Capitolo 19: RICHIESTE DI FIDUCIA

Il sogno è un movimento o un'invenzione multiforme dell'anima, che segnala i beni o i mali futuri. Stando così le cose, l'anima preannuncia tutto ciò che accadrà con il trascorrere del tempo, presto o tardi.
Artemidoro di Daldi

La ragazza di fronte a noi aveva l'aria di aver lottato con un fantasma.
Le mani le tremavano, era paonazza in viso con il trucco sistemato a metà, i capelli erano scombinati e continuava a mandare occhiate dietro di lei.
«C'è qualcuno con te?» 
Mossi un passo in avanti e mi provai la pistola puntata contro di me.
Non avevo per niente paura.
Le avrei fatto credere di avere il controllo per qualche altro minuto, poi mi sarei scatenata.
Lei era come me. Era come me e Sebastian. Un esperimento, ecco ciò che eravamo.
Non mi accorsi di aver parlato finché Thomas non mi mise una mano sulla spalla.
«Credo che basti, Cèline. Non vedi che è già spaventata a morte» 
«Chiudi la bocca bastardo» rispose Arelis prontamente.
A quanto pare la ragazza aveva le palle.
«Tu sei Cèline? La vera- la vera Cèline?» 
Per quanto la sua voce fosse dura lei continuava a tremare.
«Sono io in carne ed ossa» 
«Dimostramelo. Adesso» 
«Lo spettacolino con la porta non ti è bastato?» 
Il suo sguardo era gelido.
«Adesso ho detto» 
«Allora eccoti accontentata» 
Sebastian si intromise.
«Cece, non credo sia-» 
Troppo tardi. Adesso la sua pistola era ridotta a un cumulo di pezzi inutili.
«Chi sono loro?»
 «Mio fratello e la sua amica Penelope. Lui invece è Sebastian, è uno di noi»
«Sei vera...» sussurrò lentamente «Vieni fuori Diana, sono amici»
Una bambina sbucò dall'armadio e corse incontro ad Arelis stringendosi alla sua gamba e nascondendosi da noi dietro di essa.
Aveva i capelli simili al colore dell'oro sciolto e i suoi occhi erano grandi e viola come le lavande più belle che avessi mai visto.
«E lei è?» chiese Penny aprendo bocca per la prima volta.
 «Diana, e ha sette anni. Anche lei è come noi»
«Com'è possibile? Hai detto che ha solo sette anni!» 
«Ne aveva quattro quando siamo fuggite» rivelò guardandomi «Era troppo piccola per cavarsela da sola così lo portata qui con me. Una città grande come questa nasconde bene due esiliate»
Sentimmo un rumore di passi. 
Non c'era tempo per le chiacchiere, dovevamo andarcene subito.
«Dobbiamo andare» mi anticipò Thomas.
 «Dove? Diana non ama viaggiare e il mio lavoro-»
«Ti spiegheremo tutto strada facendo, adesso però dovete venire con noi» ordinai.
 Arelis guardò incantata Diana, esitando.
«Fidati di me Arelis. Sarete al sicuro. Diana sarà molto più al sicuro con noi» 
Avevo capito il suo punto debole: teneva più alla bambina che a se stessa.
Ci pensò, e in un battibaleno ci ritrovammo a correre nel bordello ripieno di persone che ostacolavano la strada.
Il viale non era sicuramente da meno ma non so come, riuscimmo a seminare il barista e i suoi colleghi.
Eravamo al sicuro. Eravamo insieme. Ce l'avremmo fatta.

