5.

   <<Tu.. cosa?>> grido ascoltando le sue parole. Ubbe si abbandona sulla panca accanto al tavolo. <<Avevi promesso che non ti saresti arrabbiata>> piagnucola, la testa ancora nascosta tra le braccia incrociate sulla superficie di legno. <<Mi hai appena detto che vuoi diventare un cristiano. Cosa ti aspettavi?>> ribatto scioccata e molto sorpresa in negativo. Voltare le spalle ai nostri dei per un altro dio? Anche se Odino non è presente, così come gli altri sembrano averci abbandonato. Perché farlo? Cosa può farci il dio cristiano di diverso?
  <<Anche Ragnar non credeva più nei nostri dei, Martha>> inizia ma lo interrompo, parlandogli sopra. <<Tuo padre non ha mai smesso di credere, Ubbe. Non lo avrebbe mai fatto>> affermo, tenendo un tono tranquillo. I miei occhi castano scuro sono concentrati sui suoi azzurri. <<Ma lo ha fatto. Lo sai>> puntualizza appoggiando i gomiti sul tavolo, sorreggendosi la testa con le mani.
  Scuoto la testa. Conosco quella vicenda, mi è stata raccomandata. <<Lo ha fatto per entrare a Parigi, Ubbe. Ragnar credeva negli dei più di tutti noi>> affermo appoggiando i palmi delle mani sul tavolo, osservando l'uomo davanti a me. <<E se ti sbagliassi?>> Continua, allungandosi nella mia direzione. <<Il loro dio è molto diverso dai nostri Ubbe>> dichiaro. Vorrei potergli parlare, raccontargli ciò che so e che ho appreso. Ma so che non capirebbe.
  La porta alle mie spalle si apre lentamente e Torvi infila la testa all'interno della stanza. <<Mi dispiace disturbare, ma il re ci attende>> dice con una nota di impazienza nella voce. Rilasso le spalle e prendo un respiro mentre Ubbe la ringrazia. Mi metto seduta sulla panca e strofino gli occhi con le dita. Diverse domande mi frullano nella testa e so che troverò delle risposte a fatica. Lui si inginocchia davanti a me, appoggiando le braccia sulle mie ginocchia, mi prende le mani tra le sue. <<Deluderti, è l'ultima cosa che voglio>> sussurra inarcando le sopracciglia e guardandomi dal basso. Questo sguardo, quello che rivolgeva al padre quando combinava qualche guaio, non lo vedevo da anni. Appoggia la mano sul pancione e sorride leggermente. <<Aspetti mio nipote e voglio essere presente per lui>> ridacchia prima di parlare con il mio grembo, per alleggerire un po' la tensione; ma non mi sento in vena di ridere con lui. <<Potrai mai perdonarmi?>> chiede sospirando. <<Non sono io a doverti perdonare Ubbe. Non sono una Dea>> sbuffo. Per quanto mi è possibile mi sporgo verso di lui, afferrandogli la lunga e complessa treccia, rigirandola tra le mie mani. <<Ma se questo è ciò che vuoi, non ho niente da dirti. La scelta è tua>> concludo abbassando la testa. Non so perché ha preso questa decisione, una parte di me non vuole proprio saperlo. Ma so che se va davvero fino in fondo, quando moriremo, non ci ritroveremo nel Valhalla. La morte ci separerà per sempre.

****

  L'odore pungente dell'incenso si insinua nelle narici, denso e quasi soffocante, come se volesse annebbiare la mente tanto quanto il paesaggio intorno a noi. Le volute di fumo salgono verso il cielo grigio, fondendosi con la leggera pioggerella che cade senza sosta. Il suono delle onde che si infrangono sulla riva rocciosa del fiume si mescola ai canti sommessi dei monaci e ai mormorii scontenti dei consiglieri del re. Nonostante le loro mani giunte in segno di preghiera, i loro sguardi trasmettono disprezzo, quasi come se l'atto che si sta per compiere fosse un insulto alle loro stesse credenze.
  Ubbe e Torvi sono al centro della scena, vestiti in semplici tuniche bianche, figure immobili in un mondo in movimento. Il vento freddo sferza la riva e fa ondeggiare le loro vesti come bandiere. I due guerrieri, che hanno conosciuto il fuoco della battaglia e il sapore del sangue, ora aspettano un battesimo che sembra più un'esecuzione spirituale che una rinascita. Li osservo con uno strano senso di vuoto nello stomaco, come se il mondo stesse perdendo il suo equilibrio.

