15. Priorità
Il resto della mattina è trascorso anche troppo tranquillamente. L'improvvisa voragine di tempo libero mi ha lasciato disorientata, ma passato lo shock iniziale, in cui ho fatto avanti e indietro tra il bagno e il divano, finalmente ho trovato una sorta di equilibrio e scoperto quanto effettivamente mi mancasse trascorrere un po' di tempo a casa.
Mi sono avvolta in vestiti caldi e puliti dopo una lunga doccia ristoratrice e avuto modo di dedicarmi con calma alla tesi, cosa che non facevo da molto tempo visto che rientravo puntualmente dopo le venti, stanca e incrostata di polvere e fango.
Ho avuto persino il tempo di cucinare, cosa che non faccio quasi mai perché di solito a pranzo mi fermo alla mensa universitaria e a sera sono così sfinita che spesso ripiego su qualcosa da scaldare al volo e consumare in fretta, magari mentre mi arrangio davanti al computer con l'ennesimo capitolo da consegnare, prima che subentri il sonno. Ho preparato una semplice pasta al pesto, niente di particolare, ma il solo fatto di aver usato i fornelli ha suscitato in me un'insolita soddisfazione.
Le cose sono cambiate nel dopopranzo, quando una lenta pioggerellina invernale ha preso a cadere pigramente dal cielo grigio e uniforme, martellando contro i vetri della cucina. Con essa, è arrivato anche il messaggio di Federico, che si è degnato di rispondere alla mia richiesta di vederci nel tardo pomeriggio prima dell'uscita con tutto il gruppo.
Scusa amo, ho visto solo adesso. Purtroppo mi ero scordato che oggi c'era l'open day con la compagnia teatrale. Ci vediamo alle sette e mezza con gli altri. Ti passo a prendere io. Ciao. Ti amo.
Rileggo più volte la risposta, cercando di sondare ogni singola parola per capire da dove devo iniziare a disintegrarlo molecola per molecola. Sapeva che dovevamo vederci, che ormai è un secolo che non riusciamo ad avere un momento tranquillo solo per noi... E ora questo.
Improvvisamente mi ritrovo a essere furibonda. Okay, so che Federico ha un ruolo importante all'interno della compagnia teatrale e che ci tiene veramente molto a ciò che fa, ma possibile che mi dice le cose sempre all'ultimo? Insomma, ci tenevo a vederlo, ecco. E a trascorrere un po' di tempo insieme a lui, senza il gruppo (in particolar modo Sofia) sempre in mezzo. Ma, a quanto pare, chiedo troppo. Ecco, sono la solita ragazza appiccicosa. Me l'hanno fatto notare Riccardo e Simone un paio di volte.
«Sei troppo appiccicosa, Anna» avevano detto, durante una delle nostre uscite di gruppo. «Lascialo respirare, quel povero ragazzo.»
Certo che lo faccio respirare, non c'è problema. Al punto che neanche lo vedo più. E in ogni caso, oggi ci tenevo in maniera particolare a incontrarlo da sola prima di uscire perché volevo chiarire quanto accaduto l'altro giorno con Sofia. Era un momento importante anche per il nostro rapporto, e ovviamente è saltato. Inizio a sospettare che ci sia del dolo, dietro a tutto questo, che l'abbia fatto solo per evitare qualsiasi discussione. Mi viene quasi da presentarmi in sala prove, ma mi rendo subito conto che questo è il classico comportamento da ragazza psicopatica e che di certo non sono nelle condizioni di confermare quanto sono certa si vociferi su di me all'interno del gruppo.
Corro subito a prepararmi un caffè, in queste situazioni è l'unica cosa che mi calma davvero. Sono veramente scossa, se potessi spaccherei tutto e non mi va. Non sono pazza, non sono psicotica, mi sto solo facendo venire tremila pare mentali per il fatto che ultimamente il mio ragazzo si sta comportando in maniera sempre più equivoca con la sua migliore amica, e io non so più nemmeno se sta con me perché ci tiene davvero alla mia persona oppure perché ai tempi la tipa che lo interessava era già occupata, e aveva bisogno di un ripiego. Dopotutto, non ha iniziato a comportarsi da idiota dal momento in cui Sofia si è lasciata? Che strana coincidenza, non è vero?
