Prologo


  Il tempo scorre veloce, e l'inverno è ormai alle porte. Con lui, arriverà anche la creatura che porto in grembo. Ogni giorno il mio ventre si arrotonda un po' di più, un muto promemoria della nuova vita che sta per sbocciare in mezzo al caos.
  Da quando abbiamo lasciato Kattegat, le notizie dalla città si sono fatte silenziose, come se la terra stessa avesse inghiottito il passato. A volte mi chiedo se sia riuscita a risollevarsi dopo la devastazione della guerra, se le sue strade risuonino ancora di passi o se il sangue versato le abbia rese mute. Penso spesso a Rebeka, la mia amica di un tempo. Non so se sia ancora viva o se il destino crudele che ha reclamato tanti altri abbia strappato anche lei a questo mondo. La sua assenza pesa sul mio cuore come una pietra, e ogni ricordo di lei è un pugnale che affonda sempre più a fondo.

  Molte cose sono cambiate da allora. Ognuno di noi è stato segnato dal dolore e dalla perdita, fino a diventare ombre di ciò che eravamo. Lagertha non è più la stessa dopo aver ucciso Astrid; il rimorso la tormenta, e nei suoi occhi, un tempo fiammeggianti di determinazione, si è posato il velo della tristezza. Bjorn è diventato un uomo consumato dalla rabbia dopo la morte di Snaefrid; il fuoco che brucia dentro di lui non si spegne mai, lo divora giorno dopo giorno. Io stessa sono diversa. Ho smarrito la mia fede negli dèi e mi sento più sola che mai. La battaglia contro Ivar ha lasciato cicatrici che nessun tempo potrà rimarginare. Con l'appoggio dei suoi soldati franchi, il suo potere è cresciuto a dismisura, e la sua sete di sangue sembra non avere fine. Ognuno di noi ha perso qualcuno: padri, madri, fratelli e sorelle, figli e figlie. Abbiamo combattuto non solo contro di lui, ma anche contro le ombre del nostro passato, e tutto ciò che abbiamo ottenuto in cambio è sangue sulle mani e ferite che non guariranno mai.
  Ogni giorno viviamo nell'ansia, con il fiato sospeso, sempre pronti a un attacco. E ogni notte è un tormento. Dormiamo con un occhio aperto e un coltello sotto il cuscino. Ogni scricchiolio del legno, ogni soffio di vento tra gli alberi diventa una minaccia. Viviamo così, in bilico tra il sonno e l'incubo, tra la speranza e la paura.

  Le mie notti sono un tormento di incubi e inquietudine. Il bambino nel mio grembo si muove senza sosta, come se percepisse la tempesta che mi divora dall'interno. Ogni volta che chiudo gli occhi, la battaglia ritorna: il clangore del ferro contro il ferro, le urla dei morenti, il sangue che scorre come un fiume in piena. Mi sveglio di soprassalto, il cuore martellante, il respiro spezzato, la fronte imperlata di sudore freddo. Attorno a me, solo l'oscurità e il suono affannato del mio respiro. Ogni suo movimento dentro di me è un promemoria della fragilità della vita. Quando lo sento scalciare, un turbine di emozioni mi travolge: amore, speranza, ma anche una paura paralizzante. Mi chiedo se sarò capace di proteggerlo in un mondo che non ha pietà per nessuno.
  La responsabilità che porto sulle spalle è schiacciante, e troppo spesso mi ritrovo a piangere in silenzio, domandandomi se sarò mai all'altezza di ciò che mi aspetta.

  La notte sembra infinita, ogni minuto si trascina come un'eternità. Il mio corpo è esausto, ma la mia mente non trova pace. Penso al futuro, a ciò che ci attende. Questo bambino vedrà mai un mondo diverso, un mondo di pace? O sarà costretto a crescere tra le rovine di ciò che un tempo chiamavamo casa? Conoscerà mai suo padre, o il destino lo priverà anche di lui?
  Questi pensieri mi tormentano, insinuandosi nella mia mente come un veleno. Non riesco a scacciarli. Ma poi, quando il bambino si muove, provo una strana consolazione. È come se, nel suo piccolo e inconsapevole modo, volesse ricordarmi che la vita continua, che non tutto è perduto. In quei momenti, gli parlo. Gli prometto che farò tutto il possibile per proteggerlo, che non permetterò al mondo di spezzarlo come ha fatto con me. Mi aggrappo a questa promessa come a un'ancora, cercando di trovare la forza di andare avanti. Ma la paura ritorna sempre, implacabile. Il panico mi assale, il fiato mi manca. Ho paura di sbagliare, paura che possa accaderci qualcosa, paura di non sopravvivere al parto. Mi domando se sarò abbastanza forte, se riuscirò a resistere a tutto questo. Le ferite della guerra non sono solo sulla pelle, e il dolore che porto dentro è un peso che a volte sembra insostenibile. Ogni notte combatto contro me stessa, cercando di bilanciare speranza e disperazione.

