CAPITOLO 8
MURIEL'S POV
Erano passati più di cinque minuti da quando ci eravamo fermati. Giungemmo in un punto abbastanza lontano per poter parlare privatamente, ma da riuscire ancora a scorgere i bagliori della mia abitazione tra le fronde dei pini marittimi.
Arthur si era semplicemente seduto su un tronco secco sdraiato sulla sabbia, che sotto il pallore della luna pareva polvere d'avorio. Aveva assunto la stessa posizione de Il Pensatore, ammirando il vuoto immerso in chissà quali pensieri, con una mano chiusa a pugno a sostenergli il mento, la schiena curva in avanti pareva appesantita da un sacco invisibile.
Quanto a me, avevo i nervi a fior di pelle. Mi ero poggiata a un arbusto alle mie spalle, tenendo le braccia incrociate al petto, l'attenzione rivolta al ragazzo in attesa di una sua reazione.
"Vuoi startene lì fermo a contemplare il nulla ancora per molto?"
Sussultò sorpreso, come se si fosse solo così accorto della mia presenza, e alzò il capo.
"Perdonami. Ero sovra pensiero." Tornò a fissare davanti a sé.
'Lo vedo' mi trattenni dal dirgli.
Mi avvicinai, volendo scrutarlo meglio: le sopracciglia corrugate e l'espressione tormentata mi fecero intuire che stesse vivendo una lotta interna. Era talmente assorbito dalla sua stessa mente da tenere gli occhi spalancati, come paralizzato, senza battere ciglio.
Decisi quindi di rompere il ghiaccio, ma, invece di lasciare che la mia impulsività prendesse il sopravvento, contai fino a dieci: mi domandai se, forse, non fossi stata troppo cattiva, se in fin dei conti non volesse davvero solo conoscermi e fosse semplicemente una persona molto estroversa.
Se, quindi, non fosse stata la sua indole socievole a mettermi in guardia, abituata a respingere questo tipo di approcci.
Presi una grossa boccata d'aria, maledicendomi per aver dimenticato il tabacco sull'amaca.
"Probabilmente penserai che sia una pazza arrogante e sociopatica. Non ho fatto altro che risponderti male, ignorarti e respingerti nonostante la tua ostinazione."
Arthur voltò il capo nella mia direzione, puntando le sue iridi scure nelle mie pallide. Affilò poi lo sguardo come per studiarmi meglio.
Quel gesto mi fece sentire troppo esposta: non avevo mai provato a parlare in termini pacifici così di mia spontanea volontà. Mi maledii per aver abbassato parte del mio scudo, quindi mi voltai nella direzione dell'oceano per focalizzarmi meglio su ciò che mi frullava in testa.
"La verità è che non mi fido di nessuno e ho le mie ragioni per farlo." Sospirai pesantemente. "Specialmente se si tratta di sconosciuti che ti seguono un po' ovunque."
Maledizione, Muriel. Sei riuscita a trattenerti per non più di venti secondi!
Come mi aspettai, sorrise. Sulle sue guance, illuminate di bianco dalla luna, spuntarono due piccole ombre.
"E quali sarebbero le tue ragioni?" Fu tutta la sua risposta.
Questa volta furono le mie labbra a incurvarsi verso l'alto, ma con atteggiamento sprezzante.
"Perché la vita mi ha insegnato che se offri una mano a qualcuno, poi si prenderà tutto il braccio." Tornai a fissarlo. Si era alzato in piedi, poggiando una spalla contro un tronco. Dalla sua espressione seria, e dal fatto che non avesse provato a colmare il silenzio con qualche inutile frase cliché, capii che mi stesse veramente ascoltando. Ciò mi invogliò a continuare.
"Perché, Arthur, ho imparato che esporsi e mostrare le proprie emozioni al mondo è come sanguinare di fronte a uno squalo. Le persone ti stanno vicino solo fino a quando gli fai comodo, se ne approfittano se ti mostri troppo disponibile, poi ti prosciugano a tal punto da non lasciarti neanche più l'amor proprio."