Sorseggio il caffè ancora bollente con la mano che mi trema, imponendomi un minimo di autocontrollo. Non voglio piangere per l'ennesima volta, non voglio prendere a pugni qualunque cosa mi capiti a tiro come vorrei in questo momento, non ho voglia di raccontare i miei guai per l'ennesima volta a Clarice, che già di tanto in tanto si deve subire i miei scleri.
Cerco di distrarmi smanettando un po' il telefono, in realtà nella vana speranza di trovare anche la più stupida delle prove che attesti che Federico mi sta tradendo allegramente; chissà, magari ha postato una foto proprio insieme a Sofia. E invece niente, deserto totale.
In compenso, però, c'è una storia di Ethan. Di solito, lui posta pochissimo e subito mi sorge spontanea quanto autodistruttiva la voglia di cliccare sopra la minuscola icona con la sua faccia per vedere che cosa sta combinando. È un selfie in cui mostra parzialmente il suo volto, a quanto pare rubato sul set mentre era in fase di trucco. Da quel poco che riesco a intravedere, ha le guance cosparse di cerone e un sottile strato di matita nera a evidenziargli il contorno degli occhi. Da quel poco che riesco a intravedere dei suoi abiti, sembra indossare una cravatta e una marsina color blu oltremare. Che stia girando un film in costume?
Sono quasi tentata di chiederglielo, quando mi rendo conto che in quel momento ho qualcosa di ben più importante a cui pensare, piuttosto che sprecare tante energie con quello che fa o meno Federico. Poche ore prima, Ethan mi ha dato un suggerimento molto, molto importante. Anche se temo che si tratti dell'ultima spiaggia, prima di appendere definitivamente il cap al chiodo.
Abbandono il cellulare sul tavolo della cucina e riprendo possesso del pc. Ora so dove avevo visto la stampa con la testa di cavallo sul berretto di Khadija: è il simbolo del metodo Parelli, tanto bistrattato e tanto controverso qui in Italia. A parte lo stage, in questi ultimi anni ne ho sentite davvero di tutte i colori nei confronti del Parelli. C'è chi lo osanna e chi invece lo accusa di rovinare i cavalli, di renderli confusi e ancora meno collaborativi. Che la capezza a nodi in realtà è ancora più coercitiva di un'imboccatura pesante, che codificare il comportamento dei cavalli in una semplice tabella e il loro addestramento in sette giochi è un'eccezionale trovata commerciale, certo, e un'emerita idiozia. Mi stupisco anzi che una come Paola abbia accettato di avere un'istruttrice Parelli sotto il suo tetto, addirittura senza intimarle di togliere immediatamente il cappello prima che si ritrovasse il campo coperto pieno di sciamani della luce che montavano in capezza e si mettevano ad agitare fruste strane in tutte le direzioni come mulini a vento impazziti, mettendo alla berlina gli ultimi quarant'anni di equitazione.
Ma, visto che al momento non so più dove sbattere la testa e ciò che sto vedendo quotidianamente mi sta facendo prendere seriamente in considerazione la prospettiva di mollare tutto e di chiudere per sempre con il mondo dell'equitazione, almeno una piccola chance voglio dargliela. Male che va, mi faccio l'ennesimo bagno nel disgusto e mi rimetto a scrivere la tesi fino all'ora di uscire. Subito mi trovo di fronte a una quantità sterminata di materiali, sia in italiano che in inglese. E scopro che in realtà quello che avevo visto allo stage non era nulla rispetto a ciò che il Parelli è effettivamente. Ovvero, tutta un'altra cosa.
Scopro così che il Parelli non è un tipo di monta (come l'inglese o l'americana), ma un metodo che abbraccia universalmente qualsiasi disciplina, sia a livello amatoriale che agonistico, ed è basato sulla comunicazione con il cavallo nel rispetto del suo carattere e delle sue esigenze. Il fatto che si monti in capezza è solo una delle quattro aree di lavoro, due da terra e due in sella; e ciascun binomio deve superare una serie di audizioni per arrivare fino al livello quattro, l'ultimo prima dell'ammissione ai corsi negli Stati Uniti.