  Alfred si gira verso di me. I suoi occhi scrutano ogni dettaglio del mio aspetto, cercando forse un segno di approvazione, ma il mio volto rimane impassibile. Il lungo vestito viola scuro cade pesante fino alle caviglie, e il mantello grigio mi offre una protezione minima dalla pioggia fine, quasi impercettibile, che si insinua tra i capelli e scivola giù per il collo. Alfred mi sorride, ma non ricambia. La mia attenzione è completamente rivolta ai miei amici, i quali, con quest'atto, sembrano spezzare un legame sacro.
  Heahmund, imponente nella sua veste bianca ornata d'oro, si schiarisce la voce, un suono che si riverbera nell'aria umida. <<Prima di essere ricevuti nella santa chiesa di Dio, dovete rinunciare ai vostri dei pagani>>, intona con solennità, il tono della sua voce intriso di una gravità quasi insopportabile. Ubbe annuisce, il volto scolpito da una determinazione fredda, quasi distaccata. <<Io rinuncio a credere in Odino e in tutti gli altri dei>>, pronuncia con fermezza, e  sento il peso di quelle parole come un colpo di spada. Torvi, a fianco a lui, ripete la stessa formula, ma c'è un'ombra nei suoi occhi, un'esitazione che solo io sembra percepire.

  Un grugnito di disapprovazione risuona alle mie spalle, e mi volto. Bjorn è seduto su un tronco, il volto contratto in una maschera di rabbia contenuta. Mi avvicino, poggiando una mano sulla sua spalla in un gesto di solidarietà e condivisione. Anche io sento la medesima rabbia, quel senso di tradimento che si diffonde come veleno. <<Non posso crederci>>, sussurro, la voce spezzata dall'incredulità. <<Come possono rinnegarli così? I nostri dei...>>. Mi fermo, incapace di completare la frase. Il dolore nella sua voce è palpabile.
  <<Non è giusto>>, mormora Bjorn, stringendo le mani in pugni così forti che le nocche diventano bianche. <<Ci hanno cresciuti sotto l'ombra di Thor e Odino. Hanno visto le stesse visioni che abbiamo visto noi. E ora? Si inginocchiano davanti a un dio che non capiscono>>.
  Heahmund si avvicina a Ubbe, gli prende il viso tra le mani e soffia sulla sua fronte. <<Con il mio respiro, esorcizzo gli spiriti maligni che risiedono in voi>>, recita con solennità. Poi prende una coppa dorata, riempita con l'acqua gelida del fiume, e segna entrambi con il simbolo della croce. Il suono dell'acqua che gocciola dalle sue dita rimbomba nell'aria immobile, mentre la tensione cresce attorno a me e Bjorn come una tempesta imminente.

  A questo punto, Bjorn si alza di scatto. <<Non sopporto più tutto questo>> esclama, la voce tesa e tagliente come una lama. Sputa a terra, un gesto che riecheggia il suo disprezzo, e si allontana con passi pesanti, il mantello che si agita dietro di lui come un vessillo di sfida.
Resto immobile per un attimo, il cuore che batte forte nel petto. Poi lo seguo, i miei passi affrettati nella terra fangosa.
  Il cielo sopra di loro sembra condividere la nostra collera. Le nuvole si addensano e si scuriscono, minacciando una tempesta che incombe con lo stesso peso dei pensieri che gravano su di me. Il vento si alza, sferzandomi il viso con la sua carezza gelida, mentre la nebbia si infittisce ad ogni metro che percorrono verso la città. Thor è arrabbiato.
<<Perché l'hanno fatto? Cosa sperano di ottenere rinunciando a ciò che siamo?>> Chiedo, senza rivolgermi davvero a qualcuno in particolare. Bjorn si ferma di colpo, il volto contratto in una smorfia di dolore. <<Forse la speranza di una nuova vita. Di sopravvivere. Ma non è la nostra vita quella che stanno cercando di costruire>>, risponde, la voce dura, quasi strozzata. <<Questa non è Kattegat, non è il nostro mondo>>. Sento il cuore serrarsi nel petto. <<Abbiamo combattuto insieme, vissuto insieme. E ora, sembra che tutto quello che ci ha tenuto uniti stia crollando>>. Dichiaro, abbassando la testa sentendo un brivido di freddo.
  Bjorn mi guarda per un lungo momento, i suoi occhi azzurri brucianti di rabbia e dolore. <<Non crollerà, Martha. Non se siamo noi a impedirlo. Non rinuncerò ai nostri dei, né al nostro passato. Ubbe e Torvi stanno facendo la loro scelta, ma io... io non mi inchinerò mai davanti a niente che non sia il nostro destino>>.
  Un lampo squarcia il cielo, seguito dal rombo di un tuono. Rabbrividisco ancora mentre una raffica di vento più forte mi solleva il mantello, quasi strappandolo via. Il freddo è penetrante, ma ciò che gela davvero il sangue è la sensazione di perdita, come se qualcosa di inestimabile stesse scivolando via dalle sue mani.

