10.
Entriamo in città con cautela, attraversando le strade ancora intrise del sangue di chi ha combattuto. Alcuni guerrieri si aggirano tra i cadaveri, raccogliendo armi o aiutando i feriti. Il clangore del metallo e il mormorio delle voci si mescolano all'odore acre della carne bruciata.
Ma poi, qualcosa cambia. Dalle piazze centrali si levano risate, urla di gioia. Il suono delle celebrazioni. Ci avviciniamo e, dietro un angolo, troviamo una folla festante radunata attorno a un gruppo di uomini. I loro volti sono illuminati dal fuoco e dalla vittoria.
E lì, tra loro, lo vedo. Hvitserk. Sta ridendo, abbracciato a Bjorn, il volto segnato dalla stanchezza e dal sangue della battaglia, ma lo sguardo acceso dall'adrenalina e dall'euforia. È vivo. E sta bene. E ancora non sa che sono tornata. Il cuore mi martella nel petto mentre lo osservo. I suoi occhi vagano per la folla e, quando si posano su di me, si paralizza. Per un attimo rimane immobile, come se avesse visto un fantasma.
Il suo sorriso si spegne, il viso si pietrifica. Per un attimo rimane immobile, gli occhi spalancati come se stesse guardando un miraggio. Il tempo sembra fermarsi. Lui non si muove. Io non respiro. Forse pensa di avermi scambiata per qualcun'altra, nascosta com'ero tra la gente. Ma quando lascio Johannes a Torvi e avanzo, il suo sguardo cambia. Un sorriso malinconico gli si disegna sulle labbra e gli occhi gli si fanno lucidi.
Le sue braccia mi stringono con forza, come se temesse che, da un momento all'altro, potessi svanire. Affondo il viso nel suo petto, respiro il suo profumo—pelle, sudore, cenere, e qualcosa di più dolce, più pungente, che non riesco a distinguere. Ma non importa. Non ora.
<<Sei viva...>> sussurra Hvitserk, la voce rotta. Le sue mani scivolano lungo la mia schiena, risalgono a incorniciarmi il viso, i pollici accarezzano le mie guance, asciugano le lacrime che non mi ero accorta di star versando. Mi guarda come se non riuscisse a credere che io sia davvero qui. I suoi occhi brillano d'emozione, ma dietro quello sguardo c'è qualcosa che non riesco a decifrare. Senso di colpa? No, mi dico. È solo la sorpresa. Lo shock. <<Mi sei mancata così tanto, amore mio>>.
La sua voce trema leggermente, e prima che possa rispondere, le sue labbra catturano le mie. È un bacio impetuoso, disperato, quasi febbrile. Le sue mani scivolano tra i miei capelli, stringono, come se volesse ancorarsi a me. Chiudo gli occhi, lascio che il mondo si dissolva attorno a noi. Per mesi ho sognato questo momento. Per mesi ho desiderato sentire di nuovo le sue labbra sulle mie. Ma c'è qualcosa che non va. Le sue mani tremano. Il suo respiro è irregolare, e il suo corpo è rigido contro il mio. Mi allontano leggermente, gli sfioro la guancia con le dita. Lo guardo negli occhi, e noto che le sue pupille sono dilatate, il suo sguardo è sfocato, quasi assente per un istante, prima di tornare su di me. Forse è solo l'emozione. O la stanchezza della battaglia.
Non voglio pensarci adesso.
<<Hai deciso di farti crescere la barba?>> gli chiedo con un sorriso leggero, accarezzandogli il mento. Lui ride, ma c'è un'incrinatura nella sua voce, un velo di nervosismo che non riesco a spiegarmi.
<<Ti piaccio?>>
Annuisco, accarezzandogli le guance. La barba pizzica sotto i miei polpastrelli. Lui ride di nuovo, ma il suono è un po' forzato. Poi mi bacia ancora, ma questa volta è più dolce, più lento. Come se volesse imprimere questo momento nella sua memoria.