  Eppure, in questa oscurità, il bambino nel mio grembo è la mia luce. Ogni suo movimento mi ricorda che, nonostante tutto, la vita continua. Ma questa consapevolezza porta con sé una responsabilità immensa. Devo essere forte per lui. Devo trovare un modo per andare avanti. Così, notte dopo notte, tra incubi e paure, cerco disperatamente la forza dentro di me, sperando che il domani porti con sé almeno un'ombra di pace. Vorrei solo che tutto questo finisca in fretta, ma so che la fine di questo incubo arriverà solo con la morte di Lagertha per mano di Ivar, o viceversa. Ogni giorno prego che questo scontro avvenga presto, anche se so che porterà con sé solo altro dolore, altra sofferenza. Se potessi tornare indietro, non lascerei mai Kattegat con mio padre. Non commetterei gli errori che ho fatto. Non volterei le spalle al mio migliore amico. Nella mia mente, sono ancora su quella scogliera con i figli di Ragnar, a osservare le navi dei nostri padri solcare le acque gelide della Norvegia mentre il sole tramonta all'orizzonte.

  Pensavamo che quel legame fosse indistruttibile. Credevamo che nulla avrebbe potuto spezzarci. Darei qualunque cosa per rivivere quei giorni, per sentire ancora la speranza che ci scaldava il cuore. Ma ormai quei momenti sono solo ricordi sbiaditi, sfilacciati dal tempo. Mi aggrappo a essi nei momenti di disperazione, cercando un barlume di pace in un mondo che sembra aver dimenticato cosa significhi essere umani.

  Mentre io combatto i miei incubi, mi chiedo cosa stia facendo Hvitserk in questo momento. È ancora al fianco di Ivar, prigioniero della sua follia, oppure ha finalmente aperto gli occhi?
Mi è difficile immaginare cosa stia passando. Hvitserk non è mai stato come suo fratello, non ha mai cercato il potere per il gusto di averlo, né ha mai provato il sadico piacere di spezzare le vite altrui. Ma era sempre lì, nell'ombra di Ivar, incatenato da un legame che andava oltre la ragione. Lo seguiva, lo proteggeva, anche quando sapeva che tutto ciò che facevano era sbagliato.
  Adesso che Kattegat è nelle mani di Ivar, come sta Hvitserk? Cammina ancora per le strade della città, costretto a chiudere gli occhi di fronte alle atrocità del fratello? O si perde tra i suoi incubi, cercando rifugio in fondo a un corno di birra? Posso quasi vederlo, seduto da solo in una grande sala illuminata dal fuoco, con lo sguardo perso nel vuoto, gli occhi stanchi e il cuore più pesante che mai. Forse, in quei momenti di solitudine, pensa anche a me. Forse si chiede se sono ancora viva, se sono riuscita a scappare abbastanza lontano da sfuggire alla furia di Ivar.
Oppure no.
  Forse mi ha dimenticata, come ha dimenticato tutto il resto. Forse ha scelto di affogare il rimorso nel vino, nei piaceri di una notte e nella guerra, diventando ciò che ha sempre temuto: un uomo senza volontà, una pedina nelle mani di suo fratello.
  E se invece fosse diverso? Se nel profondo del suo cuore ci fosse ancora una scintilla di ribellione?
  Non posso saperlo. Non posso sapere se Hvitserk è ancora lo stesso uomo che conoscevo o se il suo destino è già stato scritto. Ma se c'è ancora una parte di lui che lotta, che desidera essere libero, allora forse un giorno le nostre strade si incroceranno di nuovo.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top