13. Khadija
Il sabato mattina è uno dei rari giorni in cui faccio lezione. Non ho molte allieve, per la verità sono due in tutto. Si chiamano Sara e Martina, due sorelline di cinque e sette anni che lo scorso novembre hanno vinto un buono per delle lezioni di equitazione e che alla fine hanno deciso di iscriversi alla scuola pony. A differenza della maggior parte degli iscritti, il padre ha messo in chiaro sin da subito che per il momento non ha alcuna intenzione di far partecipare le piccole a dei concorsi o di prendere un pony in mezza fida, ragion per cui Paola le ha assegnate a me senza stare a disturbare Massimo.
Per me è stata una bellissima notizia, anche se sulle prime avevo un'ansia da prestazione pazzesca: finalmente avrei avuto le mie prime allieve ufficiali e un'ora di lezione tutta mia, dal momento che fino a quel momento le uniche messe in sella che avevo fatto erano i giretti con il pony la domenica e le corse a lunghina durante le ore di Massimo.
Le facevo venire tutti i sabati dalle nove alle dieci, prima di iniziare a preparare i cavalli da scuola per le lezioni successive, e mi divertivo un sacco insieme a loro in sella a Primula e Pervinca, due instancabili Shetland, trascinandole per tutto il tondino coperto invaso da coni, picchetti e palle di gommapiuma. Quell'ora rappresentava un'autentica ventata di aria fresca ed erano quelli i momenti in cui capivo di amare alla follia il mio lavoro.
Sono trascorsi alcuni giorni dalla disastrosa gita a Cervia, e l'aria che tira in maneggio è insolitamente calma. Per la verità, da allora sia Paola che Sofia si sono viste veramente poco in scuderia e le poche volte in cui le ho incrociate mi sono tenuta prudentemente alla larga, terrorizzata alla sola idea che una delle due ricominciasse a urlarmi contro di punto in bianco. Non che loro mi abbiano cercato, e in questo caso mi viene da pensare che abbiano sbollito per conto proprio. A maggior ragione, evito prudentemente di gettare altra benzina sul fuoco, concentrandomi sul mio lavoro e cercando di svolgerlo nel miglior modo possibile.
Al momento, mi preoccupa maggiormente Federico e il suo silenzio da quando Sofia mi ha aggredita in mezzo alla strada. Quella sera non si è fatto più vivo, e sono stata io a doverlo cercare il giorno dopo. D'accordo, Fede non è tipo da stare sempre attaccato al telefono (tranne quando chiama Sofia, ovviamente, ma con lei è quasi impossibile scollarsela perché se per qualche motivo non rispondi lei continua a chiamare a manetta fino a quando non cedi per sfinimento). Sta pochissimo sui social network e preferisce di gran lunga la comunicazione faccia a faccia ai vari dispositivi elettronici. Quando ancora eravamo in una relazione a distanza, i nostri incontri su Skype erano una vera agonia, complice anche la pessima connessione che avevo a casa. Già il fatto che abbia resistito in quel periodo gli ha fatto guadagnare una valanga di punti esperienza, ma ora non è questo il punto.
Il fatto grave è che non ha alzato un dito di fronte alla sua migliore amica che mi attaccava in pieno centro con tanto di bava alla bocca come un chihuahua impazzito, e la cosa mi fa male. Non pretendo scuse da Sofia, per quanto i suoi modi siano inaccettabili aveva comunque ragione, ma almeno un abbraccio o una parola di conforto poteva darmela, no? O forse sono io che come al solito sono 'troppo sensibile'?
Per quanto ci siamo sentiti, Federico non ha mai tirato fuori l'argomento, ma io sono più che mai determinata ad affrontarlo il prima possibile. Anche per mettere in chiaro una volta per tutte il suo rapporto con Sofia. D'accordo, abbiamo discusso sulla questione almeno un centinaio di volte, e puntualmente è andata a finire con me in lacrime e lui che metteva il muso, ma ora basta. Non sono cieca, e il fatto che ultimamente loro due stiano diventando anche troppo affiatati inizia a darmi veramente fastidio.