Incuriosita, vado a cercare alcuni video di queste auditions su Youtube e trovo delle cose pazzesche, che mi hanno lasciata incantata e perplessa allo stesso tempo, tanto sono lontane anni luce da tutto quello a cui ero stata abituata per quasi trent'anni. Cavalli completamente liberi in un campo grande che corrono al fianco del loro umano, saltando tronchi e superando esercizi di vario tipo, come salire su una ruota o disegnare una figura a otto intorno a due coni. Cavalieri che montano senza testiera, usando una frusta particolare (ho scoperto poi che si chiama carrot stick) per mantenere la direzione, o longiano il proprio cavallo restando perfettamente immobili al centro del campo, con l'animale che si muove intorno loro sereno e concentrato.
Tutto questo mi sembra un'autentica follia da circo equestre, allo stesso tempo sento una voglia crescente di provare a salire anch'io su questa giostra, l'ultima che ancora mi riservi un minimo di attrattiva nel vasto e disarticolato lunapark degli sport equestri.
Sono talmente concentrata sulle mie ricerche da non accorgermi del tempo che passa, e quando finalmente alzo gli occhi dallo schermo del pc mi rendo conto con sgomento che mancano solo cinque minuti alle sette e io sono ancora in tuta e in pantofole. Promettendomi di riprendere la ricerca più tardi, corro subito in camera a cercare qualcosa di decente da mettermi. Opto per uno dei miei lunghi maglioni a collo alto, quello nero lungo fino alle ginocchia, a cui abbino un paio di calze pesanti e gli stivali alti con molte stringhe; poi corro in bagno per darmi una sistemata ai capelli, imprigionati per tutto il pomeriggio in uno scomposto chignon, e passarmi un filo di trucco sugli occhi.
Sto finendo di tracciare l'eyeliner lungo il contorno delle palpebre quando mi arriva la chiamata di Federico, che mi aspetta qui sotto. Mi precipito fuori dal bagno, infilandomi nel mio cappotto invernale e uscendo di casa a passo spedito, i tacchi degli stivali che riecheggiano lungo le scale strette. Fede è seduto in macchina, avverto il fragore della musica sparata al massimo dal suo stereo di ultimissima generazione. Solo che mi rendo subito conto che non è solo. C'è qualcuno, seduto al posto del passeggero. La sua chioma bionda protesa in avanti occupa il finestrino posteriore, e la sua voce mentre ride sguaiatamente sovrasta persino la voce rauca di Billie Eilish che riecheggia fino in strada.
Avverto una vampata di calore infiammarmi le viscere, e stavolta faccio veramente fatica a mantenere l'autocontrollo. Mi dirigo verso l'auto a passo di marcia e picchietto con le dita sul finestrino, richiamando all'ordine le due tortore.
«Ciao, amore!» mi saluta Federico, sorridendo con naturalezza. «Qualcosa non va?»
"Qualcosa non va? Certo, tutto non va, a partire dal fatto che ti sei presentato insieme a quella, manco fossi io il terzo incomodo. Il tutto dopo che sei sparito per un'intera giornata a fare non so cosa. Insomma, se avevi così tanto da fare, come hai fatto a trovare il tempo di arrivare dall'altra parte della città per andare a prenderla e poi venire qui? A saperlo, ti risparmiavo il disturbo e mi presentavo direttamente sul luogo dell'incontro, razza di deficiente!" penso in preda alla rabbia.
«No, tutto a posto» rispondo invece, sempre per il sopracitato motivo di non fare la figura della fidanzata appiccicosa. Non subito, almeno. «È che mi aspettavo venissi da solo.»
«Ta daaaaaa, sorpresa!» esclama Sofia, sporgendosi in avanti per salutarmi.
