tormentando i pony con la frusta. Sarai anche una capra a montare, ma almeno posso affermare con certezza che le basi le conosci.»
Resto basita di fronte a quelle parole. Quindi c'è una speranza che io venga reintegrata.
«Be', ti ringrazio» borbotto, anche se l'ultima affermazione sul mio modo di montare mi ha suscitato una punta di fastidio, per quanto vera.
«Non c'è di che» fa Sofia, stringendosi nelle spalle. «Forza, vediamo di ordinare qualcosa che muoio di fame.»
Ci sediamo al tavolo, e io sento crescere in me un pizzico di speranza. Una delle cose incredibili di Sofia è che riesce a buttarti giù con la stessa velocità con cui riesce a risollevarti il morale da un momento all'altro. Un po' come Paola, in effetti. Relazionarsi con loro è come salire a bordo di un rollercoaster impazzito, senza sapere che cosa si nasconde dietro la prossima curva, se un giro della morte o una discesa vertiginosa.
Rinfrancata dalla prospettiva di riconquistare le mie piccole allieve, mi accomodo accanto a Federico, mentre Sofia si siede incredibilmente accanto a me. Non capisco il motivo di quell'improvviso riavvicinamento, tuttavia cerco di sfruttare il più possibile quel momento di bonaccia. Sofy si toglie il cappotto, e mi rendo conto che sotto indossa solo un semplice top bianco che le lascia scoperta quasi tutta la pancia al disopra di un paio di jeans strappati. Mi domando come faccia a sentirsi a suo agio, quando fuori la temperatura rasenta lo zero, e prendo a sfogliare distrattamente il menu. Ordino un Dakota e una Coca-cola. La birra non mi piace e cerco di mantenere un minimo di calma quando, com'era prevedibile, gli altri ne ordinano una a testa; i ragazzi optano tutti per una media e Sofia li segue fedele come un cagnolino.
Mentre aspettiamo, Silvia ci mostra il nuovo tatuaggio che si è fatta sull'avambraccio: è un segno dell'infinito con sopra le iniziali sue e di Riccardo. Lui ne ha uno identico, è un'alternativa all'anello di fidanzamento, visto che il prossimo aprile si sposeranno.
«Cazzo, vorrei tanto un tatuaggio pure io, ma mia madre mi ammazza se solo ci provo» commenta Sofia amareggiata.
«Fattelo lo stesso, solo in un punto dove non si nota troppo» azzarda Silvia.
«Certo, e intanto tutte le estati ce ne andiamo a Milano Marittima: secondo te non lo nota? A quel punto, mi toccherà come minimo il carcere duro» protesta Sofy. «Sapete che vi dico? Non vedo l'ora di laurearmi, mandare tutti a fanculo e vivere come mi pare. Volevo tanto andare all'estero, qualche anno fa, magari entrare in una grossa scuderia tedesca, ma mia madre non mi permette nemmeno di lasciare Bologna. Mi vuole sotto il suo tetto, dove può controllarmi. Io sinceramente non ce la faccio più.»
«Oppure puoi sempre darti alla monta americana» sghignazza Simone, nel tentativo di stemperare l'atmosfera: quando Sofia si incupisce in quel modo, sappiamo tutti che una delle sue memorabili scenate isteriche è pericolosamente dietro l'angolo.
Cinque minuti dopo arrivano le bevande, e con l'alcol la conversazione si fa subito confusionaria. I ragazzi sembrano reggere più a lungo, l'argomento calcetto si rivela come al solito un'ancora di salvezza per la loro lucidità, mentre le altre partono subito per un viaggio di sola andata verso un mondo popolato di risate isteriche e di confessioni imbarazzanti.
«Che poi io in realtà volevo darmi al team penning» se ne esce Sofia a un certo punto, cingendomi un braccio intorno al collo e guardandomi con aria strana. «Vi giuro, ragazzi. Cioè, sarebbe una figata mandare avanti una mandria e robe del genere. E poi, cazzo, mi sono sempre piaciuti i film western. A mia madre no, quella stronza li ha sempre trovati pacchiani e poco realistici. Ma valla a capire, quella!»
Riccardo ride come un pazzo a quella battuta, mentre io mi guardo intorno nervosamente alla ricerca di una via di fuga.