Per questo gli ho dato appuntamento stasera prima di cena, per parlare finalmente faccia a faccia senza il resto del gruppo che ci ronza intorno. Sperando che nessuno di loro abbia la malaugurata idea di bloccarmelo per l'ennesima partita di calcetto (ormai sono passati a due incontri a settimana per permettere a tutti di giocare, sacrificando la serata del mercoledì dove eravamo soliti uscire insieme e lasciando solo il sabato sera, dove si esce tassativamente in gruppo). Voglio vederci chiaro, a costo di lasciarlo. La solitudine non mi spaventa, di certo la preferisco a dovermi trascinare una storia dove ho più dubbi che certezze e nella quale sto disperdendo una valanga di energie. Certo, sarà un bel punto a favore dei miei genitori, ma che cosa devo fare?
Arrivare in scuderia è per me fonte di un'insperata boccata d'aria contro la tempesta di cupi pensieri che mi sta decisamente provando da giorni. In tutto questo, ho ricominciato lo stage al mattino, e arrivare al lavoro dopo cinque ore chiusa in ufficio è una cosa che non auguro nemmeno al mio peggior nemico.
È una mattinata grigia e fredda, come tante ne avremo fino a marzo. Mi sistemo il cappello di lana fin sotto le orecchie e faccio per scendere dalla macchina, quando di colpo mi rendo conto di non essere sola nel parcheggio. Di fianco a me c'è un Defender rosso fiamma piazzato proprio di fronte all'ingresso della scuderia. Batto le palpebre, registrando istantaneamente che non si tratta del Suv, della Mercedes o della BMW dei clienti abituali del maneggio. No no, è proprio una Jeep autentica e ignorante, con tanto di parafanghi chiazzati di terra e ghiaia e un acchiappasogni rosa shocking che pende dallo specchietto retrovisore.
Scendo dall'auto, notando che c'è qualcuno all'interno. Non appena percepisce la mia presenza, quest'ultimo apre la portiera e balza a terra, parandomisi davanti. Per poco non mi convinco di avere un'allucinazione, per quanto il suo aspetto mi sembri azzeccato come un elefante in una cristalleria. È una ragazza alta all'incirca un metro e settanta, resa ancora più imponente dagli abbondanti strati di abiti che indossa, sovrastandomi per almeno due dita. I capelli castani, lunghi fin quasi alla vita, le sfuggono selvaggi al disotto del cappellino da baseball con il profilo rosa shocking della testa di un cavallo. Non so se mi disturbano di più le ciocche verde bottiglia sul davanti o l'ingombrante poncho color prugna con tanto di motivi indiani che usa al posto della giacca. I piedi sono infilati in un paio di anfibi imbottiti di pelliccia sintetica e i pantaloni da equitazione neri sembrano stati acquistati in fretta e furia da Decathlon nelle ultime ventiquattro ore.
«Serve qualcosa?» chiedo disorientata.
«Da che parte devo andare, per la selleria?» chiede la sconosciuta con naturalezza.
«Cosa? Devi fare lezione?» ribatto io, ancora più confusa.
«Sì, sì. Alle nove» fa lei, e nell'annuire la sua criniera selvaggia va in tutte le direzioni.
«Ma devi montare con Massimo?»
«No no, scusami» mi tende la mano. Le unghie tagliate cortissime sono intrise di terra. «Sono Khadija, comunque. Sono in prova come istruttrice.»
«Ah,» la notizia mi arriva con la delicatezza di un mattone sui denti. «Paola non mi ha detto niente» ribatto subito dopo.
«Strano, mi aveva detto che te ne aveva parlato» risponde lei, mutando subito espressione nei suoi occhi color del miele. «Vabbè, in ogni caso dovrei preparare i pony. Sapresti dirmi come posso fare? Sai, è il primo giorno e non vorrei combinare subito qualche casino...»
«Certo, certo» borbotto, facendole strada. «Anche perché si dà il caso che era la mia lezione» aggiungo subito dopo, senza curarmi di apparire maleducata.
