CAPITOLO 6

Sfrecciando tra una curva e l'altra, arrivammo alla stradina sterrata che tagliava per casa mia in meno di cinque minuti. 

Ero rimasta in silenzio per tutto il tragitto con la mente incollata ad un unico pensiero, l'incolumità di mia madre, come se avessi potuto così fermare il tempo.

Feci accostare ad ancora una decina di metri dall'arrivo vero e proprio: l'ansia mi aveva assalito a tal punto da non riuscire più a star seduta. Così scesi dall'auto e percorsi l'ultimo tratto correndo a perdifiato.

Fa che stia bene, che non sia successo nulla di grave.

La mia abitazione, un piccolo trilocale su due piani, era costruita su un lieve rialzo e vi si accedeva salendo un paio di scalini. Tutt'intorno notai come la sabbia fosse più scura, così ne presi in mano un po' e constatai come fosse bagnata. Probabilmente dall'interno l'acqua doveva essere passata attraverso le assi del pavimento, in legno chiaro come le pareti della stessa.

Trovai la porta già aperta e ciò che vidi mi fece accapponare la pelle: tutto quello che componeva l'arredamento, i mobili in bambù, le tende candide e i cuscini, il divano e ciò che si trovava nel salotto al momento dell'incidente, giaceva riverso e fradicio su tutta la superficie. 

Avanzai verso mia madre, non curandomi del fatto che dovessi attraversare una specie di lago e i miei piedi ne fossero completamente immersi, che intravidi armeggiare con uno spazzolone nel cucinino, a fianco le scale che portavano al piano superiore.

A piedi scalzi, stava disperatamente cercando di svuotare lo spazio intorno a se, trasferendo l'acqua verso la porticina che dava sul retro, ma invano: da un enorme voragine nel muro continuavano a sgorgare fiotti trasparenti, riempiendo costantemente lo spazio intorno a noi.

Mi avvicinai e costatai con orrore che le tubature principali della casa, che collegavano i vari lavandini, doccia e quant'altro, avevano ceduto rompendosi. La pressione, immaginai, doveva aver così sfondato le pareti in cui erano contenute.

"Muriel!" Mi notò mia madre. "Grazie per aver fatto così in fretta. Non so proprio cosa fare!"

Non diedi molto ascolto alle sue parole. Con la mente ero ancora fissa a quell'unico e cruciale pensiero.

"Ti sei fatta male? Hai fatto attenzione che non si sia danneggiato nulla di importante?" Pensai al mio portatile, su cui avevo lavorato e steso il progetto di laurea. Se si fosse danneggiato, sarebbe stata la mia fine.

Puntò il suo castano dorato nel mio azzurro ghiacciato, sorridendomi amorevolmente. Ricambiai ammorbidendo le linee del mio viso, tenute tese inconsciamente per la paura, osservandola con una punta di tenerezza: i lunghi capelli ingrigiti raccolti in un momento di ovvia confusione, vittime di un'agitazione improvvisa e inaspettata, i pantaloni bianchi e lunghi che usava all'ospedale lasciati ad inzupparsi senza riguardo. 

La mia mamma, l'unica cosa che sentivo ancora di dover proteggere a qualsiasi costo, fortunatamente stava bene.

"Tutto a posto tesoro, non preoccuparti. Cerca di capire esattamente cosa si è rotto, magari riesci ad aggiustarlo."

A primo impatto, sembrava dovesse servire un miracolo per aggiustarlo. Tuttavia, non avevamo molta scelta, dal momento che non potevamo permetterci un idraulico.

Titubante mi avvicinai alla fonte del danno: il flusso usciva a tratti da una delle estremità dei tubi rotti, abbastanza debolmente perché non mi infradiciassi tutta d'un colpo e potessi studiare la situazione. Erano visibilmente danneggiati su tutto il resto della lunghezza, coperti da una patina verdognola dall'aspetto poco rassicurante.

Probabilmente l'ultima revisione vi era stata fatta una decina di anni prima, se non di più.

Per fortuna, il danno non aveva corroso le giunture che connettevano le tubature tra loro. Mi sarebbe bastato andare dal ferramenta a prendere un pezzo di ricambio, sperando ne avesse avute delle stesse misure. 