Una voce mi richiama alla realtà. Torvi si avvicina con Johannes tra le braccia, il suo pianto si mescola al brusio delle celebrazioni. Il piccolo si dimena, tende le braccia verso di me e io lo prendo subito, stringendolo forte.
<<Shh, amore mio, va tutto bene. Mamma è qui>>.
Hvitserk ci osserva, immobile. Il suo sguardo passa da me al bambino, e per un attimo vedo qualcosa spezzarsi in lui. Il suo respiro si blocca, le labbra si socchiudono in un'espressione confusa, quasi incredula. <<Lui...>> balbetta. <<Lui è...?>>
Annuisco, senza bisogno di aggiungere altro. Johannes si rifugia contro il mio petto, ma poi, con la curiosità tipica dei bambini, alza lo sguardo verso Hvitserk. Lo studia, lo fissa con lo stesso sguardo intenso che ha sempre avuto. Gli asciugo le guance paffute bagnate di lacrime lasciandogli un bacio sulla tempia.
Hvitserk allunga una mano esitante. <<Posso...?>>.
Gli porgo il bambino, e per un istante temo che Johannes si ritragga. Ma poi, con un'esitazione dolce, si lascia prendere.
Hvitserk lo tiene come se fosse qualcosa di fragile, di prezioso. Lo osserva come se cercasse di imprimersi ogni dettaglio nel cuore. Johannes appoggia le piccole mani sulle guance del padre e lo accarezza, poi si stringe a lui, infilando la testolina nell'incavo del suo collo. Hvitserk trattiene il fiato. Una lacrima gli scivola lungo la guancia, silenziosa.
<<Abbiamo un bambino, Martha>>.
La sua voce è un sussurro, come se pronunciare quelle parole ad alta voce le rendesse reali.
<<Io e te abbiamo un bambino>>.
Annuisco, sentendo gli occhi pizzicare di nuovo. Lui ci stringe entrambi in un abbraccio, unendo la sua fronte alla mia. Chiudo gli occhi e mi lascio avvolgere dal suo calore, dalla sua presenza.
Ma qualcosa mi sfugge. Il battito del suo cuore è irregolare, e la sua presa su di me non è solo quella di un uomo felice. È quella di un uomo che ha paura. Di cosa, non lo so. Non ancora.
L'aria dentro la casa lunga è densa di un silenzio opprimente, rotto solo dal crepitio delle fiamme che danzano nel grande focolare. Il buio sembra inghiottire ogni angolo, e il volto di Rebeka, sprofondato nella penombra, è pallido come la luna. I suoi occhi sono vuoti, il suo sguardo fisso su un punto lontano, ma non lontano abbastanza da nascondere il dolore che le lacera l'anima. Non la riconosco subito. Non è la stessa donna che rideva e scherzava con me, quella che si metteva a ballare quando il vino la faceva sentire invincibile. Ora è ridotta a una persona che sembra vivere solo per sopravvivere. Si aggrappa alla sua coppa come se fosse l'unica cosa che la tiene ancorata a questa vita.
<<Rebeka?>> la chiamo a bassa voce, il mio cuore che accelera quando la vedo così cambiata. Il suo corpo si contrae, come se il mio nome fosse un colpo, ma non si gira. Non subito. Quando finalmente alza lo sguardo, il suo viso è segnato da un dolore profondo, un vuoto che non ha parole. <<Martha...>>. La sua voce è un sussurro, carica di rammarico e frustrazione. Non riesco a capire se è per me, per sé stessa, o per qualcun altro. Non capisco cosa stia succedendo, ma so che non è la mia amica che vedo davanti a me.
Senza dire una parola, mi avvicino. La abbraccio, e lei non mi respinge. Ma nemmeno ricambia. È come se il suo corpo fosse una casa vuota. La stringo più forte, cercando di farle sentire che ci sono, che non l'ho abbandonata. Ma lei non reagisce. La sua testa si appoggia sulle mie spalle, e un singhiozzo le scuote il corpo. È soffocato, come se stesse lottando contro una marea che la sta inghiottendo.
