6.
Dopo il quasi bacio con Alfred, Ubbe ci ha avvisati che era pronto a partire. Il figlio di Ragnar mi ha confessato che il giovane Re gli aveva chiesto di insegnargli a combattere. L'idea mi ha sorpresa, ma non del tutto. Alfred è molto più forte di quanto sembri. Dietro quegli occhi attenti e quel volto sempre pacato, si nasconde una volontà d'acciaio. Lo vedo ogni volta che mi guarda, nei momenti in cui siamo soli. Mi studia, cerca di capire cosa si nasconde nel mio cuore.
Volevo unirmi a loro, osservare Alfred mentre impugnava la spada sotto la guida esperta di Ubbe, ma ho deciso di trattenermi. Sarebbe stato ingiusto, per me e per lui. Tengo molto ad Alfred, ma tra noi non deve accadere nulla. Anche se a volte il cuore sembra sussurrare il contrario.
Hvitserk. Mi chiedo dove sia in questo momento, se sta bene, se pensa ancora a me. Una parte di me teme che abbia trovato un'altra donna, e per quanto questa idea mi laceri dentro, non posso biasimarlo. Sono passati troppi mesi. Troppo tempo trascorso separati, immersi in battaglie e dolore, senza sapere nulla l'uno dell'altro. Il tradimento, la guerra sono solo una parte di ciò che ci divide. Se lui avesse trovato conforto tra le braccia di qualcun'altra non so come reagirei. Dovrei arrabbiarmi? Probabilmente no. Non sono neanche più in grado di dire cosa siamo. Ma non posso negare che il pensiero mi bruci come fuoco vivo.
Mi siedo sul letto e chiudo gli occhi, ripensando al sogno appena fatto. Sarebbe bello poter sposare l'uomo che amo, poter vivere accanto a lui senza paura, senza doverci nascondere come se il nostro amore fosse un crimine. Ma è solo un sogno. Ivar non lo permetterebbe mai. Per lui, ogni cosa è una battaglia, un gioco di potere. L'amore non ha spazio nel suo mondo.
Vorrei che le cose fossero andate diversamente. Che Lagertha non avesse mai ucciso Aslaug, non con il mio arco almeno. Che non fossimo stati costretti a combattere, a scegliere da che parte della famiglia stare. Vorrei che Kattegat fosse ancora nostra, che gli dèi non ci avessero gettato in questo abisso di dolore e guerra. Perché ci hanno abbandonati? Non sono ancora soddisfatti del sangue versato? Non bastano le famiglie distrutte, le lacrime, i corpi senza vita che abbiamo lasciato alle nostre spalle? Cosa abbiamo fatto per meritarci l'ira di Odino?
Un bussare alla porta interrompe i miei pensieri. Torvi entra con un sorriso gentile.
<<Bjorn mi ha raccontato del tuo mancamento. Ho pensato di venire a vedere come stavi>>. Si avvicina e posa una mano sul mio ventre. Il bambino si muove, rispondendo al suo tocco con piccoli sussulti. Io lascio andare un respiro pesante, buttando la testa all'indietro. <<Sto meglio, ma la schiena mi fa malissimo>>. Torvi annuisce con comprensione. <<Capisco cosa stai passando... Sai, un bagno caldo potrebbe aiutarti>>. Accetto volentieri il suo consiglio.
Insieme riempiamo la tinozza dietro il paravento con acqua scaldata sul fuoco del camino. Il calore si diffonde nella stanza, creando un'atmosfera rassicurante. Mi aiuta a sfilare la veste e a immergermi nell'acqua, che mi avvolge come un abbraccio. Scivolo lentamente verso il fondo, appoggiando le braccia e la testa al bordo. Solo le spalle e il ventre rimangono fuori dalla superficie. Torvi prende una spugna e inizia a passarmela delicatamente sulle braccia, canticchiando a bassa voce una vecchia canzone che non conosco. La sua voce è dolce, un suono familiare che mi riporta a tempi lontani.
Chiudo gli occhi e mi lascio trasportare dal ricordo di mia madre. Da bambina, mi lavava i capelli nello stesso modo. Ricordo le sue mani esperte che scioglievano i nodi con delicatezza, le sue labbra che sussurravano vecchie storie sulle gesta degli dèi. Loki che ingannava Thor, Freyja che piangeva lacrime d'oro per il suo sposo perduto, Sigurd che uccideva il drago Fafnir...