"Chi è lui?" 

Mi alzai di scatto: non mi ero accorta di Arthur che, guardandosi intorno spaesato e preoccupato, aveva fatto il suo ingresso di soppiatto.

Prima ancora che potessi prendere fiato per risponderle, mi anticipò il ragazzo.

"Salve, sono un amico di sua figlia." Si era già tolto le scarpe e si avvicinò a noi con cautela. "Ero con lei quando l'ha chiamata. Se non le dispiace, e vi dovesse servire, potrei darvi una mano."

"Ce la caviamo benissimo da sole." Sentenziai duramente.

Che si faccia i fattacci suoi, una volta tanto.

Mia madre era rimasta a fissarlo con la bocca leggermente schiusa. Qualcosa mi disse che non si trattava del fatto che uno sconosciuto fosse entrato con la casa in quelle condizioni.

Come pronunciai quelle parole cambiò bersaglio, regalandomi un'occhiataccia.

"Muriel, ma che dici. Non si trattano così gli ospiti ." Tornò a concentrarsi sul ragazzo. "Non darle retta, Arthur, mia figlia ha un caratteraccio. E dammi pure del tu!" Si aprì in un sorriso smagliante.

Non ti ci mettere di mezzo anche tu, mamma. Ti prego.

Chiusi gli occhi, massaggiandomi le tempie per cercare di calmarmi.

"Credo che in questo momento ci sia qualcosa di più importante a cui pensare, tipo casa nostra che rischia di diventare un mucchietto di legna bagnata." Cercai di mantenere un tono piatto, per non far trasparire tutta la frustrazione che, in realtà, mi stava soffocando.

Mia madre fece per dire qualcosa, probabilmente per ribattere sui miei modi poco educati, ma la interruppi.

"Tu!" Rivolsi ad Arthur un'occhiata che non ammetteva repliche "Non startene lì impalato. Se vuoi rimanere, renditi utile." Passai al ragazzo una scopa, non curandomi di come ci avrebbe potuto effettivamente aiutare con essa.

"Ai suoi ordini." Mi rispose con il suo solito modo allegro. Dai suoi occhi, però, trasparì quello che interpretai con sollievo come un 'si, puoi contare su di me'.

Mi tranquillizzai. Almeno sarei potuta uscire di casa senza preoccupazioni, lasciando mamma con qualcuno.

Con un metro presi le ultime misure, che mi sarebbero servite poi una volta arrivata al negozio, e mi catapultai fuori, dirigendomi all'unico mezzo che mi avrebbe permesso di arrivare a destinazione in tempi brevi.

_____

Pregai che la mia Peugeot non mi abbandonasse in quel momento di cruciale importanza per i più lunghi minuti della mia vita. Portai il motore al massimo dei suoi giri, iniziò anche a produrre strani rumori simili a singhiozzi, fino a quando giunsi a destinazione.

Il negozio si trovava ancora in periferia di Sidney: un piccolo capannone grigiastro tra altre modeste costruzioni, un benzinaio, un minimarket e altro ancora, in uno slargo a lato della statale.

Parcheggiai grossolanamente e corsi dentro. Mi focalizzai sulla ricerca del pezzo che mi serviva.

Dove diamine è il reparto...oh, finalmente!

Preso il corridoio giusto, rallentai il passo, perlustrando più accuratamente gli scaffali.

Notai con la coda dell'occhio che qualcuno mi si era avvicinato. Subito non vi badai. 

"Signorina, ha bisogno di una mano per caso?"

Sbuffai. Sollevai lentamente lo sguardo su di lui, visibilmente annoiata: un commesso sulla trentina, alto e muscoloso, mi stava squadrando dalla testa ai piedi senza nascondere un'espressione di superiorità arrogante, marcata maggiormente dal modo in cui teneva le mani poggiate sui fianchi. Probabilmente, pensava che in quel modo la postura gli recasse un'aria superiore.

Sapevo dove volesse andare a parare. Decisi, quindi, che tanto valeva divertirsi un po'.