«E adesso che si fa?» chiese Penelope con il fiatone «Abbiamo trovato ben due esperimenti ma non abbiamo indizi per gli altri due»
A quelle parole Diana iniziò a singhiozzare rumorosamente.
 «Come ci hai chiamato biondina?» ringhiò Arelis.
«Io- io non-» 
Mentre loro discutevano, io mi avvicinai alla bambina in lacrime che alla mia vista iniziò a piangere ancora di più.
Determinata a fare amicizia con la bambina di sette anni che aveva già sofferto troppo, iniziai a fingere di lacrimare coprendomi il viso con le mani.
Diana smise all'istante di piangere.
«Perché piangi?» mi chiese tirando su con il nasino.
«Tu perché piangevi?» domandai con voce sottile sottile.
 «Lei ci ha chiamato "esperimenti"» 
I suoi occhi si riempirono di nuovo di lacrime.
«Penny non è come noi, sai? Non può capire come ci si sente» rivelai facendo il musino.
 «Sei buffa così» disse iniziando a sorridere.
«Anche così sono buffa?» le domandai tirando fuori la lingua.
Iniziò a ridere a crepapelle. 
«Si sei tanto buffa! Però sei comunque pericolosa»
Finsi che le sue parole non avessero fatto centro nel mio petto.
«Vuoi vedere quanto sono pericolosa?» le chiesi con voce seria e spaventatosa.
Diana scosse la testa ma io iniziai comunque a farle il solletico.
«Basta, basta!» gridò in preda alle risate.
Continuai per qualche altro secondo, poi smisi.
«Tu mi piaci» decretò radiosa.
Le feci l'occhiolino e poi mi rivolsi a quelle persone che dovevano essere adulti ma che continuavano ancora a litigare.
«Abbiamo bisogno di un posto sicuro. Arelis, tu hai idea di dove possano essere gli ultimi due come noi?» 
Mi guardò e si calmò all'istante. Anche lei aveva paura di me.
Faceva bene.
Anche io avevo paura di me stessa.
«Io e Jace ci siamo tenuti in contatto da quando siamo scappati» rivelò abbassando la voce  «So solo che si trova in Messico, niente di più»
«Ci basta quest'informazione, grazie. Adesso però abbiamo bisogno di un posto sicuro in cui dormire. Hai la macchina?» 
«No, ma possiamo prendere un taxi. Conosco un luogo sicuro» 
«Bene. Andiamo?» 

Arrivammo all' Hotel Dominican Fiesta dopo qualche ora di viaggio in cui Diana si era addormentata sulle ginocchia di Arelis.
La camera era spaziosa e illuminata dai primi raggi del sole: vi erano sue bagni e quattro stanze da letto.
Tutti si ritirarono nelle rispettive camere (Thomas insieme a Penelope) mentre io e la nuova venuta, insieme alla piccola che era in uno stato di veglia tra il mondo dei sogni e quello reale, ci dirigemmo verso il piccolo divanetto all'ingresso.
Stemmo in silenzio per parecchi minuti, poi Arelis prese parola.
«Ti devo ringraziare Cèline. Ti dobbiamo ringraziare tutti» 
«E per cosa dovreste mai ringraziarmi?» 
«Per averci liberato. Senza di te, probabilmente saremmo ancora lì» 
«Anche io sarei ancora nelle sue mani. Non c'è bisogno che mi ringrazi anzi, io credo di dovermi scusare» 
Strabuzzò gli occhi, abbassando la voce per non svegliare Diana che adesso dormiva come un angioletto.
«Tu dovresti scusarti?» 
Sospirai profondamente.
«Già. Non ero a conoscenza di voi, ero troppo preoccupata a crogiolarmi nelle mie sofferenze. Non posso cambiare il passato, ma ad oggi posso proteggervi anche a costo della mia stessa vita» 
«No» 
La sua voce era dura come la roccia.
«Tu devi fare una promessa Cèline. L'unica che può sbarazzarsi di lui sei solo tu. Siamo noi a doverti la vita, non tu. Se io non dovessi farcela-» 
Alzai leggermente la voce, a disagio.
«Non dirlo nemmeno per scherzo» 
«E invece lo dirò eccome. Se non dovessi farcela, promettimi che ti prenderai cura di Diana. Così piccola e innocente, non merita affatto tutto questo. Nessuno di noi se lo merita» 
Rimasi in silenzio contemplando le sue parole.
«Promettimelo» ripeté. 
«Non posso..» 
«Ti prego Cèline. Promettilo. Non voglio che sia da sola. Se io non dovessi farcela, voglio morire sapendo che lei starà al sicuro» 
«Tu non morirai» 
«Promettimelo» 
Presi un respiro profondo e dissi:
«Lo prometto» 

Il letto era scomodo e le lenzuola si attaccavano alla mia pelle come carta bagnata. Stavo per alzarmi e andare a prendere un bicchiere d'acqua quando una piccola figura fece capolino nella mia stanza.
Era Diana. In lacrime.
Senza che io avessi tempo per reagire, la bambina saltò sul mio letto e mi abbracciò tra le lacrime.
«Ehi piccola. Cosa c'è che non va?» chiesi preoccupata.
«Ho fatto un brutto sogno» 
«E cosa hai sognato di così brutto? Victor?» 
«No, lui non c'era» 
«E allora chi?» 
Mi guardò con i suoi grandi occhi viola.
«C'eri tu. Ed eri morta..» 

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