...Avevo forse cinque anni. Fuori la neve cadeva fitta, coprendo il mondo con il suo manto bianco, ma dentro la nostra casa c'era calore, il fuoco scoppiettava nel camino e l'aria profumava di legna bruciata. Mia madre mi aveva appena tolto la tunica sporca di terra e miele; avevo rubato un pezzo di pane dolce dalla tavola e l'avevo mangiato di nascosto, finendo per impiastricciarmi dappertutto. Lei non si era arrabbiata. Rideva mentre mi sollevava e mi immergeva nell'acqua tiepida. <<Sei peggio di un piccolo troll della foresta>> mi aveva detto, scuotendo la testa divertita. Mi ricordo il suono della sua voce, ancora chiaro nella mia memoria, come una dolce melodia. Mi ricordo le sue mani forti ma gentili, che passavano una pezza di lino bagnata sulle mie braccia e sul mio viso, lavandomi con delicatezza. Mi ricordo le sue dita che districavano i miei capelli umidi, intrecciandoli con gesti esperti mentre canticchiava una vecchia canzone su una donna che attendeva il ritorno del suo amato dal mare. Mi stringevo a lei, cercando il calore del suo corpo, mentre il vapore si alzava dall'acqua e la stanza si riempiva di un tepore avvolgente. Ogni tanto mi lasciava qualche goccia d'acqua sulla punta del naso per farmi ridere, e io ridevo davvero, con quella leggerezza che solo i bambini conoscono.
Ma la parte che ricordo con più chiarezza è la fine del bagno. Quando mia madre mi avvolgeva in una pelliccia d'orso troppo grande per me, stringendomi forte contro il suo petto. <<Ecco qui la mia piccola cucciola>> sussurrava, sfregandomi piano le braccia per scaldarmi.
Era il mio posto sicuro. Il suo abbraccio era il mio rifugio, il luogo dove il mondo esterno non poteva toccarmi. E ora...
Ora, la sua voce si affievolisce sempre di più nella mia memoria. Ogni giorno faccio più fatica a ricordarla. Le sue canzoni, i racconti che mi facevano sognare, la sua risata. Persino il suo volto inizia a sfumare, come nebbia al mattino.
Mi fa paura. E se un giorno non ricordassi più nulla di lei? Se morissi, il mio bambino si sentirebbe così? Crescerebbe senza un ricordo di me, senza sapere chi ero?
Accarezzo il mio ventre con dolcezza. Voglio amarlo come queste donne hanno fatto con me. Voglio che senta il mio amore, che sappia che non sarà mai solo.
<<Gyda>>.
La parola mi sfugge prima che possa fermarla. Torvi si ferma, le mani ancora tra i miei capelli. <<Di cosa stai parlando?>> chiede con curiosità. Guardo l'acqua intorno a me, sentendola raffreddarsi a poco a poco. <<Se fosse femmina>> continuo, stringendomi piano la pancia, <<Se fosse femmina, la chiamerei Gyda. Come la figlia di Lagertha>>. Sento Torvi trattenere il fiato. Poi si sposta al mio fianco, gli occhi lucidi per l'emozione. <<Hai deciso di tenerlo>>. Non è una domanda. È una certezza. Annuisco. <<L'idea mi terrorizza. Non so se sono in grado di farlo da sola, visto quanto sta accadendo. Ma l'idea che possa crescere con una famiglia cristiana... no.. lo crescerò come un vero Vichingo, o come una vera Shieldmaiden>> affermo mentre la mia voce trema leggermente. Un sorriso le illumina il volto mentre mi stringe forte, facendomi traboccare un po' d'acqua sul pavimento. Rido piano, appoggiando la testa alla sua spalla. Non so cosa mi riserva il futuro. Ma so che questa piccola creatura ne farà parte. E, per la prima volta da molto tempo, sento che c'è ancora speranza.
****
Per un paio di giorni ho evitato il re. Non per cattiveria, ma perché non saprei cosa fare o dire se volesse parlare di ciò che è quasi accaduto tra noi. Ogni volta che incrocio il suo sguardo, sento un nodo stringermi la gola, e l'ultima cosa di cui ho bisogno ora è aggiungere ulteriore confusione alla mia vita. Per non parlare del fatto che sua moglie mi continua a lanciare occhiate furtive, piene di sospetto, come se già conoscesse il peso dei miei pensieri.
Lagertha mi passa un calice, accarezzandomi le spalle lasciate scoperte dal vestito verde. Il suo tocco è leggero, quasi materno. Le ho raccontato della conversazione avuta con Torvi, del nome che ho scelto se il bambino sarà una femmina. Vedere i suoi occhi illuminarsi di gioia mi ha scaldato il cuore. È raro, in questi tempi, trovare un motivo per sorridere, eppure, per un attimo, ho visto il riflesso di un'ombra felice nel volto della mia vecchia amica.
Il suono improvviso della porta che si spalanca rompe quell'attimo di pace. Bjorn entra con passo deciso, seguito da un giovane uomo che non conosco. È alto, con i capelli biondo scuro e un viso che mi è vagamente familiare, anche se non riesco a dire perché.
