CAPITOLO 4


A svegliarmi fu un rumore di voci concitate attutito dalle pareti della stanza in cui mi trovavo. Raccolsi giusto le forze per affondare ancora di più la faccia nel cuscino, stropicciato e leggermente umido, segno che avessi dormito come un sasso.

Ma ormai i miei sensi si erano attivati e, mi conoscevo, non si sarebbero più assopiti.

Non avevo ancora sollevato le palpebre che mi allungai più che potei tra le lenzuola, facendo suonare in modo macabro anche la più piccola articolazione.

Al primo tentativo vidi tutto offuscato. Solo dopo essermi stropicciata più e più volte gli occhi riuscii a mettere a fuoco il poster di fronte a me, sul soffitto: un Freddie Mercury a petto nudo nell'atto di urlare a squarcia gola, tenendo il microfono sollevato in aria come un trofeo.

Voltai lo sguardo di lato e riconobbi il vanity set di Mathias. Solo una giacca con strass viola e argento abbandonata su una sedia e un perizoma sul pavimento stonavano con il perfetto ordine di quella camera da letto, esattamente l'opposto della mia.

Tirai su il busto reggendomi sugli avambracci, ma me ne pentii subito: una fitta al cranio forte da mozzarmi il fiato mi travolse tanto da farmi sdraiare di nuovo senza pensarci due volte.

L'attenzione mi cadde su ciò che avevo addosso: una felpa ancora più grande rispetto a quelle che possedevo io, per quanto potesse essere possibile, decisamente non mia.

Come se non fosse bastato, la sensazione di aver perso qualcosa mi portò istintivamente a tastare le tasche dei pantaloncini. Le mie paure si concretizzarono quando le trovai vuote e realizzai di non sapere dove si trovasse il mio telefono.

Lo scricchiolio della porta mi fece spostare l'attenzione su questa. Sbucò la testa bruna e riccioluta di un Matt sorridente e dall'aspetto impeccabile.

Come se non avesse in realtà passato la notte precedente a destrarsi in danze turbinose in compagnia di sconosciuti.

"Buongiorno fiorellino!" Si avvicinò portando con se un vassoio.

"Ti ho portato la colazione." Poggiò il tutto sul comodino. "O forse dovrei dire pranzo, vista l'ora."

Lo guardai perplessa, quindi mi mostrò il display del suo telefono. Segnava le due e mezzo del pomeriggio. 

"Merda." Feci per scendere dal letto. "Mia madre mi ucciderà. Credo di aver perso il telefono, non ha mie notizie da ieri."

Matt bloccò il mio frenetico tentativo di allacciarmi le scarpe.

"Tranquilla tesoro, me ne sono accorto già ieri: tua madre mi ha chiamato almeno venti volte. Le ho detto che avevi bevuto un drink di troppo e che avresti passato notte da me."

Tutto ciò che seppi fare fu lanciarmi di nuovo sul letto dopo aver emesso un lungo e rumoroso sospiro. Quel mal di testa stava solo peggiorando.

"Buon Dio, grazie..."

"Prego. E ora mangia se non vuoi che ti venga un mancamento. Ieri sera ti sei conciata proprio male."

Risi al modo in cui implicitamente si fosse paragonato a Dio. Era una cosa proprio da Matt.

Presi dal vassoio l'aspirina e la buttai giù con un sorso di caffè. Poi iniziai a divorare tutto il resto: due toast al burro d'arachidi e marmellata sembrava mi stessero ammiccando dal piattino in ceramica su cui erano stati riposti.

Agli occhi altrui io e Mathias potevamo benissimo passare come una vecchia coppia sposata.

"A proposito di ieri sera," biascicai tra un morso e l'altro, "cos'è successo dopo...Dopo che son svenuta?"

Ricordavo abbastanza bene cosa fosse accaduto, almeno fino al momento in cui persi i sensi. I miei pensieri si soffermarono soprattutto sul ricordo di una Madison pentita, alla sua sfacciata richiesta.

Mi sorpresi però quando constatai che fu la prima volta che associavo il suo viso a pensieri non negativi. 

Avrò fatto la scelta giusta condannandola?

"Vuoi il riassunto o i particolari?" Chiese Matt con un'indecifrabile faccia da Poker.

"In che senso scusa?"

Si schiarì la gola. 

"Prima il riassunto: come sei svenuta ti abbiamo caricato in macchina, dove hai dormito fino a quando non è arrivata la polizia e ce ne siamo andati."

Spalancai gli occhi.

"Tranquilla, siamo spariti tutti in tempo. Non è stata fatta alcuna vittima." Rispose alle mie preoccupazioni.