Pronunciai quelle parole tenendo un tono più piatto possibile, ma dentro di me avevano fatto più effetto di quanto avrei voluto, risvegliando l'antica rabbia che il mio cuore custodiva con cura. La sentii ribollire nel petto.
Mi venne la pelle d'oca, nonostante la calura estiva che permeava nell'aria, appesantita maggiormente dall'umidità notturna.
"Vorresti dirmi che anche le persone a cui vuoi bene sono così?" Pronunciò con estrema delicatezza.
Mi aveva appena smentita, lasciandomi basita qualche secondo.
Un moto di stizza mi percosse. Mi stavo impegnando parecchio per aprirmi così, l'ultima cosa che mi aspettai era di essere contraddetta.
Cercai di ricompormi. "Certo che no. Ma le ho scelte con cura: sono le uniche ad avermi dimostrato di non esserlo." Ridacchiai ironicamente. "E comunque, per la cronaca, si tratta semplicemente di Mathias e mia madre."
Arthur annuì con uno sguardo indecifrabile: da un lato pareva volesse comprendere le mie parole; dall'altro, sembrava totalmente contrario ad esse.
Staccò la spalla dal pino che lo sosteneva, muovendo un passo verso di me. La brezza notturna gli scompigliò lievemente le ciocche dai riflessi dorati, in quel momento resi argentei, e lo scollo della camicia che indossava si spostò un poco di lato, rivelando per alcuni attimi un petto pieno e asciutto.
Si fermò a meno di un metro da me. Gli arrivavo circa alla spalla, ma non mi feci intimorire.
Risollevai i miei spilli ghiacciati, pregando che non si fosse accorto di dove mi era scivolato l'occhio.
"Quindi sei convinta che sia anche io falso e ipocrita, che voglia necessariamente ottenere qualcosa da te, o sbaglio?"
Non vacillai. "Non ne sono sicura, lo so per certo."
Di colpo, mi ricordai cosa mi avesse detto Madison la sera precedente e mi illuminai. "E credo anche di sapere dove vorresti arrivare."
Il ragazzo fece schizzare un sopracciglio verso l'alto, apparentemente confuso. Mi trattenni dallo scoppiare a ridergli in faccia: ero convinta che avesse reagito così ignaro del fatto che conoscessi il suo piccolo segreto.
Non indugiai un attimo di più. "Ti piace Matt, vero?"
Fu come se il tempo si fosse bloccato per secondi che parvero un'eternità: subito l'unica reazione che vidi scaturire in lui fu...Sgomento? Testimoniato da un pesante silenzio. Sembrò avesse visto un fantasma da come tenne la bocca schiusa, la fronte corrucciata e le braccia molli lungo i fianchi. Non si aspettò di certo quell'affermazione.
Quando poi scoppiò a ridere, tutte le sicurezze che mi avevano sostenuto fino ad allora crollarono come un castello di carte mosso dal vento.
Parve non riuscisse a fermarsi, piegato in due dal divertimento e con le lacrime agli occhi.
"Aspetta...Mi stai dicendo che credi che sia gay?"
Questa volta fui io a sentirmi confusa più che mai. "Non è così?"
Di nuovo, dopo una breve pausa, in cui mi sembrò di sentire le rotelle del suo cervello girare per capire come fossi giunta a tali conclusioni, fragorose risate ruppero la quiete serale, sovrastando anche lo sciabordio delle onde.
Capii di aver toppato completamente.
Ma se non è così, vorrebbe dire che...
Madison mi aveva mentito. Allora Mathias aveva avuto ragione accusandola di volermi sviare per poter arrivare alla sua preda?
"Si può sapere come ti è venuta in mente una cosa del genere?" Cercò di ricomporsi raddrizzando la schiena. Strinsi i pugni, le dita mi formicolarono dalla vergogna.
Non seppi davvero cosa fare. Se gli avessi detto la verità, avrei fatto la figura della bambina che punta il dito contro il prossimo per scamparla. Inoltre, forse non sarebbe stato un bene se se la fosse presa con lei: solo la sera prima era venuta a implorare venia, non avrei mai voluto resuscitare il mostro di cui ero stata vittima al liceo.
Non che avessi paura di lei, ovviamente. Volevo solo evitare problemi.