  Strofino le mani una contro l'altra, cercando disperatamente di scaldarle. Il freddo sembra entrarmi nelle ossa, rendendo ogni passo più pesante. Bjorn è qualche metro avanti a me, con la sua solita andatura sicura, ma io faccio fatica a stargli dietro. Mi sento esausta, e qualcosa di caldo mi cola sul labbro inferiore. Riconosco subito il sapore: metallo. Sangue.
  Porto l'indice e il medio sotto al naso, sfiorando la pelle umida. Quando guardo i miei polpastrelli, sono sporchi di sangue denso e scuro. Il cuore mi martella nel petto. La testa inizia a girarmi, e una morsa d'angoscia mi prende alla gola. <<Bjorn!>> urlo con il fiato spezzato, il panico ormai ben saldo dentro di me.
  Bjorn si volta, infastidito, ma quando vede il mio volto pallido e il sangue sul mio viso, il suo sguardo cambia. In pochi istanti corre verso di me. <<Che ti succede? Stai male?>> La sua voce è bassa, quasi roca, e riesco solo a scuotere la testa, incapace di rispondere. Mi aggrappo al suo braccio come se fosse l'unica cosa che mi ancora alla realtà. Lui mi solleva senza sforzo, stringendomi a sé, e cerca di coprirmi con i nostri mantelli. Sento il suo calore attraverso le spesse pelli, ma non basta a calmare la mia agitazione.
  Cammina spedito verso la città, e io mi rannicchio nel suo abbraccio, mentre il respiro si fa sempre più corto. Il rumore dei nostri passi è sordo sul terreno, quasi come un battito lontano, mentre la nebbia ci avvolge e la pioggerella leggera si mescola ai miei pensieri confusi.

  Quando Bjorn finalmente mi porta nella mia stanza, mi adagia delicatamente sul letto. Mi copre con le coperte pesanti, e io cerco di fermare il tremore che mi scuote. Sento il suono delle candele che accende, il crepitio delle fiammelle che prende vita attorno a me. Ma nella mia testa il battito è sempre lì, continuo, martellante. Il dolore alla testa cresce, come il tamburo di guerra che non smette mai. Stringo gli occhi, cercando di bloccare il mondo fuori, ma è impossibile ignorare la nausea che mi stringe lo stomaco.
  Il mio falco stride, volando nervosamente da un mobile all'altro. Si posa sul tavolino accanto al letto, le piume lucide che brillano alla luce delle candele. Voglio sentirmi al sicuro, ma la paura mi attanaglia. E se questo fosse l'inizio di qualcosa di peggiore?
  Bjorn torna al mio fianco, il suo peso fa abbassare il materasso, e sento la sua mano posarsi delicatamente sulla mia fronte. Il contrasto tra il freddo che sento dentro e il suo calore mi fa chiudere gli occhi per un momento. <<Stai tranquilla, Martha>> sussurra, passando una pezza bagnata sotto al mio naso, pulendomi dal sangue. La sua mano forte accarezza la mia fronte, ed è in quel momento che, per la prima volta da tempo, sento una traccia di pace.
  Gli stringo la mano, come se fosse l'unica cosa capace di tenermi ancorata a questo mondo. Chiudo gli occhi, il buio mi avvolge lentamente. <<Riposati>> mi dice con voce più lontana di quanto dovrebbe essere. Sento le sue parole farsi sempre più ovattate. <<Tornerò più tardi a trovarti>>. Ma prima che possa rispondere, è già fuori dalla stanza.


