Capitolo 21: GELOSIA REPRESSA
La gelosia è figlia dell'orgoglio ma si spaccia per sorella dell'amore.
~Anonimo
L'aereo stava per decollare e gli unici posti rimasti erano vicino a Sebastian e a Penelope.
La scelta era più difficile di quanto pensassi così mi guardai intorno, spaesata.
«Vuoi sederti qui?» chiese Penny con voce sottile quasi avesse paura della mia risposta.
Forse ce l'aveva davvero così decisi di sedermi accanto a lei con lo sguardo di Sebastian puntato addosso.
L'aereo volava tra nuvole di zucchero filato e insieme a lui anche i miei pensieri.
Tra Sebastian, Arelis, Sebastian e Arelis, Penelope, il sogno e la capacità della piccola Diana, gli inseguitori al bordello e Victor, non sapevo come mettere ordine.
Avevo voglia di piangere, uno di quei lunghi pianti disperati dove ti manca il respiro.
Un pianto che avrebbe annegato tutti i miei dubbi e le mie incertezze.
Lo desideravo. Desideravo sfogarmi con tutta me stessa ma le lacrime non ne volevano sapere di uscire.
Sbrigatevi, maledette!
«Ehi, tutto ok?»
«Tutto splendido come mai»
Penny sospirò, affranta.
Non volevo litigare, soprattutto non volevo farlo con Penelope, ma sfortunatamente era l'unica persona che mi era più vicino.
Mi sentii davvero una grande egoista nel pensare ciò, ma io ero fatta così e dovevo accettarlo.
«Mi dispiace per quello che è successo Cèline»
«Intendi quando stavate parlando di me alle mie spalle come se fossi un cucciolo indifeso in cerca di cure? O quando Thomas mi ha lasciato da sola con Sebastian in quello stupido locale?» le chiesi fredda come il ghiaccio.
Lei mi guardò incredula.
«Tu sei- sei gelosa?»
«Di mio fratello? Ma per piacere!»
Colpita e affondata, invece.
Perché si, forse ero davvero un po' gelosa. Insomma, sembrava che Thomas tenesse più a lei che a me, la sorella che tanto aveva cercato e che finalmente aveva trovato.
Egoista, egoista, egoista!
Iniziai a tremare così mi imposi di calmarmi e inconsciamente conficcai le unghie nei palmi delle mani.
Non avrei permesso all'istinto di avere il sopravvento. Non ora, non ancora.
Respirai a fondo e mi volsi verso la ragazza accanto a me cambiando argomento.
«Perché quella sera, nell'appartamento di Thomas, sei scappata via?»
Cercai di sembrare calma e delicata e la cosa mi riuscì abbastanza bene.
«Io e te siamo più simili di quanto pensassi, Cèline. Tutti credono che tu sia fredda e spietata ma io so che non è così, voglio almeno crederci. Allo stesso modo sono convinti che io abbia una vita perfetta come quella di Barbie, semplice e impeccabile»
Parlava a raffica come un fiume in piena.
«Vorrei che le persone mi capissero un po' di più, solo questo. Se sorrido non è perché sono sempre felice, e tu lo sai meglio di me. Sono quel tipo di ragazza che pur di accontentare le aspettative degli altri sulla propria vita va in cerca del Sole anche se desidera solo una piccola stella»
Non sapevo cosa dire e un "mi dispiace" sembrò la cosa più accurata da dire.
«Sai, i miei genitori si sono separati quando avevo solo sei anni ed è stata davvero molto dura per me, anche se è difficile ammetterlo. Sono cresciuta con mia madre mentre mio padre lo vedevo un sabato sì e uno no. Quando ho iniziato l'università ho deciso di trasferirmi e di cambiare vita, o almeno volevo provarci. Ma lì, come in ogni ambito, c'era sempre qualcuno che si aspettasse qualcosa da me. Così sono partita senza dire nulla a nessuno lasciandomi alle spalle la vecchia Penn»
«Penn?»
«Così mi chiamava mio padre. Non sento i miei genitori da allora»
«Poi cos'è successo?»
«Ho trovato tuo fratello o meglio, lui ha trovato me. Stavano per- per violentarmi in metropolitana. Ero sola e questo gruppo di ragazzi era lì accanto a me a fissarmi finché non hanno allungato le mani. Ho in- iniziato a urlare, ma non c'era nessuno. Poi ho sentito un forte rumore di sparo e mi sono ritrovata un cadavere ai miei piedi. Era Thomas. Gli altri ragazzi sono scappati ed io ho trovato rifugio in lui. Mi ha trovato un lavoro e una casa. Gli devo tutto»
Anche lei.
Anche lei aveva conosciuto la morte.
«Mi dispiace davvero tanto Penny» ripetei mortificata.
«Non devi scusarti, io dovrei farlo. Mi dispiace per l'altra sera, ero così imbarazzata che-»
«Va tutto bene, non è niente. Non parliamone più, va bene?»
Penelope annuì con le lacrime agli occhi.
Non sapevo come comportarmi così scappai in bagno come una vigliacca.
Al mio ritorno, Penny era caduta tra le braccia di Morfeo come un angelo terrestre.
Il viaggio fu più lungo di quanto pensassi: dormivano tutti eccetto me e Diana, che tra le braccia di Arelis aveva i grandi occhi viola fissi sulla mia figura.
Le feci segno di sedersi sulle mie gambe e lei, silenziosa e abile come un gatto, scivolò sul sedile e si pose più leggera di una piuma sulle mie ginocchia.
«Non riesci a dormire?» bisbigliai.
Diana scosse la testa con uno sguardo illeggibile sul volto.
«Ho dormito un po' prima, e ho fatto un altro sogno»
«C'era qualcuno di noi?» le domandai cauta.
Mosse di nuovo la testa a destra e a sinistra, poi con un sorrisino rivelò:
«Ho visto Lui morto»
Sgranai gli occhi, sconvolta.
Volevo che fosse vero, lo desideravo con tutta me stessa ma ciò significava solo una cosa: se la piccola Diana era davvero capace di prevedere la morte, e quella di Victor sarebbe realmente avvenuta, ciò voleva dire che anche la mia si sarebbe avverata.
«Io non voglio che tu muoia» esclamò la bambina con gli occhi lucidi.
«E se io morissi per uccidere Vic- Lui?»
«Tu non devi morire e basta. Solo lui e nessun'altro»
Non aveva senso infrangere i sogni di Diana, così le rivolsi un sorriso smagliante.
Lei sbadigliò e si accoccolò più vicina a me.
Rimasi immobile mentre posava le sue braccia sottili attorno al mio collo.
«Buonanotte» mormorò quasi nel mondo dei sogni.
«Dormi bene, piccola Diana»
Mi ero accovacciata con un piacevole peso sulle gambe quando la voce squillante della bambina mi svegliò.
Disse: «Siamo arrivati» ed io non ero mai stata così sveglia.
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