Alla sua vista, cerco di mantenere ancora più autocontrollo. Non c'è più traccia della iena rabbiosa che mi ha aggredita l'altra sera, né della fredda figlia del capo che mi ha accolta questa mattina. Delle tante personalità che riesce ad attingere dal suo cilindro emotivo, sembra che per il momento Sofy abbia scelto quella del buonumore.
«Ciao» saluto io, abbozzando un sorriso il più naturale possibile. «Come mai qui?»
«È venuta alla sua prima lezione di teatro» spiega Federico con naturalezza. «Per questo mi sono offerto di accompagnarla.»
«Aspetta, cosa?»
A quella rivelazione, vengo colta da un attimo di vuoto, mentre il mio cervello corre a elaborare la valanga di sottili informazioni con cui sono stata appena bersagliata. Riassumendo, Federico ha rinunciato a vedersi con me per trascorrere tutto il pomeriggio con Sofia?
«C'era l'open day, ricordi?» spiega lui. «Così Sofia ha pensato di venire, e pare che si sia divertita moltissimo. Sta pensando di unirsi alla compagnia, sai?»
«Ah.»
Devo avere usato un tono eccessivamente sepolcrale, perché di colpo sia Federico che Sofia sembrano aver assunto un'espressione allarmata.
«Ehi, amore, sicura di stare bene?» fa lui, improvvisamente remissivo.
«Una favola.»
Entro in macchina senza troppi complimenti, accomodandomi al suo fianco e allacciandomi la cintura senza proferire parola. In fondo, che cosa ho da dire? Cerco di ignorare Sofia, che intanto ha ricominciato a parlare a manetta con Federico di cose delle quali ignoro l'esistenza, quasi come se io non ci fossi. Il senso di impotenza sommato alla consapevolezza di essere totalmente ignorata da quei due è una tortura insopportabile. Se Sofia fosse stata al mio posto, sono sicura che avrebbe tirato su una delle sue scenate apocalittiche, rivendicando immediatamente la propria posizione. Ma io non sono così, è questo il problema. Non mi piace stare al centro dell'attenzione e non mi piacciono le discussioni. E anche ora che vorrei solo gridare, dalla bocca non mi esce alcun suono, congelata com'è in quel sorriso innaturale che puzza di ipocrita accondiscendenza.
"Che cosa sto diventando?" penso nel mentre, in preda al disgusto. Una manciata di anni fa, prima che il nonno si ammalasse e il ranch finisse nelle mani di quel pazzo, non me ne sarei rimasta così mite di fronte a un simile affronto. Non avrei esitato ad alzare la voce e a fare valere la mia posizione, anche a costo di sembrare una svitata. Più volte sono entrata in aperto contrasto non solo con i miei genitori, ma anche con mio zio e mia cugina Cassandra, conquistandomi l'etichetta di 'ragazza problematica'. Da quando me n'ero andata, la leonessa solitaria qual ero si era come ammansita. Non cercavo più lo scontro aperto e incassavo senza battere ciglio qualunque cosa mi dicessero, quasi come se avessi il terrore che il minimo accenno di dissenso da parte mia avrebbe rovinato tutto un'altra volta. Quasi come se tutto ciò che era successo al ranch fosse solo colpa mia, e volevo in qualche modo rimediare. Con il risultato che ora non riesco più a scrollarmi di dosso questa nuova maschera, che sta iniziando a soffocarmi.
«Allora, che programmi ci sono per la serata?» chiedo, decisa finalmente a ricordare loro che in auto c'è un terzo passeggero.
«Simo ha prenotato all'Uci» risponde Federico. «E poi ci fermiamo a mangiare all'Old Wild West.»
«Okay.»
