43.
Appoggio i gomiti sul tavolo, guardando il messaggio sotto ai miei occhi. Stamattina, verso l'alba, una civetta mi ha svegliata. Attaccata alla zampa aveva una cordicella e il messaggio arrotolato.
I segreti verranno svelati.
Continuo a guardare quelle quattro parole con un nodo in gola. Nessuna firma ne simbolo particolare.
Potrebbe essere uno scherzo idiota di qualcuno, o una vera e propria minaccia.
Alzo la testa e mi guardo intorno, ma la vita va avanti. Apparentemente, non c'è nulla di strano.
<<Ti cercavo. Dovresti venire>> nel sentire la chiara voce di Bjorn sussulto. Accartoccio il messaggio e tengo la mano sotto al tavolo. Lui sembra non farci molto caso e mi aiuta ad alzarmi.
<<Che succede?>> chiedo seguendolo per alcuni metri, fino alla tenda principale infilando la pallina di pergamena nella tasca.
<<Abbiamo un problema>> mi risponde entrando nel "quartier generale".
Mi mordo la lingua e prendo un grosso respiro, avvicinandomi al tavolo dei capi, restando alle spalle della regina.
<<Erano soldati Franchi, ne sono assolutamente sicura. Avevano tante, tante navi e uomini pronti a combattere>> dice una delle sentinelle che avevano mandato sulla costa.
<<Perché Rollo dovrebbe combattere al fianco di Ivar e Hvitserk?>> chiede Ubbe, strofinandosi gli occhi.
<<Non lo so. Forse c'è anche lui, potrei andare a parlarci>> ipotizza Bjorn guardando la madre, che gli risponde che sarebbe andata con lui.
<<No, Ivar ti ucciderebbe. Andrò da solo. Magari riusciremo a negoziare un qualche tipo di accordo, magari re Harald e Rollo ragioneranno>> continua il figlio della regina, convinto dell'idea di poter avere un accordo.
Più andiamo avanti e più mi convinco del contrario.
Ricordo come fosse ieri il mio incontro con Rollo nel regno Franco.
Ero in viaggio con mio padre. Il regno Franco era affascinante e diverso, con le sue maestose cattedrali e i mercati animati, pieni di colori e di suoni che non avevo mai sentito prima. L'aria era permeata dall'odore di pane appena sfornato e spezie esotiche, mescolati al profumo dei fiori che adornavano le strade.
Era una giornata di sole, il cielo azzurro senza nuvole, quando mio padre e io siamo stati accolti nel palazzo di Rollo. La grande sala era decorata con arazzi ricchi di scene epiche e candelabri scintillanti. Tutto sembrava così sontuoso e imponente. Ero nervosa, consapevole dell'importanza di quell'incontro.
Rollo era una leggenda. Fratello maggiore di Ragnar, lui e mio padre avevano diverse volte combattuto insieme. Quello che sapevo su di lui erano epici racconti.
Poi l'ho visto.
Rollo, il grande guerriero e duca, si ergeva imponente nella sala. La sua presenza era magnetica. Alto e robusto, con una barba folta e occhi azzurri che sembravano scrutarti nell'anima. Proprio come suo fratello.
Indossava un'armatura che scintillava alla luce delle torce, ma nonostante il suo aspetto intimidatorio, c'era un'aria di nobiltà in lui che mi colpì profondamente.
Aveva vissuto così tanto nel regno Franco da non sembrare quasi più uno di noi.
Quando si avvicinò a noi, sentii il cuore battere più forte. Mio padre mi presentò con orgoglio, e Rollo mi guardò con una curiosità che mi fece arrossire. <<Piacere di conoscerti, Martha>> disse con una voce profonda e risonante, che mi fece venire i brividi. <<Spero che il nostro regno ti stia trattando bene>>.
Annuii, cercando di mantenere la calma. <<Sì, vostra grazia. Il vostro regno è meraviglioso>> risposi, con la voce che mi tradiva leggermente. Ero solo una bimba di 12 anni dopotutto.
Durante il banchetto, ebbi l'occasione di parlare con lui. Scoprii un uomo che, nonostante il suo passato da guerriero feroce, era capace di grande gentilezza e saggezza. Mi raccontò delle sue battaglie, delle sue conquiste, ma anche dei suoi rimpianti e delle sue speranze per il futuro. Ogni parola che diceva sembrava carica di significato, e mi sentii affascinata da lui, dalla sua storia e dalla sua forza.
Quel giorno, mentre il sole tramontava oltre le colline del regno Franco, mi resi conto di aver incontrato una leggenda vivente. Il ricordo di Rollo e della nostra conversazione rimase con me, come un segno indelebile nel mio cuore. Anche ora, ripensando a quel momento, sento una profonda ammirazione per lui e per ciò che rappresentava.
<<Io non ci conterei troppo. Sono in una posizione di forza adesso>>. La voce di Lagertha ripete i miei pensieri, come se mi avesse letto nella mente. Ha ragione. Ha un grande esercito e alcuni dei migliori guerrieri di tutta la Scandinavia. Solo un pazzo penserebbe davvero di riuscire a piegarla.
Nonostante questo l'incontro va avanti per tutta la mattina.
A decisioni prese, tutti si alzano dal tavolo e tornano a compiere i loro doveri e impegni.
Lagertha decide di andare a parlare con il vescovo catturato e io seguo Bjorn.
<<Perchè mi segui Martha?>> chiede senza fermarsi. <<Voglio venire con te>> rispondo velocizzando il passo per riuscire a stargli dietro. Lui si ferma sulla soglia della sua tenda e mi guarda con le sopracciglia alzate. Un suono a metà tra una risata e uno sbuffo gli esce dalle labbra. <<No>>. Quella semplice parola fa nascere una smorfia sul mio viso e lo segue all'interno della tenda.