<<Rebeka...>> sussurro, mentre la sento tremare contro di me. <<Che cos'è successo?>>
Dopo un istante che mi sembra eterno, lei si stacca da me, ma non mi guarda negli occhi. Ha paura di farlo. Come se il contatto visivo potesse bruciarla. Abbassa la testa, le mani tremano mentre accarezza la coppa, come se fosse l'unica cosa a tenerla ancorata alla realtà. Poi, la sua voce esce piano, come se ogni parola fosse una ferita aperta. <<Ho avuto un bambino, Martha. Un bambino che non è mai stato...>> la sua voce si spezza. Le parole mi colpiscono come un pugno. So già cosa sta dicendo. Non c'è bisogno di spiegazioni. La sua sofferenza mi trafigge, mi lacera, ma non dico nulla. Non oserei interromperla. <<Era... storpio>>.
Il termine le esce con dolore, come se fosse una punizione che si porta addosso. Ogni parola sembra pesare più di un macigno, e la sua voce è sempre più rotta. Il mondo sembra fermarsi mentre il mio respiro si fa più corto. Non c'è bisogno che Rebeka continui. So cosa è successo. So cosa significa. Ivar... lui l'ha lasciato lì. Ha abbandonato quel piccolo corpo fragile come se fosse niente. Come suo padre Ragnar avrebbe fatto con lui se non ci avesse ripensato.
<<Ivar...>> riesco solo a sussurrare, ma lei scuote la testa. <<Non è solo lui>> dice con voce tremante, <<Io... io l'ho perso. Era mio figlio, Martha, ed io l'ho perso. Non sono riuscita a salvarlo. Non sono riuscita a proteggerlo>>. La vedo crollare, le mani che stringono i vestiti come se volesse strappare via il dolore che si aggrappa a lei. <<Non sono riuscita a fare nulla>>.
Il suo pianto esplode, silenzioso ma devastante. Ogni singhiozzo è un taglio, e il suo corpo è scosso da un dolore che sembra impossibile da sopportare. Mi inginocchio accanto a lei, la prendo per le spalle e la costringo a guardarmi. Ma quando finalmente i suoi occhi incontrano i miei, vedo un vuoto assoluto. Un abisso che inghiotte ogni speranza. Non so cosa dire, come consolarla. Non ci sono parole che possano alleviare il suo tormento.
<<Non sono stata abbastanza forte>> sussurra, come se stesse parlando a se stessa. <<Non ho fatto abbastanza per lui>>.
Non riesco a rispondere, non posso. Perché so che la verità che Rebeka non vuole ammettere è che il suo bambino non c'era più, e non c'era nessun rimedio a quella perdita. Nulla al mondo avrebbe potuto farle tornare indietro quello che è stato strappato via così brutalmente.
Alza lo sguardo dal mio collo e i suoi occhi si posano su Hvitserk, lontano da noi. E' accanto a Ubbe e Bjorn e tiene tra le braccia il piccolo Johannes.
E in quel silenzio, quando i suoi singhiozzi si placano e il suo respiro si fa più calmo, mi accorgo che Rebeka sta cambiando. La sua espressione cambia in un battito di ciglia. Si irrigidisce, il corpo teso, e la paura attraversa i suoi occhi come una tempesta. Mi giro e capisco cosa sta guardando. Deve essere orribile vedere Johannes quando lei ha perso il suo bambino.
<<È cambiato, Martha. Non lo riconosco più. È come se non fosse più lui>>. Rebeka si ferma, la bocca che si apre e si chiude senza trovare le parole giuste. <<Non è solo la sua felicità a essere diversa... È... come se non fosse più in grado di guardarsi dentro>>.