«Ma poi volete mettere il montare in jeans con gli stivali e gli speroni? Cioè, una gran figata!» continua Sofia, che ormai sta alzando anche troppo il tono di voce. «E poi le camicie a quadri, cazzo, è dal liceo che ne vorrei una per montare. Sarebbe troppo figo. Spe', quasi quasi guardo un attimo su Internet, magari trovo qualche offerta...»
Finalmente il cellulare sembra distogliere l'attenzione di Sofia da me e la butta su un sito di cui non conoscevo neanche l'esistenza, prendendo a scorrere compulsivamente accessori da monta americana che non indosserei neanche se mi puntassero contro un Winchester.
«To' guarda, un poncho!» esclama lei, scoppiando in una risata eccessivamente sguaiata. «Proprio come quello di quella comunista, là... Vediamo un po' quanto costa, magari scopro che si veste da stracciona ma in realtà è rotta in culo per quanti soldi ha...»
Parolacce, shopping compulsivo e voce eccessivamente alta: sono tutti parametri di allarme rosso, se ti trovi a uscire con Sofia, e visto ciò che è successo l'ultima volta capisco di non voler essere lì quando esploderà.
«Devo andare in bagno» annuncio, ma nessuno sembra ascoltarmi.
Fede sta disegnando un possibile schema tattico della prossima partita su un tovagliolo di carta, usando i gusci spaccati delle noccioline come se fossero giocatori. Mi alzo in preda all'imbarazzo, ma invece di andare in bagno corro direttamente fuori. Sospiro di sollievo non appena una ventata d'aria fredda mi riempie i polmoni. Solo adesso mi rendo conto di quanto stessi soffocando là dentro, e non era per il riscaldamento sparato a livelli illegali. Mi gira la testa e tutto ciò che voglio è tornarmene a casa il prima possibile. Ma come diavolo ho fatto a finire invischiata in una situazione del genere?
Sono ancora lì, cercando di capire che cosa fare, quando di colpo la porta si apre e mi ritrovo di fronte a Khadija.
«Ciao,» mi fa lei sorridendo, prima di appoggiarsi con nonchalance alla parete esterna del locale. «Tutto bene?»
«Sì, credo di sì» annuisco io, affondando le mani nelle tasche.
L'altra prende a trafficare con la borsetta in pelle ricamata che porta a tracolla e vi estrae un sacchetto pieno di tabacco e un set di cartine.
«Tranquilla, non è erba. Non fumo quella merda lì» si affretta a precisare lei, mentre si arrotola la sigaretta. «Ne vuoi una?»
«No, grazie. Io non fumo» mi schermisco io.
«E allora perché sei uscita fuori? Di solito, questo è l'angolo fumatori.»
«Lo so, avevo solo bisogno di una boccata d'aria fresca.»
«Capito. Ti dispiace se fumo? Così, non so, possiamo farci un po' di compagnia.»
«Fai pure, non preoccuparti.»
Khadija si accende la sigaretta e prende una lunga boccata. «Credo di doverti delle scuse, sai?» aggiunge subito dopo. «Per il mio comportamento di oggi.»
«Cosa?»
Non capisco. Che cosa mi avrebbe fatto lei di preciso?
«Ma sì, dai. Per stamattina» continua lei. «Io, credo di averti rubato gli allievi, ecco.»
«Non è stata colpa tua. Insomma, è stata Paola a decidere.»
«Certo, ma io ero venuta per lavorare con la certezza che quel posto fosse libero, non per rubarlo ad altri.»
«Che importanza ha? Voglio dire, io non sono un tecnico federale. Mi sono formata con un Ente di Promozione Sportiva, questo è vero, ma il nostro è un circolo federale, quindi il mio titolo non conta niente.»
«Ma sei comunque un istruttore, visto che in ogni caso il tuo nome figura negli elenchi del Coni, quindi ti ho fregato il lavoro. E questo non mi piace, pertanto ti prego di accettare le mie scuse.»
«Oh.»
Il suo atteggiamento mi lascia completamente perplessa: non sono abituata a ricevere tante confidenze da una sconosciuta e la cosa mi rende parecchio sospettosa.
