9.
8 mesi dopo...
Lascio cadere l'ultimo telo bianco nel cesto di vimini e mi passo una mano sulla fronte, asciugando il sudore con il dorso. La bandana che mi tiene indietro i capelli è umida, ma non mi importa. Mi prendo un momento per osservare il cielo, carico di nuvole leggere, e inspirare l'aria fresca del tardo pomeriggio. Raccolgo il cesto e rientro in casa, lasciandolo sul tavolo.
Un gorgheggio divertito cattura la mia attenzione. Johannes, seduto sul pavimento, stringe tra le mani un bicchiere di legno, mordicchiandone il bordo con la tipica curiosità dei bambini. I suoi occhi verde-nocciola scintillano quando mi vede e, senza pensarci due volte, lascia cadere il giocattolo per gattonare verso di me con entusiasmo. Mi inginocchio e lo sollevo in aria, facendolo girare su se stesso mentre la sua risata squillante riempie la stanza. Il suono mi scalda il cuore come il sole dopo un lungo inverno. Lo stringo contro il petto, riempiendogli la faccia di baci, e lui si aggrappa ai miei capelli con le sue piccole dita paffute.
Torvi, intenta a piegare i teli asciutti, sorride osservando la scena.
Questi ultimi otto mesi sono stati i più difficili della mia vita. Crescere un bambino da sola, in una terra straniera, senza Hvitserk al mio fianco... Ci sono state notti in cui ho pianto fino ad addormentarmi con Johannes tra le braccia, temendo di non essere abbastanza per lui. Giorni in cui mi sono sentita sopraffatta dalla stanchezza, dalle responsabilità, dalla paura. Ma ci sono stati anche momenti meravigliosi. La prima volta che ha stretto il mio dito con la sua manina. La prima volta che ha sorriso, che ha riso. Le notti insonni passate a cullarlo finché il suo respiro si faceva lento e regolare contro il mio petto. E ogni volta che lo guardo, vedo Hvitserk in lui.
Mi manca. Mi manca il suo sorriso sfrontato, la sua voce, il modo in cui riusciva a farmi sentire al sicuro anche nei momenti più bui. Ma non so come reagirà quando rivedrà me... e suo figlio.
Torvi interrompe i miei pensieri.
<<È incredibile quanto somigli a suo padre>>.
Il mio sguardo si posa su Johannes. È vero. Ha i capelli castano scuro e mossi come i miei, ma ha il suo stesso sguardo intenso, stessa testardaggine che lo porta a non mollare mai ciò che vuole. <<Hai ragione. Sono due gocce d'acqua>>. Lo rimetto a terra, e lui torna a gattonare verso il bicchiere abbandonato poco prima, afferrandolo con entrambe le mani e portandolo alla bocca con un'espressione concentrata. Lo rimetto a terra, e lui torna a gattonare verso il bicchiere abbandonato poco prima, afferrandolo con entrambe le mani e portandolo alla bocca con un'espressione concentrata.
Torvi mi guarda, incrociando le braccia. <<Ormai è tutto pronto per la partenza. Non riesco ancora a credere che torneremo a Kattegat>>. Sento il cuore accelerare. Kattegat. Per mesi ho smesso di sperare. Credevo che fosse tutto perduto, che avremmo vissuto per sempre nel Wessex, esiliati da casa nostra. Ma Bjorn... Bjorn ce l'ha fatta. Dopo la battaglia contro Re Harald, Alfred ha mantenuto la sua promessa. Ci ha dato rifugio, protezione, tempo per riorganizzarci. Ma la nostra vera battaglia è sempre stata un'altra: riprendere Kattegat dalle mani di Ivar.
Bjorn ha radunato un esercito, unendo i vichinghi fedeli a lui, gli uomini di Lagertha, quelli di Ubbe e persino alcuni guerrieri del Wessex che si sono offerti volontari. La battaglia è stata feroce, più di quanto chiunque potesse immaginare. Ma alla fine, Bjorn ha vinto. Kattegat è nostra.