Non capisco subito, ma lo capisco dopo, quando il suo volto si contorce e si perde in un sorriso amaro. Sta parlando di Hvitserk.
<<È come se fosse distratto, Martha. Come se qualcosa lo stesse consumando dentro. E non è solo la guerra. Non è solo la sua follia per il potere. È come se...>>.
Si ferma, non riesce a dire di più. Ma io lo capisco. E un brivido freddo mi percorre la schiena.
E' successo qualcosa, non so cosa, sicuramente non è solo il tempo passato. Ci sono altre cose che lo stanno consumando. Rebeka abbassa lo sguardo, come se avesse appena rivelato troppo.
<<Non so se posso più aiutarlo, Martha>>. Il suo respiro è pesante. <<Ma tu devi essere pronta>>.
La guardo senza capire. Sono spaventata e anche curiosa. Le prendo il volto tra le mani, guardandola. <<Rebeka. Che cosa è successo?>> le chiedo ma il suo sguardo va oltre di me, posandosi su Hvitserk.
L'aria nella casa lunga è pesante, satura di fumo e dell'odore acre del fuoco che si sta spegnendo nel braciere. Il silenzio tra me e Hvitserk è più rumoroso di qualsiasi battaglia, più soffocante di qualsiasi nebbia. Lui è lì, seduto sul bordo del letto, con le mani intrecciate e i gomiti appoggiati sulle ginocchia. Non mi guarda.
Io invece non riesco a distogliere lo sguardo da lui. Ho atteso questo momento fin da quando l'ho rivisto, fin da quando i suoi occhi si sono posati su di me con quello strano miscuglio di gioia e colpa. Sapevo che c'era qualcosa che non mi aveva detto. Adesso voglio la verità.
<<Per quanto tempo pensavi di mentirmi?>> la mia voce taglia il silenzio come una lama. Hvitserk solleva appena lo sguardo, le mascelle serrate. Non risponde subito. Sta scegliendo le parole, cercando di salvarsi.
<<Non ti ho mentito>>.
Rido, ma il suono è velenoso. <<Non mi hai detto la verità, che è la stessa cosa>>.
Lui sospira e scuote la testa. <<E quale verità vuoi sentire, Martha?>>
Mi avvicino, con il cuore che mi martella nel petto. Ora lui è in piedi, lo sguardo basso, le mani serrate in pugni ai lati del corpo. Io lo fisso, il respiro spezzato dall'ira che mi travolge come un'onda.
<<Dimmi che non è vero>>.
La mia voce è un filo di veleno, carico di rabbia e disgusto. Hvitserk solleva lo sguardo, e nei suoi occhi non c'è pentimento. Solo una dannata rassegnazione. <<Non posso>>.
Un lampo mi attraversa la mente, il cuore mi martella nel petto. Il fiato mi si spezza nei polmoni. Mi avvicino, con il cuore che mi martella nel petto.
<<Dimmi delle altre donne>>.
Lo vedo irrigidirsi, la sua espressione si fa tesa. Se potevo sperare che negasse, che mentisse almeno per darmi un briciolo di conforto, mi rendo conto che non lo farà.
<<Non significavano nulla>>.
<<Quante?>> sibilo.
Lui non risponde. Si passa una mano tra i capelli, il viso ombrato dalla luce delle fiamme. <<Quante, Hvitserk?!>> urlo, facendo un passo verso di lui.
<<Non lo so>>. La sua voce è un sussurro, ma colpisce più di un pugno nello stomaco.
Scoppio a ridere, una risata amara, vuota. Lo fisso con disprezzo. <<Non lo sai? Ne hai avute così tante da aver perso il conto?>>.
Lui chiude gli occhi per un istante, scuotendo la testa.
<<Non significavano niente>>.