«Be', se le cose stanno così... grazie» è tutto quello che riesco a dire. «Comunque piacere, Anna.»
«Il piacere è tutto mio» mi risponde lei, strizzandomi un occhio. «Allora, comunque continui a uscire con Sofia.»
«Sì, in teoria noi saremmo amiche» borbotto io.
«Ma in pratica si vede da lontano un miglio che vi state in culo a vicenda. Un classico» conclude lei, per me.
«Lasciamo stare» ribatto, decisa a non rivangare sempre sullo stesso argomento. «E tu? Da dove salti fuori?»
«Questa sì che è una bella storia» risponde lei, ridacchiando. «Diciamo che ho girato un po'.»
«Sei stata anche negli Stati Uniti.»
«Esatto. Se vuoi diventare un istruttore Parelli, quella è la strada.»
«E non potevi formarti con la Federazione?»
«Chi, io? Ma mi hai vista?» Khadija scoppia a ridere, e francamente non so più cosa pensare di lei. «Diciamo che l'esame con la Federazione è uno scoglio che prima o poi dovrò affrontare, se voglio restare in Italia» continua subito dopo. «Ma in realtà è il Parelli, ciò che voglio fare davvero. Il resto non mi interessa.»
«Ma si può sapere che cos'ha questo Parelli di tanto straordinario? Voglio dire, non faccio che sentirne parlare male» mi decido a chiedere.
In tutta risposta, lei scoppia nuovamente a ridere, e di gusto anche. «Same old story» risponde, tirando una generosa boccata dalla sua sigaretta. «Diciamo che da queste parti non hanno molti interessi a fargli prendere piede. Non è solo per una questione che è qualcosa che viene dall'estero. Il punto è che rischi di dare veramente fastidio, se con una semplice capezza a nodi riesci a ottenere gli stessi risultati di una costosissima imboccatura coercitiva. Mi spiego?»
«Ma immagino non sia solo questo» ribatto io. «Ho sentito dire che la capezza a nodi fa molto male, che agisce direttamente sul naso. È vero?»
«Certo che fa male, come qualsiasi finimento quando è usato in modo improprio. Anche un collare ti sega la carotide, se messo nelle mani di un cavaliere che monta da cani» Khadija finisce la sigaretta e la butta via, incrociando poi le braccia sul petto.
«E il fatto che rimbambiate i cavalli? Che li rendiate confusi e inaffidabili?»
Katy scoppia a ridere di nuovo, e stavolta deve addirittura sorreggersi alla parete dietro le sue spalle per non cadere.
«Seria?» esclama. «Non ti facevo così scettica, comunque. Credevo che saremmo andate d'accordo.»
«Questo perché non mi conosci.»
«No, ma so riconoscere uno sguardo, quando è così simile al mio» ribatte Khadija, ricomponendosi all'istante. «Ti ho vista oggi, in ufficio da Paola. Stai attraversando un periodo di crisi con l'equitazione, giusto? Della serie che non sai più dove sbattere la testa.»
«Come l'hai capito?»
«Be', non è difficile intuirlo. Si vede da come ti muovi, come parli, come ti aggiri in quel posto come se fossi un pesce fuor d'acqua. E poi, quella linguaccia di Paola mi ha detto delle cose che, ora che ti conosco, mi hanno fatta riflettere parecchio.»
«Del tipo?»
Ora sono veramente preoccupata.
«Be', temo che voi due non vi capiate a prescindere» risponde lei. «Pensa che mi ha detto che tu non sei tagliata affatto per questo sport, che sei una di quelle a cui sta bene semplicemente entrare in scuderia a coccolarsi i cavalli e stop. Che spera che con questo cambio di mansioni ti faccia l'esame di coscienza e capisca che cosa vuoi fare della tua vita, ecco.»
«Grazie tante, con questo mi sento davvero motivata a restare in mezzo ai cavalli» sbotto, furibonda.
«E infatti tu devi restare in mezzo ai cavalli» sottolinea lei, e subito noto una strana luce pervadere i suoi occhi color del miele.
«A fare cosa? A pettinargli la criniera?»
«Nient'affatto, baby. A montarli. Addestrarli. A fare il tuo lavoro.»
«Non ti seguo.»
