Capitolo 27: ENERGIA DEL SOGNO
Mi alzai di scatto dal letto su cui ero stesa e notai con dispiacere che le mie energie erano davvero poche.
La testa vorticava pericolosamente da un angolo all'altro e le gambe cedettero prima che potessi fare anche un solo passo.
Ricaddi sul letto e con l'aiuto di Thomas mi misi a sedere barcollando di qua e di là.
«Devi stenderti di nuovo» consigliò mio fratello «Hai bisogno di tempo per recuperare le energie»
«Cos'è successo?»
«Sei svenuta» rivelò lui «Hai usato troppa energia tutta insieme e il tuo corpo è sfinito, per non parlare della tua mente»
«Non volevo farti preoccupare» sussurrai cauta.
Thomas si alzò e andò a chiudere le tende della finestra: eravamo nell'ennesimo albergo.
Rimase per un po' lì alla finestra guardando le strade senza vederle per davvero finché lo chiamai.
«Vieni qui» dissi facendogli spazio sul letto.
Si avvicinò lentamente a me e si appoggiò leggero alla punta del letto.
Io avvolsi le mie braccia attorno al suo collo e lo strascinai al centro del materasso insieme a me.
Thomas cadde a peso morto sul cuscino di cotone bianco.
«Dimmi» intimai puntandogli un dito contro.
«Cosa dovrei dirti?»
«Tutto quello che non va»
Sospirò amaramente e mi avvolse in un lungo abbraccio.
Le sue braccia erano il mio posto preferito.
Bisbigliò qualcosa a voce talmente bassa che non capii cosa volesse dirmi così gli chiesi di ripetere.
«Ho avuto paura di perderti»
Abbassò lo sguardo evitando accuratamente i miei occhi.
«Ma come vedi sono ancora qui» gli feci notare «Non ti sbarazzerai così facilmente della tua sorellina»
«Mia sorella..» ripeté incantato.
Annuii incredula come lui.
«Non avrei dovuto essere d'accordo con te nell'usare le tue capacità»
«Non è stata colpa tua» lo rassicurai «Devo solo esercitarmi di più»
Thomas si accigliò.
«Da quando hai smesso di avere paura di te stessa?»
Tacqui. Nonostante mi avesse ferita nel profondo non avevo le forze di litigare.
Un pensiero mi balenò per la mente.
«Penny? Come sta?»
« Bene, è ferita ma sta abbastanza bene. Tranquilla»
Mi strinse a se con fare fraterno ed io inspirai il suo profumo di polvere da sparo e dopobarba al melograno.
Morto: l'avevo visto morto.
Tremai incontrollata tra le sue braccia.
«Tutto bene?»
Volevo parlargli così tanto del mio sogno, ma qualcosa dentro di me si rifiutava.
«Sono solo stanca»
«Hai bisogno di dormire» dichiarò «Credo sia meglio andare»
«Puoi- puoi restare?»
Non volevo svegliarmi ancora per gli incubi e avere Thomas al mio fianco era rassicurante.
Lui annuì e ci ricoprì entrambi con il lenzuolo immacolato.
Mi addormentai in fretta e, coincidenza o no, riuscii a riposarmi per bene.
Quando mi svegliai Thomas non era più accanto a me.
Nonostante fossi dispiaciuta decisi che fosse meglio così.
Io e Sebastian avevamo molto di cui parlare. O forse no.
Infondo era solo un sogno anche se sembrava la realtà.
Le mie gambe decisero per me e in un secondo mi ritrovai a barcollare come ubriaca nel corridoio della stanza d'hotel.
Tutte le porte erano aperte eccetto una. Sperai di trovare il ragazzo al primo colpo e così fu.
Sebastian era sul suo letto con gli auricolari nelle orecchie.
Era disteso con un braccio dietro la testa che metteva in risalto i muscoli, gli occhi color gelo fissi sulla mia figura scombinata e ancora mezza addormentata.
Non mi importava se sembravo una profuga o una scappata di casa, mi interessava parlare.
«Beh, in genere quando mi ritrovo una ragazza nella mia stanza, l'ultima cosa che vuole fare è parlare»
Avevo dato voce ai miei pensieri?
«Siediti» ordinò facendomi spazio.
Non prendevo ordini, men che meno da lui, ma ero ancora troppo stanca per discutere.