<<Non significavano niente?>> ripeto, incredula. Il furore mi monta nel petto, mi brucia sotto la pelle. <<Non mi interessa se significavano qualcosa o meno!>> grido, avanzando di un altro passo. <<Voglio sapere quante, voglio sapere quando, voglio sapere perché!>>
Hvitserk si alza di scatto, facendo un passo verso di me, il viso teso, lo sguardo infuocato. <<Vuoi davvero saperlo?>> ringhia, la voce piena di rabbia e disperazione.
<<Vuoi davvero sentire tutto?>>
<<Sì!>> urlo.
Ci fissiamo, con i nostri cuori che battono forte, le nostre emozioni che ci spingono sull'orlo di qualcosa di pericoloso. <<Mi hanno detto che eri morta, Martha. E.. ho cercato di riempire il vuoto che hai lasciato. L'ho fatto con il vino, l'ho fatto con la battaglia, l'ho fatto con... altre donne>>. Un coltello mi trafigge il petto. Un dolore sordo, profondo. Sento il sapore della bile in gola, ma non distolgo lo sguardo. <<Eri ubriaco?>> sibilo, stringendo i pugni. Hvitserk scuote la testa, facendo un passo ancora più vicino. Il mio respiro si blocca. <<Ho bevuto pozioni, Martha>>. Aggrotto la fronte. <<Pozioni?>>. Lui annuisce. <<Come quelle dei veggenti, quelle che permettono di vedere oltre, di parlare con gli dei>>.
Scoppio a ridere, ma è una risata carica di veleno. <<Ah, certo. E che cosa ti hanno detto gli dei mentre ti fottevi un'altra donna, Hvitserk?>>.
I suoi occhi si accendono di rabbia. <<Non parlare di loro in quel modo!>> ringhia, serrando i pugni. Mi scappa un altro ghigno amaro. <<Oh, quindi ora le difendi? Ti hanno aperto la mente, forse? Ti hanno mostrato il destino mentre avevi le gambe di una puttana avvolte intorno alla vita?>>.
Hvitserk fa un passo minaccioso verso di me, il respiro pesante. <<Non capisci, Martha! Io non ero me stesso!>>. Hvitserk sferra un pugno contro il tavolo, rovesciando una coppa di legno. <<Io pensavo che fossi morta, dannazione!>> urla, gli occhi lucidi di rabbia. Lo guardo, il respiro spezzato, le lacrime che mi bruciano gli occhi. <<E quindi cos'hai fatto? Ti sei ubriacato? Hai preso qualche pozione per dimenticare?>> sibilo, velenosa. Hvitserk solleva il mento, fiero, ostinato. <<Non erano solo pozioni>>. Scuoto la testa, incredula. <<Oh, certo. E ora che cosa sei? Un veggente? Un prescelto degli dei?>>.
<<Non capisci!>> ringhia lui, avanzando ancora. <<Le pozioni aprono la mente! Ti fanno vedere cose che gli altri non possono comprendere!>>
Scoppio di nuovo a ridere, con disprezzo. <<E cosa hai visto, Hvitserk? Gli dei ti hanno mostrato la via mentre avevi una donna sotto di te?!>>. Hvitserk scatta, con uno sguardo furioso. La mia mano parte prima che io possa fermarmi. Ma lui è più veloce. Mi afferra il polso con una presa di ferro, stringendolo con una rapidità impressionante. <<Non osare mai più alzare la mano su di me>>. La sua voce è un sussurro pericoloso. Lo fisso, il petto che si alza e si abbassa furiosamente. Provo a liberarmi, ma lui stringe più forte. <<Altrimenti?>> lo sfido guardandolo negli occhi. Hvitserk stringe il mio polso con più forza, tanto che sento le ossa dolere sotto la sua presa. Il suo sguardo è un incendio pronto a divorarmi.
<<Altrimenti potresti scoprire che non sono più l'uomo che conoscevi>>.