«Sai che impressione ho avuto, quando ti ho vista per la prima volta? Mi sei sembrata subito una a cui si è bruciato il GPS. Una persona che ha tantissime qualità, ma che per una ragione o per l'altra è andata a finire nel posto sbagliato. Il che è un gran peccato, perché in questo modo non hai né il modo di esprimerti né di crescere. Mi sbaglio?»
«Sinceramente, al momento non vedo chissà quale talento in me.»
«Partiamo dal pettinare le criniere ai cavalli, se vuoi. Dal Parelli si inizia sempre da terra.»
«Mi stai dicendo di provare il Parelli?»
«Perché no? Con tutti i casini che sono venuta a combinare lì da te, direi che come minimo ti devo una lezione con la mia istruttrice» la ragazza si stringe nelle spalle. «Facciamo così. Perché un giorno di questi non passi a trovarmi nel mio maneggio? Così ti do una dimostrazione pratica, e magari scoprirai che noi parelliani non siamo poi così brutti e cattivi come ci dipingono.»
«È uno scherzo?»
«Nient'affatto.»
Khadija estrae il telefono, facendomi segno di darle il mio numero. Io obbedisco con fare titubante, ma non mi tiro indietro: in fondo, che cos'ho da perdere?
«Domani sei libera?» chiede.
«In teoria sì.»
«Perfetto. Allora ci vediamo qui domani pomeriggio alle due. Poi ti faccio strada io. Okay?»
«D'accordo. Spero solo che tu non sia una serial killer.»
«Chissà, può anche darsi.»
Khadija mi scocca uno sguardo da lupo e scoppia nell'ennesima fragorosa risata nel notare la mia reazione.
«Puoi stare tranquilla, ragazza. Anche perché, se mai ti succedesse qualcosa, dovrei dare diverse spiegazioni a Paola» aggiunge subito dopo.
In quel preciso istante, le note di Old town road prendono a ruggire prepotentemente dal cellulare della ragazza. Lei sbuffa, silenziando la chiamata e rivolgendosi verso di me.
«Tranquilla, sono gli altri che si chiedono che fine abbia fatto» spiega. «Vado dentro che è meglio. Ci vediamo domani, ragazza. Bye bye.»
Detto questo, Khadija sguscia all'interno del locale veloce come è comparsa, lasciandomi sola e inebetita a fissare la pioggia che cade, il suo numero che campeggia a caratteri cubitali sul display del mio smartphone. Lo memorizzo con la stessa cautela con cui si maneggia una bomba e poi mi decido a tornare dentro a mia volta, sperando che nel mentre le cose non siano troppo precipitate.
Al mio ritorno, trovo Sofia con la faccia sul tavolo e una corona di piume di cartone sul capo, e con quell'espressione imbronciata sembra una ragazzina di tredici anni. Ormai è fuori combattimento, e a giudicare dalla tranquillità degli altri perlomeno non dovrebbe essere accaduto nulla di particolarmente eclatante, complice il fatto che mi trovassi fuori tiro. Siamo io e Federico a scardinarla dalla sedia e portarla fuori per le braccia, lei che di tanto in tanto punta i piedi e ridacchia; poi, quando passiamo accanto alle selle americane, riesce a divincolarsi dalla nostra presa con una forza del tutto inaspettata e si arrampica su una di esse, minacciando di restarvi aggrappata fino a quando uno di noi non si deciderà a scattarle una foto.
Una volta in macchina, lei collassa in un sonno catatonico, e il viaggio di ritorno è scandito dal suo russare sempre più profondo e regolare. Federico porta a casa prima me, che sono più vicina; poi ci congediamo con un rapido bacio a fior di labbra, parlando piano per non svegliarla. Resto immobile sul marciapiede a osservare la sua Golf nera che si allontana, e intanto mi chiedo se veramente Federico si limiterà a portarla a casa oppure troverà il modo di fermarsi da lei per tutta la notte, vegliandola nel suo abissale vortice di autodistruzione.
Ma, per quanto l'idea mi faccia letteralmente orrore, al momento ho davvero altro a cui pensare. Per quanto quella ragazza mi inquieti, sono contenta di aver accettato l'appuntamento equestre di Khadija. Spero solo di non pentirmene.
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