"Ehm, credevo fosse così da...cioè..." Deglutii a vuoto sperando di prendere tempo, non sapendo che inventarmi. "Avevo intuito fosse così e basta." Sentenziai scocciata alla fine.
Un'altra folata di vento sferzò tra gli arbusti della pineta, scompigliando i miei corti capelli scuri.
Con un gesto quasi automatico, Arthur allungò una mano per spostarmi un ciuffo finitomi in viso. Non accorgendosene, nel gesto mi sfiorò il labbro inferiore.
Una scia di brividi si diramò da quel punto in poi e ringraziai il cielo che fosse notte. La mia carnagione, nonostante prendessi il sole praticamente tutti i giorni, era comunque abbastanza chiara da lasciare trasparire anche troppo le mie emozioni.
"Mi dispiace deluderti." Sorrise. "Ma temo tu abbia colto i segnali sbagliati."
Assottigliai lo sguardo, indietreggiando un poco. Non sembrò essersi offeso, per niente: anzi, parve quasi divertito.
La sua pacatezza mi destabilizzava: avessi dimostrato il rifiuto che avevo dato a lui a qualcun altro, sicuramente a questo punto avrebbe perso le speranze. Non riuscivo davvero a comprendere perché insistesse così tanto per vedermi.
Diedi voce ai miei pensieri. "Mi spieghi cosa vuoi da me? Non hai altre ragazze da inseguire? Sono sicura che non avresti problemi a..."
Trovare qualcun'altra che non sia un'asociale odiosa.
Mi trattenni dal concludere la frase, conscia del fatto che sarebbe stato pari al fargli un complimento.
Tutta questa situazione aveva creato una tale tensione per cui sentii solo voglia di scappare a gambe levate.
Le piccole ombre sulle sue guance non accennarono a voler sparire. "Quando quel giorno sentii la tua musica, fui come ipnotizzato. Potevo quasi toccare la malinconia che ne trapelava." Sussurrò guardandosi le punte delle scarpe, quasi provasse imbarazzo.
Per un secondo, un solo piccolo istante, mi era balenata in mente l'idea che potesse essere diverso. Ma in quel momento, dopo le sue parole, scemò con la stessa velocità con cui era apparsa.
Spostai il peso da una gamba all'altra, turbata. "Fammi indovinare: ti sei sentito una specie di crocerossina e hai deciso di salvare la mia povera anima in pena?"
Si avvicinò di nuovo, questa volta potevo distinguere il piccolo neo sul suo labbro superiore, nonostante ci fossero solo i fievoli raggi della luna a schiarire l'ambiente.
"Non è stata pietà, o compassione. Mi hai...Affascinato. I tuoi occhi anche adesso vogliono far trasparire diffidenza, ma ciò che vi colgo è tutt'altro."
Indietreggiai ancora, fino a scontrarmi con un tronco alle mie spalle. Mi sentii in trappola, sia fisicamente che emotivamente: il mio scudo sembrava non solo non aver avuto effetto su di lui, ma che addirittura l'avesse attirato.
La verità struggente però mi riportò con i piedi per terra: non aveva idea del peso che mi aveva portato a diventare ciò che ero, non poteva saperlo.
"Non mi conosci, Arthur." La voce mi tremò leggermente. Mi aveva smascherato. "Non far finta di potermi capire, nessuno potrebbe."
"Non sono così presuntuoso." Scosse lievemente il capo, per sottolineare la veridicità della sua affermazione. "Ma vorrei poterti dimostrare che non è come credi, almeno con me."
Per quanto possibile, si spostò ancora verso la mia posizione. Era una continua lotta di sguardi e, per la prima volta, sentii che quella che stava per cedere fossi io.
Di nuovo, chiusi in una morsa micidiale le mani per farmi forza e combattere l'impulso di abbassare il capo.
La mente mi urlava di andarmene, piantare in asso quello stravagante ragazzo che, per motivi a me ancora poco logici, insisteva nel volermi tormentare.
Potrebbe star mentendo. E se fossi solo una scommessa personale?
Scrutai con quanta più attenzione possibile il suo viso, cercando un qualunque segno che potesse tradire le sue stesse parole.