Un brivido mi corre lungo la schiena, ma non abbasso lo sguardo. Non gli darò questa soddisfazione. <<Ah sì?>> sibilo, sporgendomi appena in avanti. <<E chi sei, adesso? Un uomo che si rifugia nelle sue dannate pozioni per sfuggire alla realtà? Un codardo che si fa consolare da donne che non contano nulla?>>. Le sue dita fremono attorno al mio polso. Per un attimo temo che possa farmi male davvero. Poi, con un gesto brusco, mi lascia andare. Indietreggio di un passo, massaggiandomi la pelle arrossata. Il respiro mi brucia nei polmoni, il cuore mi martella nel petto. Hvitserk mi fissa, il suo volto una maschera di furore e tormento. Poi passa una mano tra i capelli, come se cercasse di raccogliere i pensieri.
<<Tu non capisci, Martha>>.
Mi avvicino ancora, il cuore mi batte così forte che sento il sangue pulsarmi nelle orecchie. <<Mentre tu eri con altre donne, io attraversavo l'inferno, Hvitserk!>>. Lui stringe i denti, la mascella tesa. <<Io portavo in grembo nostro figlio, da sola! Io partorivo, da sola! Io crescevo un bambino, da sola!>>. Le mie parole sono coltelli che gli affondo nel petto, ma lui non cede. Al contrario, il suo sguardo si fa più duro, il respiro più pesante. <<Tu hai scelto di essere sola, Martha>>. Rimango di sasso. Ferita. Hvitserk fa un passo verso di me, gli occhi che bruciano di rabbia. «Tu hai scelto di tradire me e mio fratello! Hai scelto di voltare le spalle alla tua gente! E ora vieni a dirmi che eri sola?!>> Rimango senza fiato.
<<Io non ho scelto nulla!>> grido, spingendolo via da me.
<<Non ho scelto la guerra, non ho scelto di fuggire come una criminale! Io ho fatto quello che dovevo per sopravvivere! Per salvare mio figlio!>>.
<<Tuo figlio?>> ringhia lui, avvicinandosi di nuovo, il volto a pochi centimetri dal mio.
<<Lui è anche mio figlio, Martha!>>. Scuoto la testa, le mani che tremano. <<No. Non ti sei comportato come un padre. Un padre non abbandona la madre di suo figlio. Un padre non va a letto con altre donne mentre il suo bambino nasce dall'altra parte del mare!>>. Hvitserk sferra un altro pugno contro il tavolo, rovesciando una coppa di legno, gli occhi lucidi di rabbia.
<<Pensavo fossi morta>>.
<<E questo ti ha dato il diritto di dimenticarmi così in fretta?!>> urlo, la voce spezzata dal dolore. <<Di gettarti tra le braccia di altre donne come se io non fossi mai esistita?!>>. Hvitserk ride, una risata amara, spezzata. <<Tu non capisci...>>.
<<Allora spiegamelo!>> lo sfido, avanzando di un passo, stringendo i pugni. <<Spiegami come hai potuto sostituirmi così facilmente!>>. Lui scuote la testa, il petto che si alza e si abbassa furiosamente. <<Non era facile, Martha! Niente di tutto questo lo è stato!>> grida, passandosi una mano tra i capelli. <<Volevo trovare un senso a tutto questo!>> urla, battendosi il petto con un pugno. <<Volevo liberarmi di questo tormento, ma l'unica cosa che ho trovato è stato altro dolore! Altre ombre! Altre dannate notti senza sonno!>>.
Lo guardo, il cuore che mi martella nel petto. <<E le donne? Anche quelle facevano parte di questo tuo... viaggio?>>. Lui serra la mascella. <<Rispondimi!>> grido, le lacrime che mi bruciano gli occhi. <<Mentre mi domandavo se fossi ancora vivo... tu eri qui, a perdere te stesso tra le gambe di qualche sconosciuta!>>.
