10. Il senso di tutto
Il mondo dell'equitazione è strano. Un attimo prima ti solleva fino a farti sentire invincibile solo per il fatto che sei insieme al tuo cavallo, e un attimo dopo ti schiaccia a terra per ricordarti quanto sei impotente e fragile. Al punto da chiederti perché stai facendo quello che fai, se ha senso restare aggrappati a questa giostra oppure sarebbe più sensato scendere e smettere di giocare a questo gioco pericoloso. E anche costoso, molto costoso.
Me ne sto rintanata come un ratto in un angolo della scuderia buia, con le braccia strette intorno alle ginocchia per nascondere il volto, piangendo senza riuscire più a fermarmi. È come se di colpo tutto quello che ho mandato giù negli ultimi anni mi sia piovuto improvvisamente addosso, nel momento in cui mi sono resa conto di non avere più alcun controllo, di non riuscire nemmeno a stare in sella senza essere sballottata come un sacco di patate, nonostante pratichi l'equitazione ormai da molti anni. L'unica cosa che ero convinta di saper fare davvero, in cui sentivo di avere un qualche talento.
Piango per il nonno, per la mancanza dei suoi saggi consigli in questi ultimi mesi, senza i quali sento di aver perso completamente la rotta. Piango per tutte le umiliazioni che ho dovuto subire prima al ranch, con il nuovo istruttore, e poi al mio arrivo a "I Pioppi", in cui ho capito che in tutto questo tempo non ho imparato assolutamente nulla. Piango per le mie inutili paure, prima fra tutte quella di saltare, che non riesco a scrollarmi di dosso in alcun modo e ora più che mai inchioda le mie ali al suolo neanche fossero fatte di pietra. Piango per tutti i cavalli che mi sono passati per le mani, e che in qualche modo ho dovuto lasciare andare. E infine piango per tutto lo schifo a cui ho dovuto assistere mio malgrado, cercando una qualsiasi motivazione razionale per accettarlo, per convincermi che è giusto così, anche per il loro bene; e intanto non riesco a togliermi di dosso lo sguardo di Corallo Blu prima folle di paura e poi spento, e la consapevolezza che la motivazione per la quale Pino ci ha invitate ad andare in campo mentre lo preparava non era affatto una cortesia nei confronti di una groom palesemente incompetente come me, ma era un modo per allontanarci mentre lui gli somministrava chissà quale farmaco per calmarlo.
"Nessuno ti ha chiesto di montarli. A loro va bene anche lasciarli al prato a farsi i fatti loro, non cambia niente. Decidi tu, quello che vuoi fare".
Quella frase, urlatami addosso ormai molto tempo prima, aveva mandato in pezzi tutto il mio mondo. Ormai non vedo più un senso in quello che faccio, tutto mi sembra così assurdo e crudele. Mi ero avvicinata ai cavalli solo per un amore incondizionato nei loro confronti, un amore che negli anni era stato istruito e alimentato dagli insegnamenti del nonno, che mi aveva insegnato a prendermi cura di ciascuno di loro a prescindere dalla razza, provenienza, carattere e stato di salute. Lui diceva sempre che ogni cavallo era speciale, che possedeva un talento nascosto, e che la bravura di un cavaliere era non solo quella di riuscire a vederlo, ma anche di continuare a coltivarlo affinché venisse fuori.
Ma ora tutto questo non mi appariva altro che fumo. Ciò che vedo ora non sono altro che animali trattati come macchine di lusso, pronti a essere svenduti non appena smettono di funzionare nel modo giusto. Allievi che assomigliano di più a clienti, e il loro effettivo valore si commisura con il portafoglio dei genitori disposti a sborsare cifre esorbitanti in fide, pensioni e concorsi. Se non salti sopra una certa altezza, non sei nessuno; se non hai nessuno in grado di coprirti le spalle, non sei nessuno; se non puoi definirti un proprietario, non sei nessuno, poco importa quanto sia grande la tua voglia di imparare, a costo di metterti in discussione.
Non c'è più traccia del rispetto dell'animale, dell'etica, del legame tra uomo e cavallo che ai tempi del ranch era qualcosa di sacro. Niente di ciò che avevo imparato lì sembra essere sopravvissuto, anzi, fuori da quelle mura ormai ridotte in polvere può anche essere oggetto di scherno. Sono una persona ridicola, lo so. Al pari di Luciana, una signora di sessantacinque che dopo la morte del marito si è comprata un Frisone gigantesco e ora lo tiene in pensione da Paola. Non fa gare, non prende lezioni, è già tanto che monta, ma lei è felice così. Lo porta fuori tutti i giorni e fanno delle passeggiate lungo tutta la tenuta. È sempre gentile e cordiale con tutti, e il suo cavallo lo tiene lustro e in forma con una dedizione totale.