«Cosa? Oh» Khadija mi trotta subito al fianco, la sua espressione sempre più imbarazzata. «Mi dispiace, posso sapere il motivo di questo cambio? Ripeto, non sono qui per combinare casini...»
«Guarda, me lo sto chiedendo anch'io.»
Entro nella scuderia dei cavalli della scuola. È un prefabbricato che sorge isolato dagli altri, occupando lo spazio che un tempo era riservato a una stalla. In tutto abbiamo dieci cavalli da scuola, di cui sei pony di svariate altezze e quattro cavalli. Sono tutti ex agonisti che per un motivo o per l'altro hanno dovuto ritirarsi dal mondo delle gare, a eccezione di Primula e Pervinca, i due Shteland riservati ai più piccoli, che tra l'altro sono gli unici a condividere lo stesso box.
Le mostro i pony da preparare e la selleria in fondo; poi, furibonda, faccio per tirare fuori il cellulare e comporre il numero di Paola nella speranza di ricevere spiegazioni, quando la voce di Sofia echeggia dal fondo del corridoio, anticipandomi sul tempo.
«Anna!» mi richiama. «La mamma ti vuole nel suo ufficio, subito!»
"A posto, sono licenziata!" penso in preda al panico.
Khadija mi lancia un'occhiata perplessa mentre la supero a testa bassa e faccio per raggiungere Sofy, quando lei aggiunge: «Tu dovresti essere quella nuova, giusto?»
«Sì,» risponde lei, con tutta l'aria di chi non ha più la pallida idea di che cosa stia succedendo. «Tanto piacere, sono...»
«Benvenuta, carissima!» fa Sofia, slanciandosi verso di lei per stringerle la mano. «Io sono Sofia, la figlia di Paola. La mamma vorrebbe parlare anche con te una volta finito di preparare i pony. Fai con comodo, ti aspettiamo.»
«Ah, okay okay.»
Khadija mi lancia un'occhiata di sottecchi prima di rifugiarsi dietro Pervinca. Dal mio canto, io vorrei solo scomparire. È la stessa identica scena di quando sono arrivata io, solo che al mio posto c'era l'ex groom. Che di lì a poco sarebbe stata lasciata a casa, sempre con un richiamo in ufficio.
Mi avvio insieme a Sofia con la testa bassa, terrorizzata alla sola idea di guardarla in faccia. So che qualunque cosa possa dire in questo momento non farà altro che mettermi ancora di più nei guai. Di contro la Sofy continua ad avanzare di fronte a me, le suole degli stivali lucidi che crocchiano sulla ghiaia gelata e la coda di un biondo quasi bianco che le ondeggia altezzosa tra le scapole.
Nel momento in cui arriviamo di fronte all'ufficio, la porta si apre improvvisamente. Ne esce Piero, risistemandosi lo stinto cappellino da baseball sulla testa ormai calva e lanciandoci un rapido cenno di saluto prima di allontanarsi. Noto subito che ha un'aria profondamente afflitta e la cosa mi provoca una stretta al cuore: che Paola abbia già trovato un sostituto?
La risposta mi attende dietro la scrivania, dove Paola sta ultimando qualcosa al computer e intanto sorseggia caffè dalla sua tazza di porcellana su cui è stampata in caratteri corsivi la frase di Henry David Thoreau Vivi la vita che hai immaginato.
«Oh, eccovi» esordisce non appena avverte la nostra presenza. «Sofy, gentilmente puoi preparare un caffè anche ad Anna? Poi puoi pure andare.»
Lei esegue senza ribattere, e intanto io mi sento attorcigliare le viscere in preda all'ansia. Il solo pensiero di restare da sola con il Drago mi terrorizza.
«Siediti, cara» mi invita Paola. È incredibile come riesca ad apparire calma e gentile ogni volta, anche se si trova sul punto di farti a pezzi.
Obbedisco con la prontezza di un automa, sprofondando nella sedia di vimini che ha di fronte alla scrivania. Sofia mi parcheggia di fronte un bicchiere di plastica prima di lanciarsi in una ritirata tattica, con tanto di porta chiusa alle spalle. Deglutisco, avvertendo la terra farsi fastidiosamente molle ai miei piedi. Sono sola.