Ma constatai con rassegnazione che fu dannatamente sincero.
E la cosa più disarmante fu la gentilezza genuina che lessi nei suoi occhi. Le uniche persone ad avermi mai rivolto uno sguardo del genere erano state mia madre e il mio unico, migliore amico.
Forse questo mi fece disorientare, per cui quasi crollai.
Non abbassai però la guardia. "La fiducia è una cosa da conquistare."
Quanto odio averlo detto.
Questa volta le sue labbra si aprirono in un largo e spontaneo sorriso. Sembrò davvero felice, a mio parere troppo per una cosa così banale.
Fui certa dell'onestà delle sue parole. Eppure, qualcosa mi sfuggiva.
Che non sia tutta la verità?
"Certo, sono pienamente d'accordo." Mi destò dai miei pensieri. "Non ti deluderò."
Staremo a vedere.
All'improvviso, mi resi conto di quanto fossimo davvero poco distanti l'una dall'altro. Mi concessi di osservarlo ancora un po', catturata dai suoi tratti particolari. Maledii mentalmente la sua dannata bellezza.
Un richiamo in lontananza mi fece sobbalzare: era mia madre, che mi stava chiamando con quanto fiato avesse in corpo.
Mi resi conto che eravamo rimasti lì a parlare per almeno un ora.
"Credo di dover rientrare."
Arthur annuì. "Sì, si è fatto tardi." Sentenziò allontanandosi, finalmente. Percepii la tensione creatasi svanire con lentezza.
Rimanemmo in silenzio per un po'. Io mi sentivo come se mi avessero denudata nel centro di una piazza affollata: davanti a lui ero spoglia di tutto ciò che con fatica avevo costruito durante quegli ultimi anni.
Ma come si dice, tieniti stretto gli amici e ancora di più i tuoi nemici.
"Se posso permettermi - si schiarì la gola - vorrei invitarti ad una mostra. E' di un mio amico, che gentilmente mi ha concesso uno spazio per esporre anche qualcosa di mio."
Prese a tormentarsi le mani, segno che fosse nervoso. Ero sicura che tenesse molto all'evento e, con molta probabilità, anche al fatto che potessi esserci anch'io.
Sospirai. "Se non avrò da fare, forse farò un salto." Dissi con cautela.
Il ragazzo, se possibile, divenne ancora più raggiante, mentre io volli solo sotterrarmi.
"Ne sono felice. Allora" Tirò fuori una penna dallo zaino che aveva poggiato sulla sabbia. "Se ti andrà, vieni dopodomani alle 22 a questo indirizzo." Concluse scrivendomi le indicazioni sul dorso di una mano.
Il gesto fu così repentino che capii ciò che stesse facendo solo quando la penna smise di segnarmi la pelle, nel momento in cui mi sfiorò con il pollice le nocche rovinate e ancora tumefatte dagli ultimi allenamenti.
Ritrassi di scatto la mano.
"I-in...In caso decidessi di venire" Tentennai, cercando di di far finta che non fosse successo niente. "Potrei portare con me Mathias?"
Oltre ad aver avuto il mio confidente con me, mi sarei sentita meno a disagio in mezzo a tanti volti sconosciuti.
"Certamente." Affermò con il suo solito tono gentile. Fui grata che non avesse fatto domande su quanto visto poco prima. Sarebbe stato davvero troppo per me.
Poi, decisi che ne avevo avuto abbastanza di tutto quel miele.
"Ora se non ti dispiace, è davvero tardi." Dissi decisa volgendomi in direzione di casa mia.
Non aspettai una risposta. Quando poi arrivai ai scricchiolanti gradini in legno del portico, mi girai giusto per accennargli un mezzo saluto, accompagnato da un cenno del capo, gesto che ricambiò.
Aspettai che girasse l'angolo, che imboccava la stradina uscente dalla mia abitazione, e buttai fuori tutto il fiato che avevo trattenuto fino ad allora.
Dove sono le mie maledette sigarette.
Mi buttai malamente sull'amaca, aspirando con avidità una boccata di fumo. Mi sentii come se avessi sostenuto venti esami insieme nella stessa serata.