<<Lui è Magnus. Il figlio che Ragnar ha avuto qui in Wessex dalla regina Kwenthrith>>.
La voce di Bjorn risuona nella sala mentre dà una pacca sulla spalla del giovane. Mi sistemo meglio sulla sedia, osservando il nuovo arrivato con interesse mentre Lagertha gli si avvicina
<<È un piacere conoscerti, Magnus>>. La sua voce è calma, ma il suo sguardo lo scruta con attenzione. Magnus sorride, ma il lieve rossore sulle sue guance tradisce la sua emozione. <<Tu devi essere Lagertha. Quale privilegio incontrarti finalmente>>. I suoi occhi si posano su Ubbe per un momento, come se lo conoscesse già, poi si spostano su di me.
<<Tu sei Martha Halvorsen. Ho sentito molte storie su di te>>. La sua voce si carica di entusiasmo, e nei suoi occhi vedo brillare una scintilla di ammirazione quasi infantile. <<Dicono che hai ucciso un branco di lupi quando eri solo una ragazzina>>.
Sorrido, annuendo. <<Erano solo.. un paio di lupi. Non un branco>> affermo, alzando la gamba e la gonna, per mostrare la cicatrice rimasta quando uno dei due lupi mi ha morsa.
Mi sorprende sentire ancora oggi quella storia, come un'eco del passato. Mi riporta ai giorni in cui ero solo una ragazza con un arco in mano, e il mondo era ancora un luogo semplice, dove i pericoli erano fatti di denti e artigli, non di intrighi e tradimenti.
Magnus si schiarisce la voce, tornando serio. <<Per anni ho dovuto nascondere la mia vera identità. Ho sentito diverse storie su di voi e ora, finalmente, ho la mia famiglia>>.
Bjorn si appoggia al muro vicino alla finestra, le braccia incrociate sul petto. <<Magnus sostiene che Alfred e la sua famiglia lo abbiano tradito; che abbiano tradito noi, e che il re non ha il potere per concederci le terre promesse in Anglia orientale.»
Il silenzio cala nella stanza. Le fiamme delle torce tremolano, proiettando ombre lunghe sulle pareti di pietra. Lagertha si gira lentamente verso Magnus, scrutandolo. <<Tu hai conosciuto Ragnar?>>. Magnus annuisce. <<Sì. Una volta. Quando ero ancora un ragazzo. Mi disse che voleva bene a me tanto quanto ai suoi altri figli>>.
Ubbe ed io ci scambiamo uno sguardo. Entrambi sappiamo che Ragnar ha sempre negato di aver giaciuto con la regina Kwenthrith. Questo ragazzo dice la verità o è solo un'altra pedina in un gioco più grande? Mi appoggio allo schienale della sedia, incrociando le gambe sotto al tavolo. <<Che cosa vuoi, Magnus?>> chiedo guardandolo con attenzione. Non assomiglia neanche così tanto a Ragnar. Lui non esita. <<Harald Finehair sta venendo qui con un grande esercito. Dovreste unirvi a lui e distruggere il Wessex>>. La sua voce è priva di dubbi, come se stesse parlando di un piano già scritto nel destino. Scuoto la testa leggermente. <<È un'ambizione dura da portare avanti>>.
Magnus sospira, come se si aspettasse la mia riluttanza.
<<Questo è il senso della mia vita. Aspetto questo momento da tutta la vita>>.
Lagertha si siede accanto a me, rilassando le spalle. <<Ragnar ci disse di non essere mai andato a letto con tua madre. Ci raccontò che aveva delle ferite e che lei gliele curò con la sua urina>>.
Ora sorge un dubbio: Ragnar mentiva? O Magnus è solo un ragazzo che ha costruito la sua intera esistenza su una menzogna?
<<Perché vi comportate così?>> sbotta Bjorn, il suo tono teso. <<Dovremmo prenderlo sul serio. Penso che dica la verità>>.
Ubbe scuote la testa. <<Io non credo che sia figlio di nostro padre. Non credo che dovremmo tradire Alfred per le sue parole>>.
Bjorn lo guarda con durezza. <<Questo perché il re ti ha comprato. Ora anche tu sei un cristiano, quindi per me dovresti valere meno come fratello rispetto a Magnus>>.
Sbuffo, massaggiandomi la fronte. <<Adesso smettetela di litigare. Non serve a niente>>.
Ma le tensioni sono già nell'aria, pronte a esplodere. Magnus, nel frattempo, ci osserva con un sorriso amaro. <<Capisco. Non mi credete>>. La sua voce è piatta, senza emozione. Si gira su se stesso, dirigendosi verso l'uscita.
<<Non importa>>. E se ne va, lasciandoci immersi nei nostri dubbi.
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