«È una gran fortuna che tu abbia un'amica come Sofia, specie dopo lo spettacolo increscioso a cui siamo state costrette ad assistere a Cervia. Ne sei consapevole, vero?» esordisce.
«Sì, e me ne scuso» pigolo io, in preda all'imbarazzo.
«Non è colpa tua» interviene a lei, a sorpresa. «Vedi, Anna, il mondo dell'equitazione è qualcosa di molto complesso, che non tutti possono capire. Non basta superare un esame dopo un corso che dura sì e no una settimana per definirsi un professionista, per quanti pezzi di carta tu possa possedere. Di questo credo che te ne sia già resa conto a suo tempo. In ogni caso, ripeto, non è colpa tua se attualmente sei una completa incompetente. Detto fra noi, chi organizza i corsi ha ben altri interessi e di certo non sta a dirvi che accetterebbero cani e porci, lasciando il lavoro sporco ai tanti maneggi a cui andrete a bussare la porta. Specie per una come te che, in buona fede, ti sei formata per metterti a lavorare il prima possibile. Giusto?»
«Sì, è così.»
Paola mi lancia una lunga occhiata. Sembra quasi di comprensione, ma non riesco a leggerla fino in fondo.
«Non è colpa tua. Non potevi saperlo» ribatte lei, con calma. «Vedi, se le cose fossero chiare fin dall'inizio, tanti di voi capirebbero che il lavoro dell'istruttore è ben più complicato di come te lo spiegano durante la formazione. Non si tratta solo di mettere giù quattro coni e due barriere. È una professione che si conquista con anni e anni di pratica e bisogna possedere delle competenze molto specifiche anche solo per dare una spazzola in mano a un ragazzino. Di certo chi pratica equitazione una volta a settimana e sa sì e no saltare una crocetta di quaranta centimetri non è per nulla comparabile a chi gira in concorso da quando aveva quattro anni e si è costruito una carriera di tutto rispetto prima nei campi gara e poi in scuderia, con tutti i sacrifici che ciò comporta. Mi spiego?»
«Sì,» non devo mettermi a piangere, non ora.
«È anche una questione di rispetto, non so se mi spiego» prosegue Paola. «È a dir poco incredibile che tante ragazze dotate di buona volontà ma zero esperienza come te siano in possesso del brevetto da istruttore quando persone come mia figlia debbano sudarsi l'esame federale, che attualmente prevede un mese di corso più una prova scritta e tre pratiche, con il rischio che venga bocciata. Mentre tu, ripeto in assoluta buona fede, te la sei cavata con un weekend in cui ti avranno fatto montare un vecchio cavallo da scuola che si reggeva in piedi per grazia divina. È decisamente ingiusto, se ci pensi.»
«Sì, hai ragione.»
«Quando sei arrivata lo scorso anno, per di più con tutte le buone parole che aveva messo Sofy per presentarti, avevo sinceramente sperato che fossi quell'eccezione alla regola che ogni tanto capita. Insomma, una ragazza che da sola gestisce un ranch lasciato abbandonato dal nonno mi sembra un'impresa lodevole. E incosciente» Paola posa la tazza sulla scrivania, fissandomi dritta negli occhi con le dita intrecciate sotto il mento. «In questi mesi, ti abbiamo dato tutte le possibilità immaginabili, investendo sulla tua formazione e allo stesso tempo dandoti un piccolo stipendio, roba che da altre parti te la sogni allegramente. Ma credo che siamo giunte entrambe alla conclusione che, nonostante tutto, sei ancora decisamente inadeguata per il ruolo che ti compete. Sbaglio?»
«Hai assolutamente ragione» rispondo io, e intanto vorrei solo alzarmi e scappare via da quel posto per non rimetterci più piede. Da domani farò la brava e mi concentrerò solo ed esclusivamente sui miei riassunti da centoventi caratteri, giuro!