Da una parte, sono contenta che andiamo al cinema: perlomeno, nel buio della sala, ci sarà meno spazio per le conversazioni imbarazzanti. Ultimamente, non ho molta voglia di parlare, quando esco in gruppo: purtroppo episodi come quello che sta accadendo proprio ora stanno diventando abbastanza la normalità e io inizio a sentirmi in qualche modo emarginata. Non è raro che, nel momento in cui provo a imbastire una conversazione, venga tacitata subito da uno di loro, che sovrasta la mia voce e cambia argomento. Probabilmente è il fatto che non bevo, o perché appaio sempre molto ordinaria come aspetto, mentre Sofia e le ragazze degli altri due non esitano a sfoggiare un outfit sicuramente più interessante, dai jeans strappati a top attillati e tacchi di vario genere. Durante l'ultima uscita prima delle vacanze mi sono trovata completamente da sola a sorseggiare la mia Coca-cola, mentre Fede mi dava di spalle a parlare del torneo di calcetto con gli altri due e Sofia cazzeggiava su Instagram insieme a Silvia e Gloria. Quell'ennesimo episodio mi ha fatta stare malissimo, e quando ho fatto notare la cosa a Fede, lui ha sollevato le sopracciglia e risposto semplicemente: «Be', qualche volta potresti farti avanti pure tu e cercare di fare un po' di conversazione, no?»
Già, ma su cosa? Il fatto che mi capita di essere tacitata è legato spesso e volentieri alla totale ignoranza da parte mia sugli argomenti preferiti del resto della compagnia. Io non so un bel niente di calcetto, di dirette Instagram, di influencer e videogiochi. L'unico filo conduttore potrebbe essere l'argomento cavalli con Sofia, ma ogni volta che tiro fuori la questione vengo letteralmente sommersa dai racconti delle sue celebri imprese nei concorsi nazionali e internazionali, compreso quello che accade nei box, per naufragare poi sugli ultimi aggiornamenti delle sue vlogger preferite su YouTube o sul sito di qualche costosissima selleria.
Il cinema si trova nella zona industriale della città. È un ventiquattro sale di ultima generazione e ingloba anche due ristoranti, una libreria e una sala giochi. Gli altri ci stanno aspettando all'ingresso, Gloria e Simone che si stanno dividendo una sigaretta di fronte all'ampia porta a vetri gremita di gente.
Federico riesce a trovare parcheggio dopo un paio di giri (è sabato sera e per di più piove, quindi sembra che tutta Bologna abbia deciso di venire qui a scaldarsi), e finalmente raggiungiamo il resto del gruppo al disotto della pioggia battente.
«Siete in ritardo» esordisce Riccardo in tono polemico non appena ci vede arrivare.
«C'era traffico» protesta Federico. «Avete preso i biglietti?»
L'altro gli strizza un occhio, indicando la tasca interna della giacca di pelle. «Sono dieci euro a testa, vecchio» aggiunge, protendendo il palmo verso di noi.
Io faccio per tirare il portafoglio per pagare, quando di colpo Sofia accenna a un imbarazzato colpo di tosse.
«Scusate, sono a secco stasera» pigola. «Mia madre mi ha tagliato i fondi fino a quando non passerò l'esame di inglese.»
Subito, Federico allunga una banconota da cinquanta in direzione di Riccardo. «Me li ridarai più avanti con calma» spiega, strizzando un occhio a Sofia, che in tutta risposta gli getta le braccia al collo e gli stampa un sonoro bacio sulla guancia.
«Grazie, vecchio, che mi devi sempre sopportare in queste situazioni!»
Okay, ora abbiamo decisamente passato il segno. Aspetto che gli altri varchino l'ingresso del cinema, prima di picchiettare sulla spalla del mio uomo e decidere finalmente di intervenire.
«Ehi, tesoro? Ti dispiacerebbe se facciamo due parole, prima di entrare?» esordisco. Non so nemmeno da dove cominciare, per quante gliene voglio dire in questo momento.
Lui solleva un sopracciglio biondo e mi rivolge un'occhiata da cucciolo indifeso (tipica di quando fa la vittima), seguendomi nell'ingresso del cinema e fermandosi di fronte alla libreria. Poco più avanti, Riccardo e Simone hanno già iniziato a fare incetta di caramelle gommose, seguiti a ruota da Sofia.
«Va tutto bene, amore?» riparte alla carica per la terza volta, neanche gli fosse andato in cortocircuito il cervello. «Qualcosa non va?»
«Perché non mi hai detto niente dell'open day?» attacco subito io, partendo da ciò che mi ha più male. «Perché l'hai detto a Sofia e a me no?»