Hvitserk sferra un pugno contro il tavolo, rovesciando una coppa di legno. <<Io pensavo che fossi morta, dannazione!>> urla, gli occhi lucidi di rabbia. <<E questo giustifica tutto?>> sibilo, avvicinandomi ancora. <<Giustifica il fatto che, mentre io combattevo per la mia vita e per quella di nostro figlio, tu trovavi conforto nel letto di altre donne?>>.
Lui stringe i pugni, il respiro affannato. <<Non era conforto, Martha! Era disperazione! Era vuoto! Non sai cosa significa svegliarsi ogni giorno con il terrore di aver perso tutto!>>.
Rido, amara, scuotendo la testa. <<Oh, credimi, lo so fin troppo bene>>. Hvitserk si passa una mano sul volto, frustrazione e colpa che si mescolano nella sua espressione. <<Non significavano nulla...>> mormora, quasi per convincere se stesso più che me. <<Nulla?>> scatto io, incredula. <<E questo dovrebbe bastarmi? Dovrei sentirmi meglio, sapendo che mi hai tradita con donne di cui neanche ricordi il nome?>>.
Lui si volta di scatto verso di me, gli occhi ardenti. <<E tu? Hai mai pensato a quello che ho passato io?! Ho perso tutto, Martha! Mio fratello mi ha voltato le spalle, ho vissuto con il fantasma del tuo volto che mi tormentava ogni notte! Ho un figlio che non conosco neanche! Non c'era modo di sopportarlo! Non senza pozioni>>. Lo fisso, incredula.
<<Tu non sei un veggente, Hvitserk. Non sei un profeta. Sei solo...>>.
<<Sono solo un uomo che cercava risposte!>> esplode, facendo un passo verso di me.
<<Cercavo qualcosa che desse senso a tutto questo dolore! Ma l'unica cosa che ho trovato è stata altra confusione, altre notti inquiete, altre ombre!>>
Lo guardo con il fiato corto, il petto che si alza e si abbassa rapidamente. <<Tu ti sei perso...>> sussurro, quasi con timore. Lui mi afferra per i polsi, stringendoli con forza. <<E tu mi hai lasciato perdere!>>. La sua presa è dura, feroce, ma non abbastanza da farmi cedere. <<Io ti ho lasciato?!>> urlo, lacerata dalla sua accusa. <<Tu, Hvitserk... tu hai scelto di dimenticarmi>>. Grido di frustrazione, sento le lacrime bruciarmi gli occhi. La sua espressione cambia per un istante. Rabbia e dolore si fondono in qualcosa di più profondo, più oscuro. <<Il tuo tormento non viene dagli dèi, Hvitserk!>> urlo, piantandogli un dito contro il petto. <<Viene dalle scelte che hai fatto! Dalle notti che hai sprecato, dai corpi che hai usato, dalle menzogne che hai raccontato a te stesso!>>.
Le sue mani scattano, afferrandomi i polsi con forza. <<E tu?>> sibila, il respiro caldo contro la mia pelle. <<Tu credi di essere senza peccato, Martha? Tu credi di essere migliore di me?>>.
<<No!>> grido, cercando di liberarmi dalla sua stretta. <<Non sono migliore di te, ma almeno io ho combattuto per qualcosa di vero! Io ho scelto la vita! Tu hai scelto la fuga!>>. La sua presa si stringe. <<Tu hai scelto di lasciarmi indietro!>>.
<<Tu hai scelto di dimenticarmi!>> ripeto sentendo una lacrima scappare dal mio controllo.
Ci fissiamo, la distanza tra noi ridotta a un soffio. Il nostro dolore è un incendio che ci consuma entrambi. Poi, un pianto squarcia l'aria. Johannes. Il suo pianto arriva dalla sala principale, un suono disperato che mi trafigge il cuore come una lama. Il respiro mi si mozza in gola. Hvitserk lascia il mio polso. Ci fissiamo per un lungo istante, il silenzio teso tra di noi, interrotto solo dai singhiozzi di nostro figlio. Senza dire una parola, mi volto e corro fuori dalla stanza.
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