Cinque.
5 Aprile
Non ho preso il volo. Manuel capirà, anzi no ma è giusto così. Sono giorni che sto male e ti penso. Sono giorni che di te si sono perse le tracce e sono sicura che tu sappia cosa stia facendo, ma ho paura lo stesso; che ne sarà di te? E di noi?
La cosa strana è che sono passati mesi, ma improvvisamente mi manchi da morire. Mi manca tutto di te. Mi mancano i pomeriggi passati stando abbracciati sul letto mentre mi accarezzavi i capelli; i pomeriggi di sole, ascoltando musica e canticchiando; quelli trascorsi al pub mentre tu preparavi l’inventario e ogni tanto mi chiedevi consigli su alcolici, pur sapendo che non ci capivo nulla, solo per non farmi annoiare -che poi non te l’ho mai detto, ma non mi annoiavo- ; i pomeriggi in cui mi guardavi, ridendo e dicendo che ti facevo impazzire. I pomeriggi belli, belli come te.
Era un idea stupida: dirti Addio non ha funzionato per escluderti davvero dalla mia vita.
Mi manchi così tanto.
Mi manchi da impazzire.
Mi manchi che ho bisogno di stringere qualcosa che mi porti a te.
È per questo che mi alzo dal letto, dove sono stata rintanata per giorni, e tiro fuori la scatola. È per questo che improvvisamente mi ricordo un dettaglio che, non so per quale motivo, non avevo preso in considerazione: le chiavi.
Sono abbastanza incerta che tu abbia lasciato la stessa serratura dopo tutto questo tempo. Non sono sicura nemmeno che tu abbia ancora quell’appartamento, ma mi manchi così tanto che decido di scendere e fare un giro "per caso" da quelle parti.
Alla porta non so cosa aspettarmi di preciso: mi aspetto la targhetta di sconosciuti o magari tua e di Lucrezia. Dopotutto so che convivete, o almeno convivevate. Ancora non posso crederci che ti abbia fatto ciò. Alla faccia della donna troppo innamorata.
So poco dei tuoi sporchi affari, Fe. Non li voglio nemmeno conoscere, ma -vedi- io ti amo così tanto che posso dirti per certo che non ti avrei mai tradito.
5Aprile 15.42
È la terza volta che passo davanti al portone, dall’altro lato della strada. Cosa sto facendo? Non lo so nemmeno io.
Questa volta però, da fuori, noto che il gabbiotto di Gino è vuoto: è il momento più giusto per entrare e quindi entro.
Corro fino al quinto piano nella speranza di non incontrare nessuno. “È legale questo?” mi chiedo in piena ansia, trovandomi di fronte alla porta dell’appartamento.
Non c’è nessuna targhetta fuori; ora c’è da capire solo se la serratura sia stata cambiata. Non ne abbiamo mai parlato, nemmeno quando ci siamo incontrati le ultime due volte.
Inserisco la chiave nella toppa e sento che, sebbene con un po’ di difficoltà, la chiave gira. Ora, Fede, ho paura più di prima. Hai lasciato le cose così com’erano qui? Con la mano cerco l’interruttore della luce, sulla parete sinistra dell’ingresso, in questa stanza vuota. Le finestre chiuse non consentono alla luce di entrare e questo buio mi fa pensare che forse non avrei dovuto.
È troppo tardi.
Chiudo dietro di me la porta e con la torcia del cellulare cerco di illuminare la stanza d’ingresso. A quanto pare la luce è staccata.
Il letto è sfatto, le mie cose sono qui. Non ci sei mai più entrato in questa casa Fe'? Sento la necessità di fare luce, di aprire le porte e far entrare il sole. Se non hai cambiato e toccato nulla, Fede, allora questo posto è ancora nostro. Anzi, mio. Eppure mentre mi avvicino alle finestre sento dietro di me dei passi.
Ho avuto così paura, Fede. Ho rischiato un infarto. Mi dici che non avevi nessun posto più sicuro di questo appartamento, ma quando ti dico che la polizia è venuta anche da me non sei più così tranquillo.
«Se sono venuti da te sanno che sei proprietaria di questo appartamento, Nina. Qui non sono più al sicuro, quindi»
Non so perché ma mi sento in colpa. Mi dici che invece ti ho salvato, perché se non fossi venuta a cercarti non avresti mai saputo che la polizia avesse conoscenza anche di me. Sei agitato, lo capisco. Dici che ti hanno incastrato, io non so se crederti Fe', in poco più di un anno essere incastrato due volte mi sembra un po' troppo per poter dire di essere pulito. È per questo che mi dici che non hai mai detto di essere innocente, ma che in questo casino davvero tu non c’entri. Che non c’entra nemmeno Ciro e quell’altro, ma che a quanto pare avete fatto incazzare qualcuno.
Ti siedi al tavolo e con una torcia mi mostri delle carte che tieni sistemate nelle cartelline. Alcuni fascicoli sul fondo della pila li riconosco, sono quelli che ti avevo sistemato sulla scrivania. Mi dici un sacco di cose, di me ti fidi.
«Se sei innocente come dici perché ti nascondi?»
«Non puoi capire certe cose, piccola. Non sono tutti puliti, nemmeno tra quelli che sono venuti a casa tua a chiedere di me: è per questo che devi fare attenzione anche tu, a te stessa»
«C’è qualcosa che posso fare?»
Mi dici di no, che non hai intenzione di espormi così tanto.
Improvvisamente capisco che devo dirtelo. Non te l’ho mai detto, ma ora devo farlo
«Fede... io ti amo»
Mi sorridi, mi accarezzi con dolcezza mentre mi guardi: lo sapevi già.
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