«Tesoro, credevo fossi impegnata fino a tardi, oggi» si schermisce lui.
«Ti ho scritto che ero libera!»
«Sì, ma l'ho visto solo alle tre e mezza, quando l'evento era già iniziato da un pezzo. E poi, non pensavo fossi un tipo da teatro.»
«L'ho praticato per anni quando andavo alle superiori, e poi hai già dimenticato tutte le volte che ti ho chiesto se ti andava che venissi a provare con te?»
«Sì, ma come ben sai le prove sono di sera, e tu la sera sei sempre stanca...»
«Non importa, avrei fatto comunque uno sforzo!»
Federico continua a fissarmi con quell'aria smarrita dipinta nei suoi occhi azzurri, e a me quell'espressione di chi si ostina a fingere di non capire mi manda ancora più in bestia.
«In ogni caso, perché Sofia era lì con te?» torno alla carica subito dopo, e chissenefrega se Anna la pazza si sta lentamente destando.
Come sospettavo, il solo toccare il tasto Sofia sembra risvegliare immediatamente Federico dal suo stato di torpore, facendolo scattare automaticamente sulla difensiva.
«Ma come perché?» chiede, e dalla sua voce capisco subito che è molto infastidito. «Sofia è una libera cittadina, può fare quello che vuole.»
«Forse non mi sono spiegata bene» riformulo il concetto io. «Perché hai invitato la tua migliore amica all'open day, mentre non hai calcolato minimamente la tua ragazza?»
«Anna, ti prego, ancora con questa storia...»
«Sì, sono gelosa. Credo di avere il diritto di esserlo, specie visto come ti stai comportando ultimamente.»
«Guarda che le tue sono solo paranoie, te l'ho già spiegato un miliardo di volte e non intendo rovinarmi la serata per un motivo così ridicolo.»
«Neanch'io, se permetti. Per questo ti sto chiedendo spiegazioni, qui e ora. E che sia finita.»
«Ma finire cosa?»
Sospiro, levando gli occhi al cielo. Sono questi i momenti in cui credo di essere veramente pazza, di stare semplicemente vaneggiando di fronte a cose di assoluta normalità.
«C'è che ultimamente ti vedo un tantino confuso su chi sia la tua fidanzata» cerco di farlo ragionare. «D'accordo, Sofia è la tua migliore amica e ci sta, ma a tutto c'è un limite. E se posso anche chiudere un occhio sul contatto fisico che spesso e volentieri si fa un po' troppo intimo, o sul fatto che voi due vi messaggiate anche tutto il giorno con toni anche decisamente sopra le righe, ci sono cose che purtroppo non mi sento di tollerare. Tipo il fatto che ultimamente lei sembra avere la priorità su tutto. Non c'è cosa che chiedi a me che tu non abbia già chiesto anche a lei, dall'offrire una cena ai regali di Natale. Cos'è, improvvisamente ti sei votato al poliamore senza dirci nulla?»
«Adesso stai esagerando.»
«Fammi finire!» ribatto io, furibonda. «E vogliamo parlare anche del fatto che l'altra sera sono stata letteralmente aggredita da lei in mezzo a un locale e nessuno si è preso la briga non dico di difendermi, ma perlomeno di dirle di contenersi? Ti sembra normale? E che dopo che la tua ragazza è fuggita in lacrime non ti sei preso nemmeno la briga di chiamarla o di mandarle un messaggio per sapere come stava?»
«Proprio perché sono rimasto fino all'una a cercare di far ragionare Sofia e spiegarle le tue motivazioni non sono riuscito a chiamarti» si schermisce lui, alzando la voce di un'ottava. «In fondo era una cosa fra te e lei, ho ritenuto opportuno che foste voi due a chiarirvi di persona.»
«Certo, assumendomi come sua schiava personale e togliendomi gli unici allievi che avevo. Sai che soddisfazione?» sputo fuori io, furibonda.
«Non hai idea di ciò che sta passando Sofy. Se solo la smettessi di pensare solo a te stessa...»