Chiusi gli occhi, lasciandomi cullare dai suoni che la natura regalava: il sibilo della brezza marittima, che con se portava il profumo della salsedine delle acque poco lontane da me, faceva danzare le fronde della boscaglia, che rilasciavano un dolce fruscio.
Un tocca sana per la mia mente incasinata.
Dei passi lievi mi destarono. Sollevai solo una palpebra in direzione di mia madre, che lentamente aveva raggiunto la mia comoda postazione.
"Tutto bene?" Chiese con dolcezza.
Aprii anche l'altro occhio: non aveva un'espressione preoccupata, probabilmente era solo curiosa.
Curiosa di sapere se Arthur fosse sopravvissuto alla mia ostilità.
"Magnificamente." Sfoggiai tutti i trentadue denti con palese ironia. "Direi che non potrebbe andare meglio di così."
Non le raccontai niente di quella sera. Speravo davvero che fosse capitato tutto solo nella mia testa, non volevo rendere tali eventi più reali di così.
Mamma aveva sempre rispettato molto la mia riservatezza. Sapeva che se non fossi stata io a parlarle, era perché avevo bisogno che fosse così.
Anche se quella volta intuii che si stesse sforzando parecchio: aprì e chiuse la bocca più volte, contemplando le assi in legno sotto di lei.
Di nuovo, la lieve melodia notturna venne interrotta. "Però devi ammetterlo: è piuttosto carino."
D'istinto, mi sarei girata di scatto verso di lei, non aspettandomi parole del genere. Ma mi trattenni, non muovendo un solo muscolo.
Inspirai con pigrizia l'ultima boccata di sigaretta, temporeggiando. "Purtroppo per me."
Non ero di certo cieca. Di sicuro, non l'avessi trovato attraente, avrei avuto ragioni considerate socialmente valide per respingerlo. In ogni caso, a quei tempi, non avevo più quindici anni: gli ormoni erano l'unica cosa di cui mi sarei dovuta preoccupare.
Inutile dire che non chiusi poi occhio. Rivissi come un film proiettato nel cervello tutta la conversazione almeno venti volte: davvero erano bastate quelle sue semplici parole a permettergli di avvicinarsi?
Non penso proprio.
Forse, semplicemente, non ero forte come credevo invece di essere.
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ARTHUR'S POV
Mi diressi al Range Rover quasi saltando dalla felicità.
Sapevo che da una parte era stata proprio la mia indifferenza, quel giorno, a portarla poi a odiare il mondo, ma sentii che mi aveva appena dato una possibilità: potevo davvero rimediare all'errore madornale che, allora, feci sei anni prima.
Ancora con la testa immersa nei recenti ricordi, mi tastai le tasche dei pantaloncini, appurando che fossero vuote.
Sapendo che nello zaino non potessero trovarsi, ipotizzai che le chiavi dell'auto mi fossero scivolate lungo il breve tragitto.
Illuminando la strada con la torcia del cellulare, ripercorsi i pochi metri andando a ritroso, fino a quando un lieve luccichio non attirò la mia attenzione.
Raccolsi l'oggetto da terra, ma prima ancora che potessi tornare sui miei passi, il suono di due voci, affievolito dalla lontananza, mi trattenne.
Troppo incuriosito per fare diversamente, mi accostai ancora un poco all'angolo dietro cui avevo svoltato solo qualche minuto precedente.
"...è piuttosto carino." Sentii dire da quella che distinsi subito fosse Karen.
Seguì qualche secondo in cui tutto ciò che potei udire furono le onde dell'oceano infrangersi con morbidezza sulla spiaggia.
"Purtroppo per me."
A quelle parole, sorrisi, gongolando interiormente. Capii all'istante che fosse il suo modo per dire sì.
Un solo particolare stonò tra i miei pensieri allegri: odiavo non averle detto completamente la verità.
L'avessi fatto, però, probabilmente si sarebbe allontanata solo di più. Avevo intuito che alludere al suo passato, o comunque a qualcosa che dovesse considerare un suo punto debole, l'avrebbe portata solo ad innalzare un muro più alto.
Mi promisi che un giorno le avrei raccontato tutto.
Prima o poi.
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