«Non prendere questo discorso come un modo per umiliarti, sto semplicemente cercando di farti ragionare. Un altro gestore ti avrebbe semplicemente lasciata per strada, e a calci in culo anche» prosegue lei. «Ti sto solo dicendo che qui siamo in un centro equestre federale, e come tale abbiamo degli standard da rispettare. Non posso tollerare che mia figlia, che qui dentro ha una reputazione, debba rischiare di essere messa in ombra da una ragazzetta che si sogna i risultati agonistici che lei si è sudata per tutta la vita, poco importa quanta buona volontà abbia. Anche perché non ti nascondo che un domani questo posto passerà a lei, il suo ruolo qui dentro è stato stabilito da tempo, quindi non starti a fare tante illusioni.»
«Sono licenziata, quindi?» taglio corto io, decisa a interrompere quella cortese tortura. D'accordo, sono una capra. Vorrei essere lasciata andare via senza ulteriori umiliazioni, grazie.
«Non ho detto questo» mi prende in contropiede Paola. «Ripeto, sei fortunata ad avere un'amica come Sofia. E una persona con una certa esperienza come me a darti uno stipendio. Ammiriamo la tua passione e il tuo impegno, per questo vogliamo darti qualcosa in più. Una seconda possibilità. Ripartendo da zero e conquistando il tuo titolo come di diritto, nel modo giusto.»
«Ovvero?»
«Be', Piero ormai è arrivato a una certa età. Sulle prime avevamo pensato di chiamare il solito indiano, ma poi l'altro giorno mi è arrivata un'illuminazione. Sai, quando ho iniziato io non bastava un brevetto agonistico per poter accedere al corso istruttori. Dovevi saper gestire ogni aspetto di una scuderia, prima di saper anche solo pretendere di poter iniziare. Cosa che all'estero sanno fare ancora molto bene, grazie a Dio.»
La porta dell'ufficio si apre di nuovo, facendomi sobbalzare. In quel momento, entra Khadija, scostandosi la polvere dagli abiti.
«Mi aveva fatta chiamare?» esordisce, con tutta l'aria di chi ha capito che non è il migliore dei momenti.
«Vieni, Katy, accomodati» le risponde Paola, indicandole la sedia accanto a me. «Anna, prepara un caffè anche per lei per favore.»
«Sì.»
Mi alzo subito, correndo alla macchinetta riposta su un tavolino di fianco alla scrivania, rendendomi conto solo allora delle mani che tremano.
«Stavamo parlando della formazione da istruttori qui in Italia» continua Paola. «Racconta un po' ad Anna come è stato per te, tesoro.»
«Oh, be'» Khadija mi sonda ancora una volta con i grandi occhi color del miele prima di continuare. «Diciamo che non è stata proprio una passeggiata, ecco. Tre mesi di corso in cui alternavano le lezioni alla gestione della scuderia e all'addestramento dei puledri. È stato molto impegnativo, ma alla fine è stato così che ho imparato tutto.»
«Dove l'hai fatto?» chiedo io, allungandole timidamente il bicchiere di plastica colmo di caffè.
«Paola non te l'ha detto? Sono stata negli Stati Uniti. Una gran figata!» risponde lei, e di colpo i suoi occhi si illuminano. «E tu?»
«Viterbo» ribatto io in tono amaro. «Lascia stare, l'ho fatto eoni fa.»
«Stavo dicendo che da oggi Khadija si occuperà della scuola pony e delle mansioni che avevi in precedenza, Anna» interviene Paola. «In compenso, tu sostituirai Piero nel suo turno pomeridiano. Rifarai i box, accompagnerai in giostra i cavalli che ogni giorno ti lascerò segnati in bacheca e somministrerai il mangiare alla sera. Lo stipendio resterà lo stesso, in quanto il tuo turno andrà dalle quattordici alle venti ma ti toglierei il sabato, in cui ci sarà Khadija. Affare fatto?»