«Chi, io?» mio malgrado, quell'ultima affermazione mi fa scoppiare in una risata carica di sprezzo. Ecco, Anna la pazza è sveglia, e io non ho alcuna intenzione di rimetterla a dormire. «Senti, posso capire che Sofia è distrutta per il suo ex e il rapporto pessimo che ha con sua madre, che però intanto le ha regalato un cavallo da Gran Premio, ma a tutto c'è un limite. E scusami, ciò non l'autorizza a trattare come zerbini le persone che le stanno intorno, te compreso, visto che stai mandando a puttane la tua relazione con me per farle da psicologo, tassista, fratello maggiore e non so cos'altro.»
«Te l'ho detto, lei ora più che mai ha bisogno di qualcuno che le stia vicino. Non hai idea di quanto stia male. La fine della sua relazione l'ha distrutta e ha discussioni con sua madre praticamente ogni giorno. Ti sembra sempre sorridente e allegra con il gruppo perché in fondo è una ragazza forte, una vera guerriera, ma credimi se ti dico che in realtà è distrutta e non appena si trova da sola è colta da continue crisi di pianto e attacchi di panico.»
«E allora che andasse da uno psicologo, invece di aggredire la gente!»
«Lo sai che cosa pensa a riguardo, sia lei che sua madre. E poi, fidati che non ha bisogno di uno psicologo. Deve semplicemente staccarsi da sua madre.»
«E allora perché non lo fa? Perché non si prende quella cazzo di laurea, le tira un calcio in culo e se ne va per conto suo? Con il curriculum che ha potrebbe benissimo andare a lavorare in Germania, in Olanda o non so in quale altro posto dove hanno una scuderia a cinque stelle e trovare un minimo di serenità.»
«Non tutti hanno la tua stessa grinta di prendere e mollare tutto, Anna» mi fa presente Federico. «E la sua situazione non è così semplice. Tu non hai nessuno alle spalle, quindi non hai nulla da perdere. Lei sì. Per questo ti invidia, me l'ha confessato più di una volta. Perché mentre tu sei comunque riuscita in qualche modo ad affrancarti dalla tua famiglia, lei questo non lo può fare. Ha un'azienda la cui gestione un giorno passerà a lei, e una madre che la tiene costantemente per le palle, minacciando di tagliarle i fondi e toglierle ogni cosa al minimo segno di ribellione. La sua è una guerra diversa dalla tua. È più silenziosa e prudente, e non può permettersi di perderla.»
«Ah, capisco» e no, non riesco proprio a giustificare il suo comportamento, specie dopo che lei è stata la prima a non voler ricambiare la cortesia. «Ciò non toglie che, sempre se non te ne sei accorto, anche la tua ragazza ultimamente ha un po' di problemi. Almeno la madre di Sofia finanzia la sua passione per i cavalli, gliene compra quanti ne vuole se necessario, ed è pronta a passare sopra tutto e tutti pur di spianarle la strada. Sarà anche vero che quando lei vinceva la sua prima Piazza di Siena io scorrazzavo in mezzo alla Maremma laziale in sella a un ronzino salvato dal macello, ma sai che c'è? A differenza sua, io non ho avuto nessuno in famiglia che sostenesse la mia passione, eccetto mio nonno, che ha fatto tutto il possibile fino a quando ne ha avuto la possibilità. Tutto ciò che mi sono potuta permettere fino ai diciotto anni era una lezione a settimana, sudata con le mie paghette. La seconda l'ho introdotta con l'università, quando ho iniziato a dare una mano in scuderia nei weekend. E quando ho accettato quel lavoretto, a casa mia scoppiò il putiferio, perché temevano che la cosa mi distogliesse dallo studio. Erano arrivati persino a requisirmi le chiavi della macchina, e allora invece di piangermi addosso mi facevo tutta la strada a piedi, da casa fino al maneggio. Ci mettevo quaranta minuti, quando camminavo abbastanza svelta e il tempo era buono. E poi ogni volta non potevo entrare in casa con l'abbigliamento da equitazione, perché puzzavo e portavo i germi ovunque, e quindi anche se fuori facevano due gradi sottozero dovevo spogliarmi completamente in garage e lasciare gli abiti in una lavatrice esterna, andando dritta in doccia senza toccare nulla. E di certo non ha dovuto subire l'umiliazione di essere continuamente presa per pazza e sminuita davanti a tutti, sentendosi ripetere all'infinito che quello con i cavalli non è un lavoro, non è una professione, non è niente che valga la pena di ricevere così tante energie e sacrifici. Non le sarà di certo capitato di sentire i propri parenti che cambiano argomento quando qualcuno le chiede che cosa sta facendo, o di sentirsi rispondere con emerite bugie sul proprio lavoro, neanche fosse una prostituta. Nessuno l'ha messa alla porta per aver scelto una vita che non era quella che avevano si aspettavano loro, oppure essersi innamorata di un uomo che semplicemente non approvavano.»