****

   Il materasso si abbassa leggermente sotto un peso vicino a me, e sento una mano sfiorarmi il collo, scostando delicatamente alcune ciocche di capelli dal cuscino. Il tocco è leggero, quasi carezzevole, e mi fa stiracchiare inconsapevolmente, come se il corpo volesse allungarsi verso quella sensazione. Mi sento intorpidita, come se avessi dormito troppo, e sbadiglio mentre la voce, ancora impastata dal sonno, esce più morbida del previsto.
 <<Già di ritorno, Bjorn?>> domando, il sorriso accennato sulle labbra mentre mi godo ancora il calore di un magnifico sogno che mi ha cullata fino a poco fa. Non ricevo risposta, e un silenzio innaturale mi circonda. Sento un leggero movimento vicino al letto, e quando apro gli occhi, il viso che mi si para davanti non è affatto quello di Bjorn.

  <<Alfred?>> sussurro, confusa. Il mio corpo si irrigidisce un attimo mentre mi metto a sedere, strofinandomi gli occhi con il dorso delle mani. <<Che ci fate qui?>> Alfred si tira leggermente indietro, visibilmente imbarazzato dalla mia sorpresa. Si passa una mano tra i lunghi capelli, le dita si incastrano nei nodi, e distoglie lo sguardo.
  <<Io... volevo vedere come stavate>>.
C'è una nota di timidezza nella sua voce, una sfumatura di gentilezza che non riesco a ignorare. Mi lascio scivolare contro i cuscini, cercando di mettere insieme pensieri e parole, mentre il cuore riprende a battere con regolarità. <<Sto bene, grazie>>. Gli rivolgo un cenno di imbarazzo, non sapendo bene come gestire quella visita inaspettata.

  Lui si alza goffamente dal bordo del letto, e arretra, alzando le mani in segno di scusa. <<Non volevo mettervi a disagio, Martha. Vi chiedo perdono se sono stato invadente>>. La sua voce, solitamente sicura e decisa, si fa più bassa, quasi colpevole. <<Non siete invadente, solo... sorpresa>>. Mi alzo lentamente, lasciando che le coperte scivolino via, e sistemo il vestito mentre cammino a piedi nudi sul freddo pavimento di pietra. Il contatto del suolo è un brusco promemoria della realtà che mi circonda.
  <<Ubbe mi ha riferito che gli avete chiesto di insegnarvi a combattere>>. Cambio argomento, cercando di riportare la conversazione su un terreno meno imbarazzante, e gli lancio un'occhiata mentre prendo un coltello dal tavolo. Alfred annuisce, osservandomi attentamente, e vedo il suo interesse sincero nel mio sguardo.
  <<Sì... ho bisogno di essere pronto, Martha. Se voglio guidare il mio popolo, non posso rimanere indifeso. Ho visto quanto voi siete forti... quanto i vostri uomini sanno combattere>>. La sua voce si fa più seria, quasi pensierosa, e noto un'ombra attraversargli il volto mentre parla del suo regno, delle responsabilità che gli pesano addosso. Mi avvicino e lo guardo negli occhi. <<Non potete combattere con quei capelli lunghi. Non come un guerriero>>. Faccio un gesto verso la chioma castano scuro che gli cade in disordine sulle spalle, un dettaglio che non avevo mai considerato così attentamente fino a quel momento. Alfred sorride debolmente, sedendosi su uno sgabello davanti al tavolo con gli specchi. Mi passa le spalle il coltello, offrendomi fiducia come solo pochi uomini farebbero. <<Fatemeli voi, i capelli da guerriero, allora>>. Anche quando lo conobbi me lo chiese. All'epoca eravamo solo due bambini e le nostre vite erano molto diverse all'epoca. Mi avvicino, scostando con delicatezza i ciuffi disordinati, e inizio a intrecciarli con gesti abili e precisi, mentre parliamo.
  <<Non avete paura di ciò che potrebbe succedere, vero?>> Gli chiedo, sentendo la tensione che aleggia nell'aria tra di noi.  Alfred abbassa lo sguardo, fissando il pavimento con aria assorta. <<La paura... è una compagna costante per un re, Martha. Ogni decisione, ogni alleanza, può essere quella sbagliata. Ma non posso permettermi di mostrarla. Devo essere forte per il mio popolo>>.
Si interrompe per un istante, poi aggiunge, quasi sussurrando: <<Proprio come voi... siete sempre così forte>>.
  <<Non sempre lo sono, Alfred>> ribatto, mentre finisco di legargli i capelli in una stretta treccia. Le mie mani si fermano sulla sua nuca, e sento la sua pelle fredda sotto le dita. <<A volte... ho paura anch'io. Paura di perdere le persone a cui tengo, di perdere tutto ciò che ho costruito>>.
  Le nostre figure riflesse nello specchio appaiono più vicine di quanto ci sentiamo in quel momento. Mi rendo conto di quanto siamo diversi, eppure simili nelle nostre debolezze nascoste. Alfred solleva lo sguardo e, per un attimo, i nostri occhi si incontrano nel riflesso. Le sue mani scivolano lentamente dalla mia schiena verso il mio viso, toccando la mia guancia con delicatezza. Il freddo dei suoi anelli mi fa rabbrividire, ma non mi sposto.
  <<Martha...>> mormora, chinandosi leggermente verso di me, il viso così vicino che posso sentire il suo respiro mescolarsi con il mio. Le sue labbra si dischiudono appena, e i nostri nasi si sfiorano in un gesto che sembra carico di una strana tensione. Lo guardo negli occhi e, per un istante, penso a cosa potrebbe significare quel gesto. Ma qualcosa dentro di me mi ferma. Con una leggera pressione sul suo petto, lo allontano di un passo, scuotendo la testa.