Seguì una pausa abbastanza lunga, il giusto per cui potessi finire tranquillamente la mia colazione. Subito dopo mi alzai dirigendomi al piccolo bagno privato, a cui si poteva accedere direttamente dalla camera da letto.

Solo lavandomi il viso ebbi come la sensazione di ringiovanire di dieci anni.

"Guarda che se parli ti sento!" Urlai dallo stanzino. 

Superato un sospettabile lasso di tempo, indirizzai lo sguardo al mio amico: si stava mordendo il labbro inferiore nervosamente.

Mi stava nascondendo qualcosa.

"E la versione dettagliata?" Diedi voce ai miei pensieri.

Come se avessi buttato una mentina in una bottiglia di Coca-Cola precedentemente shakerata, di colpo esplose in un fiume di parole.

"La polizia ci stava alle calcagna così per fare più veloce mi son dovuto mettere al volante perché Arthur non sapeva dove abitassi ed é rimasto dietro con te che dicevi di stare malissimo e di voler vomitare e che avessi parecchio freddo così lui ti ha messo la sua felpa addosso siccome la tua non l'abbiamo trovata..." Si fermò giusto tre secondi per riprendere fiato.

"...poi sono riuscito a seminare la polizia e ti giuro è stata una figata assurda perché mi sembrava di stare in un Fast and Furious così ci siamo potuti fermare e hai vomitato l'anima."

Il mio cervello aveva captato giusto le parole che bastarono a dare un senso allo sproloquio a cui avevo appena assistito: polizia, felpa e vomito.

 Porca di quella...

"Ho davvero vomitato con Arthur presente?"

Provai vergogna come poche volte mi era capitato di fare. Non sarei mai più riuscita a guardarlo in faccia normalmente, gay o non gay.

"Eccome. Un vulcano."

Mi coprii il viso con le mani. 

"Si può sapere quanto hai bevuto? Tu lo reggi bene l'alcool, non ti ho mai vista stare così male." Chiese dando voce al dubbio amletico che avevo in testa appeso come un post-it dalla sera precedente. Io stessa non riuscivo a spiegarmelo.

"In realtà solo un Mojito. Ero al bar con Madison, pensa che ha avuto il coraggio di chiedermi di perdonarla a nome di un nuovo inizio." Ripetei le sue parole con tono stridulo, canzonandola.

Il mio amico prese a grattarsi il mento sbarbato da poco, contemplando il pavimento con lo sguardo. 

"E se ti avesse messo lei qualcosa nel bicchiere?" Fece schioccare la lingua sul palato. "Lili, se ti avesse drogata? Mi hai raccontato di come ti trattava: per il tipo di persona che era al liceo non sarei così stupita se lo avesse fatto. Specie con una sua vecchia rivale."

Per una frazione di secondo il mio cervello trovò più che logica la sua teoria cospiratrice. Poi però ripensai alla sua ultima frase, a come sembrasse davvero, o quasi, pentita delle sue azioni.

Nah, quale essere umano sarebbe tanto diabolico da fare finta di voler fare pace con una persona per poi drogarla subito dopo? 

"Matt, per caso stai guardando per la terza volta Game of Thrones?" Chiesi molto seriamente. 

Non c'era altra spiegazione plausibile e sapevo che Mathias Wallace era la persona più suggestionabile della terra. Tutte le volte che guardavamo un horror finiva con il chiedermi di dormire insieme.

Mi diede uno schiaffetto sulla spalla, sbuffando, e confermando le mie teorie.

"Tesoro pensaci bene: sarebbe un piano perfetto!"

Non capii a cosa si riferisse. "Un piano per cosa?"

"Ma non è ovvio?" Alzò gli occhi al cielo aprendo le braccia in modo teatrale. "Per arrivare ad Arthur, Santo Cielo!" 

Ci stavo capendo sempre di meno. Era come se la mia mente si stesse muovendo in un labirinto cupo e senza reale uscita.

"Probabilmente è nel suo mirino e vedendo il tuo fondoschiena da urlo avrà pensato di dover far fuori la concorrenza il più rapidamente possibile! Sì, è sicuramente andata così." Annuì per autoconvincersi.

La confusione, il mal di testa e la stanchezza fecero arrivare i miei livelli di sopportazione al limite e scoppiai a ridere come una pazza.

Risi per minuti interi con le lacrime agli occhi. Iniziai a dare segni di cedimento solo quando l'addome iniziò a dolermi parecchio. Per tutto il tempo, lui rimase serissimo.

"Oh, Mathias. " Puntai gli occhi nei suoi. "Arthur è gay. Me l'ha detto Madison."