«Per favore, adesso calmati. Stai esagerando» cerca di bloccarmi Federico, ma io ormai sono un fiume in piena e voglio sfogarmi come si deve.
«Non sono anche queste cose per cui piangere e urlare e ricordare che sì, esisto anche io e che ho il diritto di sentirmi fottutamente male, di tanto in tanto? O forse non ho la stoffa della drama queen e devo rassegnarmi a tenere il becco chiuso?»
«Amore, non sto dicendo questo. Stai molto male per tutto questo, e ti capisco, ma non tutti reagiscono allo stesso modo. Cerca di capirlo. Sarebbe bello se tutti fossimo come te, che hai così tanta grinta e voglia di ribellarti, ma non è così semplice. E se Sofia ha comunque reagito in un certo modo, un motivo c'è. Cerca di capirlo. Capire quanto sia fragile.»
«Allora smetti subito di menartela con questa storia che ti piacciono le donne forti» ribatto io, gelida.
«E tu con questo accanimento nei confronti di Sofia, per favore, perché è ridicolo» interviene lui con fermezza. «Che ti piaccia o no, Sofia è la mia migliore amica e la conoscevo da ben prima di te. Perciò, se lei sta attraversando un periodo difficile, non puoi chiedermi di metterla in secondo piano solo perché ci sei tu. Io per lei ci sarò sempre, che ti piaccia oppure no. Se vuoi stare con me, fai il sacrificio di accettarla, perché non ho alcuna intenzione di cambiare atteggiamento solo perché sono fidanzato. Sono stato chiaro?»
«Chiaro.»
In questo momento, è come se una lama invisibile mi avesse trapassato lo sterno, tanto male mi hanno fatto le sue parole, dette con quella freddezza che ormai lascia qualsiasi tentativo di chiarimento privo di senso.
«Non fraintendermi, amore mio» aggiunge subito dopo lui, sfiorandomi la guancia con le dita. «Tu sei la mia ragazza e io ti amo come sempre, ma devi ricordarti che anch'io ho una vita. Degli spazi e delle esigenze. E vanno rispettati, per il bene della coppia.»
«Certo» ribatto io. «Perdonami, forse il fatto che abbia zero vita sociale mi ha fatto perdere di vista un po' di cose.»
«Ma ora hai vita sociale. Ci siamo noi!»
«Lasciamo perdere. L'ultima volta mi sono trovata a parlare con un poster di Marylin Monroe.»
Federico sta per rispondere, quando improvvisamente la voce di Riccardo interrompe la nostra imbarazzante discussione.
«Ehi, piccioncini!» tuona lui. «Basta parlare, il film sta per iniziare. Dai, che non voglio perdermi i trailer!»
«Arriviamo» faccio io, facendo per avviarmi verso l'ingresso della sala.
Federico allunga una mano in avanti e afferra le mie dita. La sua presa è incerta, e di sicuro non è per confortare me: dal suo tocco percepisco che ora è lui che ha bisogno di certezze. Sospiro, accodandomi agli altri all'entrata della sala.
Spero solo che un giorno non mi vedrò costretta a mettere Federico di fronte alla scelta tra me e Sofia. Anche perché, specie dopo quello che ci siamo detti poco fa, mi sembra di conoscere già la risposta.
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