<<Grazie per avergli dato un occhio>> dico a Torvi, aiutandola a piegare una grande coperta. Lei sorride con dolcezza. <<È mio nipote. Come avrei potuto dire di no?>> Risistema le stoffe nella cassapanca, poi si gira verso di me. <<Torno dai miei figli. Ci vediamo più tardi>>. Mi sfiora la spalla con affetto prima di uscire, lasciandomi sola con Johannes e i miei pensieri.
Mio figlio sbadiglia e si strofina gli occhi con i pugni. Mi guarda e alza le braccia verso di me con un sorriso stanco. <<Vieni qui, amore mio>>.
Lo sollevo tra le braccia e lui si accoccola contro di me, la sua testolina bionda trovando riposo tra la mia spalla e il collo. Un sospiro lieve gli sfugge mentre si succhia il pollice. Inizio a canticchiare una ninnananna che Helga mi cantava da bambina, oscillando dolcemente mentre cammino per la stanza. Gli accarezzo la schiena, sentendo il suo respiro farsi sempre più lento e profondo. Una volta sicura che Johannes stia dormendo, lo adagio con delicatezza sul letto e lo copro con le morbide pellicce.
E poi, una voce alle mie spalle mi blocca il respiro.
<<Esperta di spada e ottima madre.>>
Mi volto di scatto. Davanti a me c'è qualcuno che non avrei mai pensato di rivedere.
Lagertha.
I suoi capelli, un tempo lunghi e bianchi, ora sono un po' più corti. Una lunga cicatrice le solca la guancia, segno delle battaglie che ha affrontato. Ma i suoi occhi sono gli stessi di sempre: fieri, determinati, indomiti.
Il mondo sembra fermarsi. Tutti la credevano morta. Dopo la battaglia tra gli eserciti di Harald e Alfred, era scomparsa. Nessuno aveva più avuto sue notizie. Alcuni dicevano che fosse stata uccisa, altri che fosse scappata per nascondersi. Io stessa avevo pianto per lei, credendo di aver perso un'altra persona cara. Un nodo mi stringe la gola.
Senza pensarci, corro da lei e la stringo in un abbraccio disperato. <<Oh, Lagertha... pensavo fossi morta!>>
Lei ride piano, ricambiando la stretta. <<Ho la pelle dura. Ci vuole molto di più per uccidermi>>. Nonostante il suo tono leggero, il suo volto racconta una storia diversa. È stata vicina alla morte. Eppure è qui, viva. Mi sciolgo dall'abbraccio e la vedo guardare oltre me, il suo sguardo posarsi su Johannes, che dorme sereno nel letto.
Allargo un braccio in segno d'invito, e lei si avvicina. Si siede sullo sgabello accanto al letto e osserva mio figlio con un sorriso che sa di speranza. Io mi sdraio accanto a lui e gli accarezzo i capelli, spostando delicatamente alcuni ciuffi dalla fronte. <<Come lo hai chiamato?>> chiede ammirandolo. <<Johannes. Significa dono degli dei>> rispondo guardando il mio bambino che dorme indisturbato, come se noi due non fossimo neanche nella stessa stanza.
Lagertha annuisce piano. <<Johannes Lothbrok.>> Sussurra il suo nome come fosse un presagio. Poi si volta a guardarmi, il suo sguardo carico di significato. <<C'è da aspettarsi grandi cose da lui.>>
****
Ubbe solleva Johannes con delicatezza, facendolo atterrare con un piccolo rimbalzo sul ponte della nave. Il bambino scoppia in una risata squillante, mentre il mio falco plana con precisione accanto a lui. Con la fierezza di un vero guardiano, il rapace si sistema a poca distanza, scrutando ogni movimento del piccolo. Johannes, affascinato, allunga una manina paffuta e lo accarezza goffamente. Le sue dita stringono leggermente le piume, ma l'animale non si ritrae né emette versi di fastidio. Sorrido alla scena prima di stringere la mano a Ubbe e percorrere la passerella traballante che ci collega alla nave. Il legno umido scricchiola sotto i miei passi, ma non rallento. Una volta a bordo, aiuto Torvi a tirare su l'ancora, mentre Ubbe scioglie gli ultimi ormeggi. Le funi scivolano via nell'acqua, e con esse il legame con la costa inglese.