Questa volta fu lui a rotolarsi nel letto, travolto da risate convulsive.

"Tesoro, credo che tu ti sia bevuta la stronzata più grande del secolo. Arthur emana eterosessualità da tutti i pori, te l'assicuro!"

Chiunque avrebbe dato ascolto al proprio amico gay in quel momento, siccome si trattava di dover fare chiarezza su qualcosa con cui aveva a che fare direttamente. 

Invece non lo feci. Non pienamente almeno. 

Ingenuità? Incapacità di accettare di essere stata burlata per secondi fini in modo così meschino?

Per questo e, ora posso dirlo per certo, per comodità. Ma posso anche affermare che in un angolino della mia mente sapevo chiaramente quale fosse la verità. 

Una versione poco chiara e dal suono metallizzato di Bohemian Rhapsody ci bloccò. Matt tirò fuori il cellulare dalla tasca e mi mostrò il display: era mia madre.

"Pronto Karen... Si, certo, è qua con me... Subito!"

Presi l'oggetto che mi stava porgendo, titubante. "Ciao mamma."

"Ehi tesoro, tutto bene? Ti sei rimessa in sesto?"

Mathias aveva la brutta abitudine di spifferare a mia madre anche i particolari su cui, per il suo bene ovviamente, preferivo tenere la bocca chiusa.

"Si, tranquilla, mi ha dato un'aspirina. Ti ha già detto del..."

"Cellulare? Si, fortuna che ho il suo numero. Senti Lili, so che non sei nel pieno delle tue forze, ma avrei un favore da chiederti."

Fece una breve pausa, in cui aspettai in silenzio che riprendesse a parlare.

"Avresti voglia di andare a cambiare i fiori a papà? Avevo intenzione di andarci oggi, ma mi hanno chiesto di rimanere questa sera in straordinario e non ce la faccio proprio..."

Mamma era segretaria in uno degli ospedali della zona. Andava sempre lei ad adornare di fiori il luogo in cui era stato sepolto mio padre, tre giorni alla settimana. Per nessuna ragione al mondo saltava uno di questi appuntamenti. 

Lei e papà si amavano moltissimo. Mi era stato raccontato che fosse uno di quegli amori rari, di quelli su cui le persone scrivevano libri e giravano film.

Uno di quegli amori che, solo a pensarci e provato a paragonare ad alcuni dei casi umani incontrati fino ad allora, non mi sarei mai illusa di poter trovare.

Mi ricordava spesso che, non fosse stato per me, non avrebbe mai avuto le forze per andare avanti senza di lui.

Acconsentii senza esitazioni.

"Certo mamma, figurati. Cosa gli prendo?"

"Qualche margherita, violetta e campanula se riesci. Grazie, tesoro." 

Appuntai tutto mentalmente. 

"Perfetto. A dopo."

Chiusi la chiamata e ridiedi il telefono al mio amico.

Ne approfittai per chiedergli un passaggio, dato che il cimitero non si trovava esattamente dietro casa sua, e un'alternativa che potessi usare come telefono fino a quando non avrei avuto i soldi per comprarmene uno nuovo.

Mi mostrò un vecchio iPhone 5 e un preistorico LG Tribe rosa, di quelli con lo schermo che, fatto slittare in su, mostrava la tastierina. 

Afferrai l'iPhone senza esitazione.

"Perché non lui?" Prese la scatoletta color confetto. "Fa molto Paris Hilton!" Disse portandosi il telefono al viso e assumendo un'espressione da diva.

"Dai andiamo, Paris Hilton." Lo spinsi fuori da camera sua ridacchiando.

Nel giro di pochi minuti d'auto Matt accostò di fronte alle mura bianche tanto famigliari. I cancelli neri e alti dell'ingresso erano spalancati; A fianco Miss Jones, la vecchia fioraia e custode del luogo, con il suo carretto vendeva composizioni colorate e profumate di ogni tipo.

Schioccai un bacio sonoro sulla guancia del mio amico e scesi dall'auto dirigendomi verso quest'ultima.

"Buon pomeriggio Miss Jones."

L'anziana alzò lo sguardo su di me. Capii che mi avesse riconosciuta quando si allargò in un sorriso mezzo sdentato.

"Cara! Era da un po' che non venivi tu! Oggi margherite e violette, giusto?"

Wow, papà. Hai anche un menù fisso.

"E campanule se ne hai ancora. Grazie mille."

Incartò il tutto in fogli di giornale riciclati e mi porse il mazzo, che pagai subito dopo.