Secondo Paola, è un vero spreco per un cavallo delle sue potenzialità. Una volta, mi ha confessato che quella che fa Luciana è una sorta di terapia che le impedisce di svalvolare del tutto. In realtà, a me sembra che Luciana ci stia perfettamente con la testa, e il fatto che non si lanci sulle centotrenta con il suo gigante buono è dettato dal semplice fatto che le sue vecchie ossa non reggerebbero una caduta in quelle condizioni, e di certo il suo cavallo non sembra risentire affatto delle sue coccole o della vita assolutamente tranquilla che gli lascia condurre, senza fargli mai mancare nulla.
Ecco, io credo di essere un po' come lei. Una vecchia pazza che si aggira per il maneggio, dispensando coccole a tutti i cavalli in maniera del tutto acritica, senza possedere un briciolo di talento che mi possa far considerare parte di quel mondo. Perché, tolte le coccole e i biscottini, io che diavolo di valore aggiunto porto? Niente, solo fumo e tante belle parole sull'amore, e il rispetto, e la passione.
Non so per quanto tempo sono rimasta così, rannicchiata contro la parete come un sacco di rifiuti. Nessuno mi è venuto a cercare, e le uniche forme di vita che ho percepito sono stati gli sbuffi sommessi dei cavalli nell'oscurità e il rumore degli stivali di gomma sul pavimento di qualche groom di passaggio.
Ho pianto fino a non avere più lacrime e ora sono sprofondata in una sorta di calma, rotta solo dal mio respiro sempre più lento e regolare. Solo a questo punto mi rendo conto di non essere sola. Qualcuno mi sta fissando, la grossa testa argentea sporta verso di me. Corallo Blu.
Nuove lacrime mi affiorano nel momento in cui ricambio quello sguardo, sentendomi così piccola e fragile. Ho montato quel cavallo da chissà quante migliaia di euro nel peggiore dei modi, senza risparmiare tironi e sgambate, e ora lui è lì che mi guarda come se niente fosse, le orecchie in avanti e lo sguardo incuriosito mentre le narici si tendono per annusare il mio odore.
«Cosa c'è?» chiedo timidamente, come se potesse capirmi.
Lui allunga ancora di più il collo verso di me, e l'espressione che fa sembra quasi buffa. Mi viene istintivo allungare la mano verso di lui, sono così vicina che potrei quasi toccarlo. Le mie dita raggiungono il suo muso vellutato, ma lui non le respinge. Resta lì immobile, accettando la debole carezza del mio palmo. È tutto ciò che posso dargli, e lui lo accetta. E, in quel minuscolo spiraglio di accettazione, il mio pianto prende lentamente ad asciugarsi e sulle labbra si delinea un sorriso sottile.
È assurdo pensare che quella creatura mi stia consolando, eppure è come se in questo momento una mano gentile mi stesse accarezzando delicatamente l'anima, infondendomi coraggio. In fondo, non è questo che sta cercando anche lui? Un gesto gentile, all'interno di quella scuderia fredda e buia?
Un improvviso scalpiccio di piedi mi fa ritrarre la mano di scatto, quasi come se fossi stata colta a rubare, e anche Corallo Blu fa lo stesso, levando il capo con fare guardingo.
È Sofia, ed è da sola.
«Eccoti dov'eri» dice, osservandomi dall'alto con le mani sui fianchi sottili. «Ehi, ma si può sapere che cosa ti è successo? Stai forse piangendo?»
«Non è niente» mi schermisco io, pulendomi il viso con la manica della giacca. «Allergia.»
«Certo, certo.»
Sofia sbuffa, incrociando le braccia sul petto.
«Allora, com'è andata?» aggiungo io rapidamente, decisa a sviare la conversazione.
«Affare fatto, lo prendiamo!» annuncia lei, soddisfatta. «Dobbiamo solo sentire il veterinario per la visita di compravendita, poi è nostro.»
«Oh» cerco di mostrarmi entusiasta. «Sono molto contenta per voi due!»
«Spero solo che mia madre non abbia ripensamenti: quella scema non è convinta sul prezzo, e Pino ovviamente ne sta approfittando per alzare la posta in gioco.»
«Cosa?»
«Eh, già. Nonostante la soffiata, pare che ci sia anche un altro acquirente disposto a comprarlo a un prezzo più alto. Mia madre sta già sentendo il suo avvocato a riguardo, anche perché abbiamo già versato la caparra, ma conoscendolo quel vecchio stronzo si giocherà le sue carte fino in fondo.»
«Capisco.»
Mi sollevo in piedi rapidamente, ripulendomi le mani impolverate sui pantaloni da equitazione.
«Senti, Sofy,» continuo, decisa ad affrontare finalmente la situazione «per quello che è successo prima...»
«Mi dispiace, ma non posso aiutarti» taglia corto lei, levando la mano. «Hai avuto tutte le possibilità di questo mondo, Anna, e le hai bruciate tutte una dopo l'altra. Cosa devo dirti? Decidi che cosa vuoi fare. Spero solo che mia madre non ti mandi via a calci in culo, perché dopo oggi non è da escludere.»
Detto questo, Sofia si avvia verso l'uscita della scuderia, la lunga coda di capelli biondi che le ondeggia tra le scapole. Non degna Corallo Blu nemmeno di uno sguardo.
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