Sei.
7 Aprile.
All’appartamento vengo raramente e in orari davvero improbabili, per te. Per tenerti al sicuro. Ieri ti ho procurato una scheda ricaricabile e mi hai detto di aver risolto alcune cose, che tra qualche giorno verranno a prenderti persone di cui ti fidi, ma che non sai ancora la destinazione. Probabilmente non ci vedremo e non ci sentiremo per un po'. Io non sono preoccupata per questo Federico, solo che io non mi fido più di nessuno, e forse non dovresti nemmeno tu, ma sei adulto e probabilmente sai molte più cose di me. Ti chiedo anche di Ciro e mi dici che anche lui sta bene e che presto finirà tutto.
Questo "finirà tutto" mi spaventa, ma tu mi abbracci e va meglio.
«Ti aspetterò qui ok? Quando sarà tutto finito…Sappi che alle 18 di ogni giorno verrò qui ad aspettarti»
Abbiamo fatto l’amore.
Come sempre era un addio.
9 Aprile.
All’appartamento non ci sei più.
Mi siedo a terra e piango, mi rialzo e do una pulita. Elimino ogni traccia di te -non si sa mai- ed apro le finestre.
Sdraiata sul letto mi addormento. Chissà quando tornerai qui con me.
Le carte sono ancora qui, non so se sia sicuro. Potrebbero venire da un momento all’altro, ma non me la sento di gettarle via. So che sono cose importanti, mi hai sempre detto di farci attenzione. Per questo le metto nella mia borsa, finisco di sistemare tutto, chiudo le finestre e vado via.
A casa tiro fuori la scatola e le posiziono all’interno. La curiosità però mi stuzzica, penso di sbirciare ma forse oggi non mi va, sono stanca. Forse anche perché so che in quelle carte troverò un Te che non conosco. Non sono ancora pronta.
10 Aprile.
Spero che ti faccia vivo in qualche modo, anche solo per farmi sapere che stai bene, che di queste persone posso fidarmi anche io.
Tra due giorni è Pasqua e io sarei dovuta essere a Barcellona da Manuel. Con lui non ci parlo da due giorni, l’ultima volta abbiamo giustamente litigato.
Gli ho detto la verità, Fede. Certo, non questa situazione qui, ma gli ho detto che siamo stati a letto e che io purtroppo ancora ti amo. Che pensavo di averti dimenticato, di averti superato, ma mi è bastato rivederti in centro per capire che in realtà non avevo mai smesso di amarti.
Ti ho odiato, questo è sicuro, ma non mi sei mai stato indifferente… e questo significa già tanto.
Manuel si è arrabbiato, ma mi ha anche detto che mi ama e che se fossi partita con lui per Londra sarebbe stato disposto a dimenticare tutto.
Sarebbe stata un’ottima occasione: Londra, un’altra vita lontana da qui, lontana da questo caos, da questo Te che mi spaventa; ma cosa avrebbe risolto? Avrei mentito anche a me stessa.
Come si può vivere accanto ad una persona consapevole di amarne un’altra? È troppo crudele anche per me.
Ho sbagliato già abbastanza convinta che “lontano dagli occhi, lontano dal cuore” fosse la soluzione a tutto, ma non è giusto. Manuel merita di più e forse anche io.
Manuel merita una ragazza che ami solo lui, splendido com’è, ma purtroppo io non posso dargli il mio cuore, né qui, né a Barcellona e né a Londra, perché il mio cuore, Fede, te lo sei già portato tu chissà dove.
12 Aprile.
Pasquale mi ha regalato l’uovo di Pasqua. Non ne ricevevo uno da quando ero bambina. Mi piace Pasquale. Mi piace perché da quando c’è lui mia mamma è una persona nuova, è più allegra e anche più bella. Adesso parla anche di Nicola e la cosa mi fa star bene, perché anche io posso concedermi di avere ricordi con lui, con mio fratello.
È Pasqua, il sole splende nel cielo e una chiamata da un numero sconosciuto illumina il display del mio cellulare, sei tu? Col cuore in gola mi precipito a rispondere.
Non sei tu.
«Nina?»
«Sì? Con chi parlo?»
«Ciao Nina. Sono la madre di Federico, vorrei poterti parlare… è possibile incontrarci?»
Sono le 16 circa e in villa c’è un po' di gente. La riconosco, seduta su una panchina con su degli occhiali da sole. È una bella donna, forse sulla cinquantina con capelli rossi ramato, lunghi e un fisico asciutto. Guarda verso le giostre e un bambino più volte alza la mano per salutarla, forse per assicurarla di vederla o che lei lo veda. Lei fa lo stesso.
In silenzio mi siedo accanto a lei nella panchina vuota.