Io resto come congelata, in piedi accanto alla nuova venuta, mentre registro quelle ultime informazioni. Mi sta dando una seconda possibilità, è vero, ma solo per essere degradata. A essere sincera, non era questo che mi ero aspettata, quando ero arrivata lì per la prima volta. Non dopo tutta la pioggia di complimenti e di lusinghe con cui ero stata accolta a quei tempi.
«Io...»
«Rifletti bene sulla mia offerta, se è questo ciò che vuoi fare nella vita» riparte alla carica Paola, e la sua voce ora suona ben poco materna e molto più tagliente. «Sono una persona onesta, lo sai, e al momento è tutto ciò che posso proporti. Anche perché ti ricordo che questo è un centro di eccellenza, il tuo presunto titolo qui dentro non vale niente. Non sei un istruttore e nemmeno un artiere, ma hai la possibilità di fare la pratica per diventarlo. Che cosa ne dici?»
«Io... » non riesco a dire altro, sembro un disco rotto.
«Se fossi in te, ci rifletterei bene prima di arrivare a conclusioni affrettate» aggiunge lei. «Con la laurea che stai prendendo, dubito che troverai un lavoro, specie di questi tempi. Sofia sta studiando in una facoltà per certi versi simili alla tua, è vero, ma a differenza di te lei ha già un posto che l'attende e il solo fatto che la tormenti così tanto con lo studio è una cosa che riguarda solamente la necessità che si metta bene in testa che a questo mondo nulla è dovuto, nemmeno per mia figlia. Mi sono spiegata?»
«Sì, certo.»
«Allora a posto, direi che per oggi puoi anche andare a casa. Ci vediamo lunedì» si congeda Paola senza troppe cerimonie.
«D'accordo» faccio per voltarmi, decisa a mettere più strada possibile tra me e quel posto, quando di colpo il Drago mi richiama all'ordine ancora una volta. «Ah, c'è un'ultima cosa, prima che tu vada. Alla fine, lunedì arriverà Corallo Blu. Sofia mi ha supplicata di nominarti sua groom personale. Ha visto che almeno da terra c'era molta intesa fra te e il suo cavallo, per questo ha detto che ti reputa l'unica a cui lo farebbe mai toccare. Sarà tuo compito prenderti cura di lui durante i tuoi turni di lavoro e di prepararglielo per le lezioni. Abbiamo pensato fosse un'opportunità in più per insegnarti il mestiere e fare esperienza. Che ne dici?»
Io annuisco meccanicamente. In quel momento, sento che potrei accettare passivamente qualsiasi cosa.
«Allora affare fatto» conclude Paola. «Chiudi pure la porta, grazie.»
Eseguo senza ribattere, lo sguardo basso e le budella ormai molli. Mi chiudo la porta alle spalle e mi incammino con le mani in tasca verso l'auto, decisa a non farmi vedere da nessuno, men che meno dalle allieve che so che mi stanno aspettando davanti alla scuderia e di cui mi immagino già le espressioni sbigottite quando scopriranno che non sarò io a fare loro lezione.
Avverto frammenti di discorso riguardo all'eventuale equiparazione del titolo che mi inseguono fin quasi all'uscita e mi chiedo chi diavolo sia questa Khadija e da quale spaghetti western sia stata sputata fuori. A conti fatti, mi chiedo anche per quale motivo una come lei sia finita proprio da noi, e come mai Paola non le abbia già berciato dietro di legarsi quei capelli improponibili. E poi il simbolo sul suo cappello, dov'è che l'ho già visto?
Sguscio nella mia auto con la discrezione di una lucertola e accendo subito il riscaldamento al massimo, fregandomi le mani intirizzite mentre continuo a ripensare al colloquio appena avuto con Paola e quanto le sue parole mi abbiano fatto male, per quanto siano maledettamente giuste.
Sto per inserire la retromarcia, quando di colpo il telefono abbandonato sul sedile anteriore si illumina per l'arrivo di un nuovo messaggio. Trasalisco, nel rendermi conto dell'inquietante puntualità con cui sia arrivato.
Allora, ci sono novità?, chiede Ethan in tono innocente, e io mi rendo conto solo allora che ho una dannata voglia di raccontargli quanto accaduto.
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