"Oh si, la prego!" Mi avvicinai a lui con occhi supplichevoli "Credo di essermi persa."

Alex, il nome che riportava il cartellino appeso alla sua divisa bluastra era quello, raddrizzò la schiena e inspirò a pieni polmoni, gonfiando, se possibile, ancora di più il petto. Ci avevo visto giusto e avevo centrato il bersaglio.

Quanto sono prevedibili, i maschi.

"Sono a sua disposizione." Sentenziò aggravando la voce.

A stento mi trattenni dallo scoppiargli a ridere in faccia. 

"Stavo cercando...si beh, sa, quei cosi...oh, come posso spiegarle." Civettai. Presi in mano uno dei tubi esposti, rigirandomelo tra le mani con fare ingenuo. Con gli occhi, alternavo lo sguardo da questo all'uomo di fronte a me. 

Alex sbatté le palpebre più volte, aggrottando la fronte. Era visibilmente confuso.

"Temo di non capire."

Mi avvicinai a lui ancheggiando, sfiorandogli di proposito un braccio con l'oggetto metallico, facendolo scorrere su e giù. Sospirai, o meglio, ansimai, mettendo su un'espressione crucciata.

Quando fui abbastanza vicina, sferrai il colpo di grazia.

"Non è questo LoveCraft?" Sussurrai maliziosamente, riferendomi al sexy shop a fianco al capannone in cui ci trovavamo. "Stavo cercando uno di quei cosi, sa, quelli lunghi che.."

L'uomo, diventato paonazzo, si scostò tossicchiando. Si guardò intorno, avendo paura ci potesse essere qualcuno ad assistere alla scena.

"Signorina, credo proprio abbia sbagliato posto." Aveva preso a passarsi la mano nervosamente sui corti capelli tagliati a spazzola. "Non vendiamo...questo genere di cose. Ciò che cerca lei...ecco, mi dispiace ma credo si sia confusa." Balbettò.

Non riusciva a guardarmi negli occhi, tanto era imbarazzato. Dentro di me ridevo come una pazza.

Era arrivato il momento di concludere i giochi: cambiando totalmente atteggiamento ed espressione, feci tornare la Muriel che aveva varcato la soglia del negozio.

"Ma cos'ha capito!?" Urlai. Attirai di proposito qualche sguardo incuriosito.

"Non stavo parlando del Sexy Shop qui vicino!" Afferrai il pezzo che mi serviva, lo avevo trovato da prima di tutta quella messa in scena, e mi diressi alla cassa. "Che gran maiale."

Il povero Alex non ebbe il coraggio di spiccicare mezza sillaba. Avesse potuto, si sarebbe scavato una fossa e vi ci sarebbe sotterrato.

C'era chi lo guardava stralunato, chi osservando me scuoteva la testa, ma non mi curai di nulla. Si era avvicinato con fare orgoglioso, credendo non sapessi nemmeno cosa stessi cercando solo perché ero una ragazza, e questa era la punizione che meritava.

Quando uscii scoppiai nella fragorosa risata che avevo trattenuto fino ad allora. Con le lacrime agli occhi, salii in auto ed accesi la radio.

Sfrecciai verso casa sulle note di Highway to Hell, cantando a squarciagola.

_____

Come aprii la portiera, a pochi metri da casa, la mia attenzione venne catturata dalla risata civettuola e famigliare di mia madre, seguita da una versione più grave e imbarazzata che associai ad Arthur.

Non potei evitare di sbuffare e alzare gli occhi al cielo a quel suono. Tra tutti, l'ultima persona con cui avrei voluto che famigliarizzasse era quel ragazzo.

Io e mamma eravamo esattamente l'opposto quando si trattava di conoscere nuova gente. Mentre io regalavo bronci e occhiate assassine, lei pareva emanare luce da tutti i pori, sorridendo e conversando con chiunque le capitasse sotto tiro. Dalla commessa del nostro minimarket di fiducia, allo sconosciuto alla fermata dell'autobus.