«Vedi quel signore? Tiene gli occhiali da sole, ha quel giubbotto di pelle nera: era sotto casa, mi ha seguita. E non è l’unico. Dietro mio nipote, dietro quell’albero, vedi? Ce n’è un altro. Mi stanno alle calcagna, eppure io ho già detto loro che non so dove sia mio figlio. Non ho sue notizie da settimane e in realtà di tutto questo casino ho scoperto tutto dalla televisione. In più di un anno due volte il mio cuore si è fermato, solo che questa volta è peggio perché non so nemmeno se stia bene. È per questo che ho chiamato te. Mi dispiace di averti detto quelle cose, ma non sapevo che tra di voi ci fosse affetto. Io mi sento in colpa, perché per scelte sbagliate mie e di suo padre, Fede ha cominciato a fare affari. Avrei dovuto tenerlo fuori, dopo la fine di suo padre.
Quando penso a quello che lo circonda mi sento fallire. Forse avrei dovuto dirgli prima che i soldi non sono tutto nella vita, che piuttosto che avete cento locali ne basta avere uno in modo onesto. Ma qui, Nina, come ovunque, il confine tra onestà e disonestà è davvero sottile. Oggi sei una brava persona, domani non lo sei più. Non posso dire che i soldi non abbiano fatto comodo pure a me, sarei un'ipocrita… ma sarei disposta a vivere in strada se mi dicessero dov’è mio figlio. Che sta bene. Sono settimane che non dormo, ho paura e non mi spiego il perché.»
La lascio parlare, ascolto in silenzio tenendo anch’io lo sguardo sul bambino che scende e sale su per lo scivolo.
Non sapevo che Federico avesse un nipote, ma dopotutto sono parecchie le cose che di lui non conosco davvero.
«Tu sai dov’è? L’hai visto? Ho bisogno di sapere»
È tua mamma Fede e vederla così mi fa star male, ma decido di non dirlo. Se ci sono uomini che le stanno addosso magari avranno fatto in modo che ci sia qualche microfono anche nelle nostre vicinanze, o non so… Non è di lei che non mi fido, certo, ma preferisco dirle una bugia.
«Non vedo Fede da prima dell’inaugurazione, gli avevo detto “Addio”»
Lei sospira. Le sue speranze sono crollate e a quanto pare le aveva riposte tutte su di me. Qualche lacrima le bagna il viso, ma con gli occhiali non riesco a leggere bene i suoi occhi.
«Non ci posso credere che quella puttana se lo sia venduto così. L’avesse fatto per onestà avrei capito, ma farlo perché ti associ ad un altro clan mi fa schifo. Mio figlio l’avrà tradita un sacco di volte, ma non è la stessa cosa andare con puttanelle rispetto a questo.»
La guardo, cosciente del fatto che mi abbia dato della puttana, ma nemmeno questa volta dico niente, perché non serve. Eppure lei continua, come se in qualche modo avesse ascoltato i miei pensieri:
«Non mi riferisco a te, Nina. Non lo sapevo, ma ora lo so che non eri una delle tante. E se non mi credi, pensa solo al fatto che tra tante io abbia chiamato solo te. Speravo che tu potessi sapere. Ho capito che eri diversa quella volta all’appartamento»
Si ferma, toglie gli occhiali e mi guarda. I suoi occhi rossi di pianto e di chissà quanti giorni in veglia si illuminano: ha pensato all’appartamento.
«Dobbiamo andare a controllare»
Ho fatto bene Fede a non dirle nulla. Sei scappato qualche giorno fa da quel posto, ma tua mamma è così disperata che sarebbe corsa lì a controllare; solo che con sé avrebbe portato la polizia che la segue.
Poi però rinsavisce e mi dice che lei non può «Ci devi andare tu.»
Non sarei potuta venirci nemmeno io, adesso. Ci hanno viste parlare, di sicuro a questo punto non sarò ignorata nemmeno io.
Le prendo il braccio e la faccio sedere di nuovo dov’era.
«Deve stare tranquilla. Sta bene!» sussurro quasi.
Mi guarda, sembra non capire poi le dico che si deve fidare di me e basta; ma che all’appartamento può andarci anche lei, perché non c’è, perché ci sono stata appena ieri a controllare ma non c’era nessuno.
Lei si fida. Annuisce e con la mano chiama il bambino.
Non le chiedo chi sia, ma lo guardo. Lo sai Fede, ti somiglia.
«Lui è Luigi, il figlio della sorella di Fede. Saluta Luigi»
Il bambino mi saluta con un bacio e io faccio altrettanto. Avrà circa 4 anni e sembra spensierato. La nonna gli da la mano e se ne vanno, lasciandomi lì seduta su quella panchina ancora per un po'.
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