Quel luogo, insieme alla spiaggia di fronte a casa mia, era uno dei pochi che riuscisse a farmi sentire al sicuro. Trasmetteva calma e benessere, riuscivo a chiudere gli occhi e fermare il flusso di pensieri quotidiani.

Negli ultimi tempi, presa dai miei doveri come il lavoro e la Laurea imminente, l'avevo messo un in secondo piano. In realtà adoravo fargli visita. 

Quel giorno, appena varcai la soglia e sbucai presso il prato verde tagliato all'inglese, cosparso di lapidi in marmo bianco come mughetti di campo di montagna in primavera, fu come riprendere a respirare dopo essere stata in apnea per troppo tempo.

Le gambe mi portarono lungo un percorso predefinito, la ghiaia del sentierino strideva ad ogni mio passo. Delle petunie che mamma aveva lasciato appena qualche giorno prima rimaneva qualche petalo violaceo appassito.

"Ciao papà." Ripulii quel luogo di sepoltura posando il nuovo mazzo.

"Sai: tra qualche giorno ho la laurea. Finalmente entrerò a far parte del mondo adulto per davvero, non è assurdo?"

Mi sedetti di fronte la lastra incisa. 

QUI GIACE LIAM WALKER

1976 - 2003

"In ricordo di un figlio, un amico, un padre e un marito. Il tuo sorriso vive con noi"

"E' un periodo un po' così, sentiamo molto la tua mancanza. La mamma ha dovuto aumentare i turni all'ospedale." Sospirai. "Ma faremo come sempre: ti terremo qui..." Mi poggiai la mano sul petto, all'altezza del cuore. 

Erano stati tre i momenti in cui avevo realizzato veramente cosa volesse dire non avere un padre: quando all'elementari, nel giorno della festa del papà, mi era stato chiesto dai miei coetanei perché stessi facendo anche io il bigliettino di auguri se tanto non avevo nessuno a cui darlo; poi durante i primi anni di adolescenza, in cui per difendermi  imparai a dare pugni ad un sacco, e infine quello, il momento in cui stavo entrando ufficialmente nel mondo degli adulti. 

Nonostante non avessi alcun ricordo di lui, durante quegli anni avrei tanto voluto avere un appiglio su cui poggiarmi per riprendere il fiato ogni tanto. Con mia madre non potevo farlo: spesso ero io stessa ad essere la sua forza.

Chiusi gli occhi, lasciando sfuggire una piccola perla bagnata tra le ciglia. Quando li riaprii poggiai due dita sulle labbra, poi le portai sulla foto dell'uomo sorridente dagli occhi color ghiaccio.

"Ti saluta la mamma."

M'incamminai verso l'uscita e un suono sconosciuto, ma molto vicino alle mie orecchie, mi distrasse dai pensieri malinconici in cui mi ero ormai immersa. Mi accorsi che proveniva dalla tasca dei miei pantaloncini: qualcuno mi stava chiamando.

Tirai fuori velocemente l'aggeggio: il display segnava un numero sconosciuto.

"Pronto?" 

"Lili, sono io." Rispose Matt.

Corrugai la fronte, sorpresa.

"E' tutto a posto? Ti ha chiamato mia madre per caso?" Chiesi quando pensai che non potesse ancora avere avuto il numero del telefono che mi era stato prestato.

"Ehm...no, non proprio."

"Che succede allora?"

Stava temporeggiando, il che indicava che ciò che aveva da dirmi non dovesse piacermi molto.

Nel momento in cui oltrepassai l'entrata con il cancello, ero proprio di lato al carretto di Miss Jones, lo vidi: Arthur stava attraversando la strada in direzione del cimitero. E in mano teneva quella che aveva tutta l'aria di essere la mia felpa.

"Mi ha chiamato Arthur dicendo di aver trovato la tua felpa, che era nascosta sotto i sedili posteriori nella sua auto. Mi ha chiesto dove potertela lasciare e gli ho detto di portartela di persona..."

Che tempismo, Mathias. Potevi aspettare ancora un po' a dirmelo.

"É davanti a me." Risposi soltanto. "Sai: se non ti conoscessi penserei che tu stia escogitando qualcosa a mia insaputa. Quindi, ti prego, dimmi che ti conosco."

Lo sentii ridersela sotto i baffi. 

"Suvvia Lili, di cos'hai paura? Tanto è gay, no?"

Il nervoso si trasformò in una scarica di calore che si diffuse prepotentemente dalla testa ai piedi. Trattenni il respiro pur di non rispondergli male. 

Se fossi stata in un fumetto, si sarebbe potuto vedere chiaramente del fumo uscirmi da naso e orecchie.

"Infatti." Riattaccai.

Mathias Wallace, questa volta hai davvero esagerato.

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