All'interno di casa la situazione non era cambiata molto, eccezion fatta per quei due che sembrava se la stessero spassando un mondo: mia madre si era seduta e parlava a ruota libera, Arthur, nel mentre, l'ascoltava spazzando l'acqua all'esterno e ridendo a qualsiasi sciocchezza gli venisse detta. 

Ero spacciata. Li avevo lasciati soli per un quarto d'ora d'orologio ed erano già pappa e ciccia.

Ci mancava solo questa. Ora chi me lo scolla più.

Attraversai lo spazio che ci separava a grandi falcate, attirando volutamente la loro attenzione. Non riserbai loro lo stesso, mostrandogli quanto fossi contraria a quella complicità rimanendo in silenzio.

Mi chinai e presi una chiave inglese, iniziando a svitare le tubature danneggiate.

"Arthur mi stava raccontando un po' di lui e della sua passione per l'arte. Sapevi che non solo sa dipingere, ma scolpisce anche il legno? E' fantastico!" Ruppe il silenzio mia madre, pensando di migliorare la situazione. In realtà la peggiorò, la tensione nell'aria era ormai palpabile.

"Interessante" risposi con un tono palesemente ironico. 

Tolsi anche il secondo bullone, l'acqua che usciva mi bagnava sempre di più i vestiti.

La sentii sospirare. Stavano alle mie spalle, ma potevo benissimo immaginare l'atteggiamento contrariato di mia madre, con le braccia incrociate e la fronte increspata.

Arthur, intanto, aveva ripreso a spazzolare, stando ben attento a non emettere fiato.

Smontai anche l'ultima estremità danneggiata, ma come feci per posarla per terra, scivolai sulle piastrelle bagnate. Erroneamente, poggiai il palmo proprio sul metallo tagliente, da cui vidi subito dopo allargarsi a macchia d'olio una chiazza rossa.

Con una smorfia mi guardai la mano: come una sciocca, me l'ero praticamente squarciata da parte a parte. Fiotti di sangue presto tinsero la mia maglietta già fradicia.

Che seccatura.

"Muriel, ma come hai fatto."

Neanche un secondo dopo, percepii quella che credetti essere la mano di mia madre posarsi sulla mia spalla.

"Stai tranquilla, non è nien-"

Con sorpresa, voltandomi mi trovai di fronte due occhi color nocciola, volti ad osservarmi la ferita con attenzione.

La vicinanza era tale per cui riuscii a percepire il calore che emanava. Ero rimasta impalata, con il braccio a mezz'aria e il palmo rivolto verso l'alto. Il sangue, intanto, colava abbondantemente lungo il mio braccio, per poi gocciolare a terra dal gomito, producendo dei lievi e ripetuti plic.

"Se tocco qui ti fa male?" Chiese sfiorandomi un punto del polso a me indefinito.

"Sei anche medico quindi? Non bastavano già gli appellativi di pittore e scultore?"

L'acido della mia voce non sembrò neanche sfiorarlo. Mi rivolse un'occhiata di rimprovero che mi fece distogliere lo sguardo. Sapeva benissimo ciò che stava facendo.

"No, non ho male. A dirla tutta è cessato subito dopo essermi ferita." 

Annuì sovrappensiero, toccando con sicura dolcezza altri punti.

Mi concessi di osservarlo un secondo più a lungo: guardando verso il basso rivelò di avere delle lunghe e folte ciglia, forse più delle mie, che parevano toccargli le guance. Sul naso spiccava qualche lentiggine, apparsa probabilmente a seguito di lunghe esposizioni al caldo sole australiano, e notai un piccolo neo fare capolino appena sopra il labbro superiore, un po'più carnoso di quello inferiore e volto all'insù.

Non era di una bellezza stereotipata: il setto nasale era storto, virava leggermente di lato, evidentemente a causa di una rottura subita in passato; Ogni suo movimento era compiuto con una grazia fuori dal comune, cosa decisamente fuori moda di quei tempi tra i ragazzi di quell'età, come se studiasse ogni mossa di volta in volta. Questa faceva pendant con il suo sguardo, sempre morbido e sicuro.

Nel complesso creava un disegno perfetto, in cui, ora riesco ad ammetterlo, mi persi nell'ammirarlo.