   Il silenzio tra noi si allunga, denso e carico di significati che nessuno di noi osa pronunciare. Alfred si raddrizza lentamente, lasciando cadere le mani lungo i fianchi. I suoi occhi mi scrutano con un misto di delusione e comprensione, ma non dice nulla. Anche lui sa che c'è una linea che non possiamo attraversare.
  <<Capisco...>> mormora, abbassando lo sguardo. <<Non era mia intenzione mettervi a disagio>> La sua voce è sommessa, quasi come se si scusasse, ma c'è un'ombra di vulnerabilità che non gli avevo mai visto prima. Scuoto la testa, sentendo il peso delle parole non dette tra di noi. <<Non è questo, Alfred. È solo che... siamo due mondi diversi. Io appartengo a un'altra vita, una che tu non puoi capire. E io... non posso essere parte della tua>>.
  Lui mi guarda, il viso teso, cercando di trovare le parole giuste. <<Ma siamo qui, adesso. In questo momento, siamo solo noi due. Non potrebbe essere diverso>>.
Il suo tono è quasi disperato, come se cercasse di afferrare qualcosa che gli sfugge. Sento il cuore stringersi, ma so che non posso dargli ciò che vuole.
  «<<Non è così semplice>>. La mia voce è ferma, ma dentro di me le emozioni si agitano, in conflitto tra quello che potrei volere e quello che so essere giusto. <<Voi vi sposerete presto e io appartengono ad un altro uomo>> affermo. Ma non riesco a non pormi la domanda: appartengono davvero ancora ad un altro uomo?"

  Alfred annuisce lentamente, accettando le mie parole anche se lo vedo lottare contro di esse. Si alza dallo sgabello, il movimento misurato e controllato, come se volesse mantenere il suo orgoglio intatto. <<Avete ragione. Ci sono troppe cose che ci separano>>. Le sue parole sono calme, ma c'è una stanchezza nella sua voce che prima non avevo notato.
Mi allontano, incrociando le braccia mentre cerco di allontanare la sensazione di disagio che cresce dentro di me. <<Ma siete comunque importante per me, Alfred. Vi conosco da quando eravamo bambini. Mi avete insegnato la vostra lingua e avete aiutato a fare di questo regno la mia casa, per un po' di tempo>>.
Lui si volta, offrendo un sorriso debole, quasi malinconico. <<E voi lo siete per me, Martha. Più di quanto possiate immaginare>>. Fa un passo verso la porta, esitante. <<Spero solo che un giorno... ci sarà un tempo in cui potremo essere più sinceri con noi stessi>>.

  Le sue parole restano sospese nell'aria, mentre lo guardo allontanarsi ed uscire dalla stanza.

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