La nave inizia a muoversi, fendendo le onde con la prua. Il vento gonfia le vele, facendole sbattere con un suono che mi è sempre parso simile al battito d'ali di un drago. Le assi sotto i nostri piedi vibrano leggermente mentre ci allontaniamo. In pochi minuti, il porto diventa solo un'ombra dietro di noi, e in mezz'ora la costa inglese è un ricordo sbiadito all'orizzonte. Johannes, affascinato da tutto ciò che lo circonda, allunga la manina verso il parapetto. Lo sollevo tra le braccia e lo avvicino cautamente al bordo, tenendolo ben saldo. Un'onda più alta colpisce la chiglia, sollevando una spruzzata d'acqua che gli bagna le dita. Un gridolino di stupore esce dalle sue labbra, piegate in una perfetta "O" di meraviglia.
Rido, baciandogli la guancia umida. <<Ti piace il mare, piccolo mio?>>.
Lui ride ancora, agitandosi con entusiasmo. Il vento ci scompiglia i capelli e l'aria è impregnata dell'odore intenso del sale. Alcuni uomini cantano sottovoce per passare il tempo, mentre altri si danno da fare con le corde e le vele. Il cielo è limpido, il sole si specchia sull'acqua, creando un tappeto di riflessi dorati che ondeggiano con il mare.
Ubbe si avvicina, osservando l'orizzonte con occhi attenti. <<Sarà un viaggio tranquillo>>. Annuisco, anche se so bene che il mare è un essere imprevedibile. Può accoglierti dolcemente e poi, in un attimo, trasformarsi in un mostro furioso. Lagertha si siede accanto a me, il suo sguardo acuto come sempre. <<Cosa farai una volta tornata a Kattegat?>>
La sua voce è calma, ma avverto l'implicita preoccupazione dietro la domanda.
Mi stringo nelle spalle, tenendo gli occhi fissi sulle onde. <<Sistemerò la mia vecchia casa. Magari ricomincerò da dove avevo lasciato>>.
Le parole mi escono incerte, come se temessi che pronunciandole potessi accorgermi di quanto suonino vuote. Ricominciare. Ma da cosa? Da chi? Lagertha non è soddisfatta della mia risposta, lo capisco dal modo in cui mi osserva. <<E con Hvitserk?>>
Il suo nome è una lama che mi affonda nel petto. Se cercava di ottenere la mia attenzione, ora ce l'ha tutta. Per un lungo istante rimango in silenzio, poi abbasso lo sguardo su Johannes. Il suo respiro è lento e regolare, la sua piccola mano si è chiusa intorno alle mie dita, le lunghe ciglia gli sfiorano le guance rosee.
<<Non so nulla di lui>> sussurro, quasi temendo che dirlo ad alta voce renda la sua assenza più reale. <<Non so se è vivo o morto. Se si è sposato. Se ama un'altra donna>>.
Le parole mi si spezzano in gola. In Inghilterra almeno non c'era questa incertezza. Era un luogo lontano, sì, ma sicuro. Nessuna guerra imminente, nessun tradimento dietro l'angolo. Nessuna notte passata con la mano serrata intorno al pugnale. Ma Kattegat... Kattegat è casa. O almeno, lo era. Ora è solo un grande punto interrogativo.
Bjorn ha riconquistato il trono con la forza, spezzando le catene che lo avevano tenuto lontano dalla sua eredità. Harald non è più una minaccia, ma i nemici non spariscono mai del tutto. E Hvitserk? Quale sarà il suo posto in tutto questo?
Un'onda più alta fa dondolare la nave, ma Johannes non si sveglia. Lo stringo più forte contro di me, come se potessi proteggerlo non solo dal mare, ma anche dal futuro incerto che ci attende.