"Bene, l'arteria non è stata recisa." Risollevò il capo, beccandomi in flagrante a studiarlo. "Negli arti è normale che il sangue esca così copioso. Forse è meglio andare in ospedale."

"No, niente ospedale" Ritirai la mano. "Odio l'odore di disinfettante e vedere tutta quella gente che se ne va in giro moribonda. Farò da me, abbiamo tutto l'occorrente." Dissi senza alcun tatto.

La verità era che gli ospedali facevano riaffiorare l'unica spiacevole memoria che avevo di mio padre. O meglio, il fotogramma: Liam Walker steso sul letto e ricoperto da tagli e bende macchiate di rosso, il monitor del battito cardiaco che riportava una linea dritta. Nell'immagine ero in braccio a mamma che piangeva a dirotto, inzuppandomi il vestitino che avevo indosso.

Arthur sentenziò un va bene poco convinto. 

Dopo avergli chiesto come sapesse quelle cose così particolari, a cui comunque lui rispose con una vaga alzata di spalle, fu mia madre a ribadirgli di lasciarmi fare. Sapeva benissimo come me la cavassi bene con i tagli e i graffi: mi medicavo sempre da sola dopo gli allenamenti, anche se quello squarcio era di certo il più grande e profondo mai avuto.

Gli rivolsi un'occhiata che colse al volo e si mise a sistemare quei dannati condotti al posto mio.

Presi la scatola di latta con tutto l'occorrente da un ripiano alto della cucina, per fortuna rimasto all'asciutto. Pulii l'apertura, da cui i fiotti rossastri avevano rallentato la corsa, e la disinfettai. Tagliai poi delle piccole strisce di cerotto e le applicai per chiudere i lembi di pelle.

La maglietta era diventata pesantissima, imbrattata di acqua, muffa e sangue, recandomi parecchio disturbo in quell'operazione delicata. Quindi mi affrettai a finire, fasciandomi completamente la mano. Per un po' di tempo avrei dovuto limitare i miei allenamenti a delle corsette leggere.

Nel giro di un'ora sistemammo anche la sala. Lasciammo il divano ad asciugare ponendolo all'esterno insieme ad altre vittime dell'incidente, come libri, coperte e cuscini.

L'aria continuava ad essere calda e asciutta, nonostante il sole fosse tramontato da un po'; Il cielo azzurrino ancora tinto di un rosa aranciato. 

Con uno sbuffo, mi lasciai crollare sull'amaca appesa al porticato, accendendomi una sigaretta. Cercai di non pensare più a nulla e di lasciarmi sopraffare dalla stanchezza, facendomi cullare dal frinire incessante delle cicale e dell'incresparsi delle onde dell'oceano sulla sabbia in lontananza.

Che giornata di merda.

Il rumore di passi felpati mi destò da ogni pensiero. 

"Tua mamma mi ha invitato a rimanere per cena." Mi disse guardandosi i piedi, un po' imbarazzato. "Ma ho pensato fosse meglio declinare l'offerta." 

Il fumo mi uscì dalle narici a singhiozzi, a ritmo della risata che mi affiorò dal petto.

"E perché mai?" Sollevai il busto e cercai i suoi occhi, che finalmente decise di alzare verso di me. "Fin ora non ti sei fatto problemi a starmi dietro come una cozza. Ho constatato, inoltre, che la compagnia di mia madre sia di gradimento reciproco. Quindi rimani, sei il benvenuto!" Esclamai l'ultima frase con falso entusiasmo.

Questa volta Arthur s'irrigidì per un po', serrando vistosamente la mascella. Ma fu più rapido di un lampo e riprese subito il controllo. 

Non riuscii a decifrare la sua espressione: mi guardava quasi con tenerezza, compassione, mentre da me si poteva percepire solo rabbia e frustrazione.

"Vieni." Mi invitò a seguirlo con un lieve cenno di capo. "Se vuoi parlare, facciamo due passi."

Rimasi un attimo interdetta e indecisa. Poi ci pensai su.

"Ottima idea." Balzai fuori dal mio comodo giaciglio. "E vediamo di chiarire questa storia una volta per tutte."



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