Capitolo 7: CONFLITTI DI FAMIGLIA

La libertà non sta nello scegliere tra il bianco e il nero, ma nel sottrarsi a questa scelta prescritta.
~Theodor Adorno

Mi ero svegliata da qualche minuto ancora scossa dal sogno recente e continuavo a balbettare frasi e numeri sconnessi mentre mio fratello mi guardava confuso e preoccupato allo stesso tempo.
«Dobbiamo andare in ospedale» gli ripetei.
« Cos'è successo, ti è venuta voglia di visitare ospedali di punto in bianco? Ti ho appena portata in stanza e stavo per andare via quando hai iniziato ad urlare una serie di numeri. 0437 mi sembra...»
«1427»
« Che differenza fa?Era solo uno stupido sogno!»
Thomas si stava innervosendo ed io con lui.
Sembrava nascondere qualcosa e non mi piaceva affatto questa sensazione.
« Non era solo un sogno, è stato più come una specie di avvertimento o di previsione. Devo andare lì e ci andrò con o senza di te.»
Mi alzai sotto gli occhi stupiti di Thomas e, vestita ancora di tailleur e tacchi,mi avvicinai alla porta finché lui non si intromise:
«Dove pensi di andare a quest'ora della notte?»
Guardai l'orologio: erano le 04:07 di mattina.
«Sicuramente gli ospedali non hanno orari»
«Ti prego non andare» mi supplicò lui « È pericoloso»
Aggrottai le sopracciglia: «Pericoloso come?»
Si ricompose e velocemente mi rispose:
« È tardi e non puoi andare da sola a quest'ora»
« E allora accompagnami» ribattei prontamente.
Thomas si arrese: «Lo farò»
«Bene» proclamai soddisfatta «Allora andiamo»
«Non ora»
«Cosa?»
«Domani» mi informò incrociando le braccia «Dopo una bella dormita e soprattutto a mente fresca»
Ci pensai e, arrendendomi, dissi: «E va bene»
Non mi piacciono gli ospedali, così privi di vita ma allo stesso tempo pieni di vite; un luogo dove neonati non entrano ma escono e dove anziani entrano ma non escono.
Quell'odore di acqua ossigenata mischiato all'acre dell'alcool e della plastica mi faceva accapponare la pelle.
Detestavo gli ospedali e detestavo ancora di più visitarli, ma quel sogno era troppo importante per lasciarlo scivolare nel buio oscurò del mio inconscio.
Gli unici ricordi che avevo erano dotati tutti della stessa fragranza ed erano bianchi.
Come il nulla.
Come il vuoto.
Colore stupido, il bianco.
L'insieme di tutti i colori gli dà vita,e senza di loro lui non esiste.
Non può vivere da solo...
Eppure il bianco è associato alla purezza, ed è in contrasto con il nero che, secondo me, è ricco di significati.
Nero è il cielo che ospita le stelle, nero è il colore del caffè che Thomas mi ha preparato questa mattina.
Nero è il colore dei suoi capelli ricci, e della mia anima...
Ma il nero è anche associato all'oscurità, al buio, alla cattiveria.
Bianco e Nero, lo Jin e lo Jang, due facce della stessa medaglia e i due piatti della bilancia.
Ed io, da che parte sto?
«Stanza 1427, per favore» bofonchiai alla prima infermiera che vidi.
Questa squadrò me e Thomas dall'alto in basso: «E voi sareste? Possono entrare solo i parenti»
Pregai mio fratello di aiutarmi con lo sguardo ma questo, occupato a lustrarsi le unghie, non mi notò.
«Siamo i-»
«Nipoti» concluse Thomas mentre sfoggiava un sorriso ammaliante alla giovane infermiera che, disgustata, ci fece strada lungo un corridoio bianco come le nuvole estive.
Thomas percepì la mia ansia e affettuosamente mi prese la mano.
Lo guardai con gratitudine.
"Sono qui" dicevano i suoi occhi.
L'infermiera ci lasciò prima di quanto mi aspettassi.
Concentrai tutta l'attenzione sulla porta dinanzi a me.
«Ci siamo» avvisai «Stanza 1427»
Ero immobilizzata: tutto era così simile al sogno che mi aspettavo che di lì a qualche secondo turno avrebbe iniziato a sgretolarsi.
Avevo i brividi.
Thomas mi strinse la mano ed io istintivamente la tirai via: mi voltai di scatto verso di lui e lessi nei suoi occhi un profondo dispiacere.
Mi si strinse il cuore: era mio fratello, che cavolo mi prendeva?!
Sapevo però di continuare ad affondare in me la paura di un inganno, di una bugia.
Non era però il momento di pensarci adesso.
Presi un respiro profondo e aprii la porta numero 1427 del signor Vance, Edward Vance...