<<Ti prego Bjorn, devo vedere Rebeka>> lo prego, forse mettendo troppa fretta nella voce perchè lui si volta e, con una leggera spinta, mi fa spostare.
<<Solo per Rebeka, o c'è qualcun'altro che vuoi vedere?>> chiede lui senza guardarmi, intento a sistemarsi il mantello di pelliccia sulle spalle. Arriccio il naso esitando troppo. <<Se Rollo è davvero con Ivar avrai bisogno di me. L'ho conosciuto e mi ha offerto il suo aiuto in qualsiasi situazione in onore di mia madre e delle vecchie battaglie con mio padre in cui gli ha salvato la vita>> inizio a spiegare, parlando a raffica quando senza prendere respiro. <<Visto che mio padre non c'è più: Rollo è, di fatto, in debito con me>> affermo alzando il mento, guardano il figlio maggiore di Ragnar con solennità. Lui sbuffa rumorosamente.
<<Muoviti però. Voglio arrivare lì prima del tramonto>> alla sua affermazione saltello felice e corro a prendere il mantello e la spada.
Sarà un lunghissimo viaggio.
****
Ogni Tanto mi asciugo i palmi delle mani sui pantaloni. Non voglio rischiare di perdere le redini del cavallo.
Da alcuni minuti una leggera pioggerella ha iniziato a cadere, rendendo l'aria ancora più fredda.
Bjorn è davanti a me, concentrato sulla strada davanti a noi. Do un piccolo strattone alle redini e mio cavallo si affianca a quello del giovane uomo.
Osservo la sua espressione concentrata, le piccole cicatrici sul suo viso e la lunga e crespa barba bionda.
Assomiglia a Ragnar, ma non quanto Ubbe.
<<Tu eri pronto, quando è nata tua figlia?>> Gli chiedo di punto in bianco, facendogli voltare la testa verso di me.
<<Certo, il secondo figlio è una passeggiata>> risponde sorridendo e tornando a guardare la strada. <<Non mi riferivo a Asa. Ma a Siggy>> rispondo, sapendo di toccare un tasto dolente.
Lo vedo raddrizzare le spalle e sorride lievemente con lo sguardo perso nel vuoto.
<<Ero felice quando è nata. Era la mia prima figlia, ma ero troppo giovane e non sono stato capace di prendermi le mie responsabilità>> risponde in fretta, come se il ricordo lo stesse divorando piano piano. <<Cosa ricordi di lei?>> Insisto, sperando che non si arrabbi.
<<Quasi nulla. Non ho mai passato molto tempo con lei. Ero sempre in viaggio>> sento un po' di dispiacere nella sua voce, il che mi fa credere che si senta pentito. <<Tu te la ricorderai molto più di me, no?>> Chiede e annuisco. <<Ti va di raccontarmi di lei?>>. Alla sua domanda resto sorpresa.
Siggy era l'unica amica che avevo. Ero l'unica, oltre a Sigurd, che giocava con lei.
Eravamo un trio, sempre insieme.
Siano stati noi, io e Sigurd, a trovarla senza vita nel torrente, dopo diversi giorni che non la vedevamo.
E ora sono tutti e due nel Valhalla.
Alzo gli occhi al cielo e strizzo gli occhi, respirando a pieni polmoni. Inizio a raccontargli di lei, ricordando momenti che quasi non sapevo di rammentare.
Un forte odore di pesce e sangue, mischiato a quello salmastro e pungente del mare, mi fa coprire il naso con il braccio.
<<Direi che siamo arrivati>> spezza il silenzio Bjorn, facendo una smorfia.
Sotto di noi, infondo al precipizio della scogliera si estende la cittadina di Vestfold.
<<Mi manca Kattegat>> ammetto a voce alta, vedendo quanto è disastrata questa città.
Ora, penso di capire cosa intendano i cristiani per paradiso e inferno.
Appena arrivati in città siamo stati fermati dagli uomini di Harald, ci hanno obbligato a scendere da cavallo e condotto per le vie malmesse della città. Gli occhi della gente erano tutti puntati su di noi, compresi quelli francesi. Per tutto il tempo ho tenuto il mantello intorno al corpo, con l'intento di coprirmi e nascondermi.
Al mio passaggio, un gruppetto di francesi mi fischia e gridano parole poco appropriate, che riesco comunque a capire.
Gli uomini del re ci lascino davanti a una grande porta decorata. Penso che sia la grande sala della città.
Il portone si apre e non rimango colpita dalla quantità di buio presente nella sala. Sono poche le candele che illuminano. Le finestre, o almeno la maggior parte, sono coperte da teli neri.
<<Bjorn la corazza e Martha la silenziosa>> la voce di Harald risuona nella sala. È strano sentire il mio soprannome, anche se sono passati anni dal giorno in cui me lo hanno affibbiato. Sono sempre stata silenziosa, sia quando mi muovevo che nelle relazioni sociali. In battaglia il mio soprannome è diventato sinonimo di morte silenziosa.
<<A cosa devo la vostra splendida visita?>> continua con sarcasmo camminando verso una lunga tavolata. Ci fa segno di entrare e così facciamo. Cammino dietro il braccio di Bjorn come richiesto in precedenza da lui.
Entrambi ci sediamo al tavolo.
Accavallo le gambe e tamburello con le dita sul legno scuro.
Un rumore metallico mi fa alzare la testa e un brivido mi attraversa la schiena nel vedere Ivar fare il suo ingresso. E con lui, anche Hvitserk.
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