3
Resto seduta su alcuni sacchi di paglia, nella piazzetta davanti alla grande sala, mentre insegno alle bambine a fare le coroncine di fiori. È da diversi giorni che siamo tornati, ma non sono certo stati di gioia e festeggiamenti. All'inizio lo è stato. La regina Asloug ha dato un banchetto in nostro onore, con musica, birra e cibo a volontà. Ci sono stati racconti confusi dall'alcol che alle orecchie più lucide parevano più leggende che realtà. Ma poi, la festa ed il divertimento è finito, soprattutto a casa. Le condizioni di papà continuano a peggiorare, la notte è fatta di visioni date dalla febbre e lamenti. Spesso ho temuto di addormentarmi e rischiare di svegliarmi la mattina senza di lui. Ma ha sempre trovato la forza di apparire normale, sapendo come nascondere il suo male ai più. Questa mattina mi ha lasciato nella piazza mentre raggiungeva l'indovino per porgergli alcune domande. E ora mi godo la normalità di casa.
Mi mancava questa vita e queste giornate. Nelle città che ho visitato, in giro per la Scandinavia, in Britannia e anche nel regno Franco eravamo sempre controllati a vista. Eravamo stranieri, un alcuni casi nemici. Non sono mai mancati gli insulti e la violenza, anche quando ero solo una bambina e venivo inseguita da miei coetanei armati di sassi e bastoni. Tornavo sempre da mio padre con qualche graffio, livido o ferita più seria, qualche volta con le maniche sporche di sangue. Ma mai con le guance rigate dalle lacrime. Ci è voluto molto tempo per imparare le altre lingue e arrivare ad essere non più una straniera ma un fantasma di passaggio.
Alzo lo sguardo dalla bimba coi capelli rossi, la più concentrata del gruppetto e trovo Hvitserk guardarmi. Gli sorrido ma lui gira subito il viso dall'altra parte, tornando ad affilare la sua spada strofinandoci contro la cote. Distolgo lo sguardo dal giovane quando una delle bambine richiama insistentemente la mia attenzione. La aiuto a fare alcuni nodi ai gambi dei fiori permettendole di continuare il suo intreccio. Di tanto in tanto, mentre le bimbe sono silenziose e concentrate, alzo la testa verso il figlio di Ragnar che, puntualmente, distoglie lo sguardo quasi nello stesso momento in cui i nostri occhi si uniscono.
Sbuffo e porgo le mie scuse alle piccole. Mi alzo da terra spolverando il vestito e, con passo svelto, mi avvicino a lui.
I suoi fratelli mi salutano subito mentre ricevo solo un'occhiata di traverso da parte del ragazzo che dal mio ritorno mi ha solo evitata. <<Hvitserk possiamo parlare?>> chiedo un po' duramente, fingendo di non notare gli sguardi che gli altri Lothbrok si scambiano. Lui annuisce e mi segue lontano dalla fucina, in silenzio.
Imbocco il sentiero che porta alla spiaggia e mi fermo vicino alla riva. È più alto di me, i capelli lunghi sono stretti in tante treccine ordinate. I suoi vestiti puliti lasciano comunque intravedere quel po' di muscolo che negli hanno ha messo su, anche se il suo fisico resta comunque asciutto. <<Che ti prende? Perché fai così?>> gli domando cercando di non alzare la voce. Siamo lontani dalle persone ma non abbastanza da evitare che ci sentano se il tono di voce dovesse alzarsi. Incrocia le braccia e mi guarda da sotto le ciglia. Batto il piede a terra con impazienza, disegnando cerchi e linee sulla sabbia. <<È successo qualcosa mentre non c'ero?>> chiedo ancora, cercando di capire come mai lui che più di tutti soffriva per la mia partenza ora si comporta come se uno sconosciuto fosse tornato in città dopo un viaggio. <<Ancora non riesco a credere che tu sia qui>> risponde con la testa bassa. <<È come se fossi in un sogno, uno di quelli che sembrano reali. Ho immaginato così tanto il tuo ritorno che non so se sto sognando o se sei davvero qui>> continua senza smettere di guardare i suoi piedi coperti dagli stivali di cuoio scuro. <<Ho immaginato come potevi essere al tuo ritorno, se ti avrei riconosciuta. Ogni volta che arrivava qualcuno che aveva la tua età o mi ricordava te, speravo fossi tu>> spiega infilando le mani nelle tasche dei pantaloni e guardando il fiordo. Muovo alcuni passi verso di lui e lo costringo a guardarmi, girandogli il volto con una mano prenuta leggera sul suo mento. <<Sono davvero qui Hvitserk e non ho nessuna intenzione di andarmene ancora>> lo rassicuro. Ora siamo così vicini che posso sentire il suo respiro sulla fronte. Sono cosi bassa rispetto a lui. Smetto di accarezzargli la guancia e inizio a camminare verso l'acqua.
Mi fermo sulla riva mentre le piccole onde mi bagnano le scarpe. Lui si ferma a pochi metri da me, iniziando a farmi domande che, a differenza degli altri non parlano di quello che ho fatto o di quello che ho visto. Mi chiede come mi sono sentita, quello che ho pensato, se stavo bene o se mi era successo qualcosa. Alla maggior parte di queste domande rispondo, piacevolmente sorpresa di raccontare questa parte del viaggio. Ma di moltre altre cose scelgo di non parlare. Non è stato tutto una magica avventura, piena di divertimento. Ci sono stati scontri e incubi diventati reali.