Mentirei se dicessi che non mi aspettassi di trovare un anziano decrepito in fin di vita abbandonato su un letto e tenuto in vita da mille cavi e tubicini.
Invece vi dirò che dietro quella misteriosa porta un vecchietto assai bizzarro ballava allegramente per tutta la stanza candida fischiettando una canzone dei Beatles e saltellando freneticamente.
Io e Thomas rimanemmo immobili finché il signor Vance non ci notò e,con il fiato in gola, ci salutò gioiosamente: «Era ora! Max, Jade, perché avete fatto così tardi? Adesso mi toccherà ballare di nuovo e non credo che il mio debole cuore reggerà...»
Feci un passo avanti per presentare me e mio fratello ma Thomas mi precedette:
« È ora di riposare signor Vance, gli infermieri arriveranno tra poco»
«Edward, Max, chiamami Edward. Quante volte devo dirtelo? E poi a cosa mi servono gli infermieri se qui ho due medici?»
Ci sorrise e ci avvolse entrambi con un caloroso abbraccio.
Guardai Thomas molto meno sorpreso di me e,seguendo il suo sguardo, notai un altro cartello appena la ringhiera del letto: MALATO AFFETTO DA ALZHEIMER.
Ottimo: gli infermieri ci credevano i nipoti del diretto interessato che invece era convinto fossimo due medici; perlopiù aveva anche la memoria a breve termine!
Edward iniziò a tossire con forza così Thomas, in qualità di falso medico, lo aiutò a distendersi a letto e gli attaccò il tubicino dell'ossigeno.
Io invece ero impietrita: sorpresa e soprattutto spaventata da tutto quel... dall'essere lì, in ospedale, non riuscivo a connettermi con il presente.
Adesso che c'ero, ero un po' delusa e non sapevo come comportarmi.
Fortunatamente però c'era Thomas.
Edward si sedette sul bordo del letto e, in quel momento, sembrava tenuto in vita solamente dai macchinari presenti nella stanza.
Mi avvicinai mentre una vocina nella mia testa gridava sempre più forte.
Avevo già visto Vance, ma dove?
Impossibile capirlo quando non ricordavo nemmeno il nome dei miei genitori e gli unici ricordi che avevo si basavano su degli stupidi sogni.
Il volto del signor Vance era solcato da rughe leggere terminanti in un corto taglio di capelli bianchi come la neve.
Aveva un occhio castano mentre l'altro sembrava velato, grigio come il mare in tempesta e la pioggia.
Era molto bello, di una tenerezza da far sciogliere il cuore.
Chissà se Thomas riusciva a vederlo come lo vedevo io...
«Edward, è molto importante per noi sapere se conoscete un uomo di nome Victor»
Vance si voltò nella mia direzione e, come se mi vedesse come la prima volta, spalancò gli occhi esclamando:
« Eveline! Mia cara dolce Eveline, perché sei ancora qui? Devi scappare, Lui vi sta cercando. Se non mi abbandoni vi troverà!»
«Chi è Eveline?»
«Tu, mia cara bambina, sei mia figlia. E devi scappare, ti prego va via!»
Ormai urlava disperatamente e si dimenava furiosamente nel letto.
Thomas si avvicinò a lui e gli bloccò le mani:
«Chi è Lui? Si tratta di Victor? Lo conosce?»
All'improvviso Edward si fermò con le mani mezz'aria e tornò a guardare mio fratello con aria trasognante:
« Chi è Victor? E chi sei tu!»
Thomas rabbrividì e poi si voltò verso di me, scioccato.
Vance continuò con più calma:
«Non fargli del male Eveline, ti prego, sono solo dei bambini...»
Piangeva in silenzio.
Non so se fu la frase o il modo in cui lo disse, ma il vecchietto dapprima allegro mi fece inumidire gli occhi.
Continuava a guardare Thomas quando a un tratto smise di piangere e, puntando minacciosamente il dito contro di lui, iniziò a dire con voce maligna:
«Tu...»
Poi si sentì un rumore piccolo e conciso, un lungo bip dopo un silenzio mortale interrotto soltanto dai nostri respiri.
Immediatamente Thomas mi afferrò la mano e iniziò a trascinarmi su per i lunghi corridoi.
Lo guardai con occhi sgranati, incredula e sotto shock:
«È... È morto?»

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Ho ben cinque capitoli pronti, devo solo copiarli a computer! UwU.
La storia sta prendendo forma:)
Lasciate una stellina e un commento, kiss kiss.

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