Tutta l'energia della sera scorsa mi aveva prosciugata.
«Come stai?»
«Fanculo le stronzate. Ammetti che sei tu la spia e nessuno si farà male»
«E immagino che quel nessuno sia io»
Annuii fredda e impassibile.
Lui mi scrutò a lungo perforandomi ogni centimetro di pelle, coperta e non.
Sembrava alla ricerca di qualcosa ma qualunque cosa fosse non la trovò.
Voleva leggermi tanto quanto lo desiderassi io, eppure nessuno dei due ci riusciva.
Sebastian trattenne un sospiro e si pass una mano tra i capelli scombinati con fare disinvolto.
«Io non sono la spia» dichiarò determinato.
«Tu menti»
Non avevo intenzione di lasciar cadere la questione tanto facilmente: ne valeva la vita di tutti noi.
«E da cosa lo deduci?»
Lo fulminai con aria superiore.
«Il tuo linguaggio del corpo parla più di te»
«Dimmi cosa ti racconta» ordinò.
«Sfreghi le mani perché sei agitato. Le tue palpebre battono più velocemente del solito. Non sorridi o fai battute squallide del tuo genere» gli feci notare apatica «Tu stai mentendo»
A discapito delle mie parole un sorriso arrogante gli spuntò sulle labbra.
«E cosa mi dici degli occhi?»
«Di cosa stai parlando?»
«Dello specchio dell'anima» annunciò convinto «Da quello che mi hai detto deduco che tu abbia studiato qualcosa sull'argomento ma non hai notato una cosa»
«E cosa sarebbe?» lo interrogai infastidita.
«I bugiardi non ti guardano negli occhi perché temono che l'altra persona possano accorgersi che stanno mentendo» affermò «Da quando sei entrata nella mia stanza non ti ho tolto un secondo gli occhi di dosso. I bugiardi non ti lanciano questi sguardi»
Tacqui pensierosa. Stava mentendo, sapevo che stava mentendo.
«Ti ho visto» proclamai con voce ferma «Nel mio sogno»
Non sembrava sorpreso: probabilmente lo avevo svegliato con le mie grida.
«Raccontamelo»
Iniziavo a non sopportare quel suo tono superbo.
«Non mi fido di te, non vedo perché dovrei»
Alzò un sopracciglio con tono di sfida.
«Se io fossi la spia, perché non avrei dovuto già consegnarti a Lui?»
Rimasi in silenzio: mi mancavano ancora troppi pezzi di questo puzzle.
In un battito di ciglia il ragazzo fu sopra di me ed io sentii qualcosa punzecchiarmi il collo.
Sebastian aveva poggiato un pugnale sulla mia gola.
«Se fossi la spia, cosa mi fermerebbe dall'ucciderti?»
Il battito del mio cuore accelerò e i miei respiri si fecero più profondi.
Sentivo la lama sottile scalfirmi la pelle
Come nel mio sogno non riuscivo a pronunciare nemmeno una parola.
Sembrarono passare ore.
Corpo a corpo, occhi negli occhi.
Poi lui si alzò e ripose il pugnale sul comodino.
«Ti sbagli Cèline. Io non sono la spia»
Si avvicinò alla porta e la aprì: un invito per farmi uscire.
Socchiusi gli occhi e mi alzai con calcolata lentezza.
Mi avvicinai a lui e con agilità lo bloccai al muro, il mio corpo premuto contro il suo.
Adesso la lama che lui aveva usato contro di me premeva sul suo collo.
Sapevo esattamente quale vena recidere per porre fine alla sua vita se solo l'avessi voluto.
«Fallo. Cosa stai aspettando?» sussurrò al mio orecchio «Se sei così sicura che la spia sia io uccidimi. Qui, adesso»
Non avrei sprecato una vita basandomi su uno stupido sogno.
Gli feci scivolare la lama ancora immacolata da un'orecchio all'altro, lenta e precisa come solo io potevo fare.
Mi fermai sul suo pomo d'Adamo e dove feci più pressione.
Lo sentii deglutire a fatica.
Passai il pugnale sul braccio e con un movimento secco gli artigliai il palmo.
Mi staccai da lui e uscii.
«Non giocare con il fuoco Sebastian, o potresti bruciarti»
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