****
Il vento soffia da ovest, gonfiando le vele e spingendo la nostra nave avanti, come se anche gli dèi volessero accelerare il nostro ritorno. Il mare è calmo, le onde si infrangono dolcemente contro lo scafo e il cielo limpido si riflette nell'acqua scura. L'aria sa di salsedine e di casa. All'orizzonte, le montagne si stagliano imponenti, i loro profili familiari emergono dalla foschia mattutina. I fiordi si allungano come dita di pietra che affondano nel mare, e la vista mi toglie il respiro. Siamo vicini.
Una manina paffuta si aggrappa alla mia tunica. Johannes, seduto accanto a me, solleva le braccia per essere preso in braccio, gli occhi verde-nocciola spalancati per la meraviglia.
<<Siamo a casa tesoro mio. Siamo a casa>>. La mia voce è un soffio nel vento, più per me che per lui. Per mesi ho provato a immaginare questo momento, il ritorno a Kattegat, e ora che è qui, il mio cuore batte così forte da farmi quasi male.
Quando la terraferma è più vicina, abbassiamo le vele e prendiamo i remi. Non possiamo attraccare nel porto principale: Bjorn ha vinto una battaglia, ma potrebbe esserci ancora il rischio che gli uomini di Ivar ci scoprano. Meglio sbarcare in una baia isolata, a qualche ora di cammino dalla città. Le braccia mi bruciano per la fatica di portare per così tanto il mio bambino, ma nessuno di noi si lamenta. Il desiderio di mettere piede sulla nostra terra ci spinge avanti con una forza che sovrasta la stanchezza.
Finalmente, la chiglia sfiora la sabbia.
Torvi salta giù per prima, l'acqua le arriva fino alle ginocchia mentre afferra la fune per tenere la nave ferma. Ubbe si unisce a lei, aiutando a scaricare le poche provviste e armi che abbiamo portato con noi. Io scendo con cautela, l'acqua gelida mi avvolge le gambe mentre tendo le braccia verso Torvi, che mi passa Johannes. Lui si stringe forte al mio collo, nascondendo il viso nella mia spalla. Il suo respiro è rapido e incerto, il battito del suo cuore irregolare contro il mio petto. <<Va tutto bene, amore mio>>. Gli accarezzo i capelli scuri, cercando di tranquillizzarlo. Per lui questo posto è nuovo, estraneo. Ma non per me.
Ci mettiamo in marcia, seguendo i sentieri che si snodano tra i boschi e le valli. Il cammino è lungo, ma familiare. I ruscelli che serpeggiano tra le rocce, il profumo della terra umida e degli alberi di pino, il verso degli uccelli nascosti tra i rami: ogni cosa mi riporta indietro, a una vita che sembra appartenere a un'altra me. Mi ero illusa che avrei potuto dimenticare. Ma ogni passo rievoca ricordi sepolti. Il suono degli zoccoli dei cavalli sulle strade sterrate, il fragore delle onde contro i moli, le risate nelle lunghe notti d'inverno. Il calore delle braccia di Hvitserk attorno a me, il suo respiro contro la mia pelle.
Sento una fitta nel petto. E se non fosse più lo stesso?
Stringo Johannes con più forza. Lui è la mia unica certezza.
Attraversiamo i boschi in silenzio, lasciando che il fruscio delle foglie e il mormorio del vento tra i rami riempiano i nostri pensieri. Il tempo scorre lento, scandito solo dal ritmo dei nostri passi. Poi, a un tratto, lo sentiamo. Un suono lontano. Grida.
Scambio uno sguardo con Ubbe e Torvi. I nostri passi accelerano, il respiro si fa più corto. Superiamo una collina e finalmente lo vediamo: Kattegat. Le sue mura si stagliano contro il cielo, alte e imponenti come sempre. Ma non è la città che ricordo. L'aria è impregnata dell'odore del fumo. La terra è disseminata di corpi, armi abbandonate, scudi rotti. Alcuni edifici sono bruciati. Un brivido mi attraversa la spina dorsale. Una battaglia deve essere finita da non molto.
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