Per allontanare questi ricordi da me gli sorrido e con un gesto veloce gli calcio l'acqua addosso. <<Non l'hai fatto davvero>> dice colpito dal mio gesto. Da bambini scherzavamo sempre così. Il mio sorriso è come una sfida, si china sull'acqua e inizia a schizzarmi con le mani. Scoppiamo a ridere e cerco di allontanarmi ma, muovendosi velocemente, mi afferra stringendomi a se e tenendomi le braccia stretta al petto. Fa per buttarmi in acqua <<Oh no, non ci provare>> urlo tirandogli una gomitata nelle costole nella vana speranza di allontanarmi da lui. Mi lascia andare tenendosi una mano sul fianco, tossendo e ne approfitto per correre lontano da lui lungo la spiaggia, oltre il porto e verso i campi.
Attraverso il campo d'erba alta e, per il respiro accelerato mi fermo. Guardo intorno a me, credendo di averlo seminato. Dopo davvero tanto tempo mi sono sentita di nuovo bambina. Senza il minimo rumore, mi stringe le braccia intorno ai miei fianchi facendomi nell'orecchio un ringhio. Per lo spavento mi giro e quasi perdo l'equilibrio. Lui però ha la prontezza di tenermi. <<Mi hai fatta spaventare>> dico respirando profondamente e dandogli una sberla sul petto facendolo ridere. Rimango a guardarlo negli occhi mentre la mia mano scorre sulla sua schiena. Mi mordo il labbro inferiore mentre avvicina il viso al mio. All'inizio mi allontano, ma poi qualcosa mi attrae verso di lui. Sto per andargli incontro ma qualcuno ci interrompe. <<Martha. Vieni. Tuo padre non sta bene>> urla Ubbe in cima alla collina, agitando le braccia per farsi vedere meglio. Hvitserk si allontana da me e mi lascia correre verso il fratello maggiore.
Appena arrivo davanti a casa trovo Björn, Lagerhta, i fratelli di Ivar ad aspettare. Anche se non ho smesso neanche un secondo di correre non sono stanca, né affaticata. <<Lui dov'è?>> chiedo guardando tutti i presenti. Lagerhta mi conduce all'interno della casa, lasciandomi davanti alla scala che sale verso la camera di mio padre. Alzo lo sguardo e vedo subito Floki che allunga un braccio e apre la mano. Passo la lingua tra le labbra e con esitazione inizio a salire.
Mio padre è steso sul letto, bianco come la neve. Helga gli sta passando uno straccio bagnato sulla fronte mentre Torvi sciacqua delle bende in una tinozza. Mio padre inizia a tossire e del sangue gli cola dall'angolo della bocca. <<La ferita si è infettata. Ha un' emorragia interna e la febbre alta. Non credo che vedrà l'alba>> mi sussurra Torvi, la moglie di Björn, venendomi incontro. Gli occhi mi si fanno lucidi mentre mi siedo accanto a papà. Gli stringo la mano e lui apre gli occhi <<La mia piccola Valchiria. Assomigli così tanto a tua madre>> dice sorridendo. Mi mordo l'interno guancia per non piangere. <<Ora sei una donna, un'ottima combattente. Sarai anche un'ottima madre un giorno. Ma non adesso>> dice ridacchiando con me. Un altro colpo di tosse rompe il bel momento <<Sai cosa succederà. Spero solo di averti insegnato abbastanza per superare il resto della tua vita con valore e onore. Si forte, non farti mettere i piedi in testa da nessuno e vivi ogni istante come fosse l'ultimo>> annuisco mentre tiro su col naso. Mi accarezza la guancia. L'ultima volta che mi ha guardata così è stato quando è morta mamma. <<Darò un bacio a tua madre e a tuo fratello da parte tua>> continua, mentre posso vedere la vita scivolare via dai suoi occhi. Gli bacio il dorso della mano prima di sostituire la mia mano con la sua ascia. Lo aiuto a portare l'arma al petto e appoggio le mie mani sulla sua, finché questa non diventa pesante nelle mie. Lascio un bacio sulla sua guancia e chiedo di poter restare sola con lui per un momento. Ho bisogno di stare sola. Come si può essere forte in questi casi? Come si può ritrovarsi da un momento all'altro da avere tutto a non avere niente? Mi hanno sempre detto che il nostro destino era il volere degli dei, ma come posso pensare che loro abbiano voluto la morte di mio padre?
Scendo le scale dopo un tempo che non so neanch'io dichiarare. Mio zio si alza dalla panca e mi guarda proprio come gli altri presenti. A testa bassa li supero tutti, uscendo di casa. Voglio restare da sola, sfogare il mio dolore senza le frasi di lutto. Ivar stesso cerca di fermarmi ma lo ignoro, tirando dritto. Seguo il sentiero scosceso che porta alla spiaggetta sottostante mentre il cielo si copre di nuvole scure. Presagio di tempesta in arrivo.
Afferro un sasso e lo lancio con frustrazione e rabbia nell'acqua gridando così forte che l'eco attraversa tutto il fiordo, rimbombando come un tuono. Per un attimo, in risposta, ricevo solo il silenzio, come se il mondo stesso si fosse fermato. Una mano si stringe intorno al mio polso, facendomi aprire la mano così che l'altra pietra stretta tra le dica finisca a terra. <<Che ci fai qui Hvitserk?>> chiedo freddamente, riconoscendo il suo tocco. Mi tira verso di se e basta uno sguardo per capirci. Stringo le braccia intorno al suo busto e scoppio in lacrime. Blocca le braccia intorno alla mia vita e inizia a dondolare.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top