6: Cocci
Arrivai a casa a piedi, quasi correndo. Avete presente quella fascia oraria, in cui ci raccomandano in TV da anni di non uscire mai?
Io corsi, quasi, sotto un sole cocente e col fiato corto. Arrivai coi capelli che, da fradici, erano completamente asciutti, spettinati ormai e crespi come un nido.
Suonai in maniera prolungata al citofono, e sentii il portone in ferro aprirsi senza nemmeno chiedermi chi fossi dall'altra parte. Avvertivo il fiato quasi completamente spezzato a ogni rampa di scale; ero ormai impregnata di sudore dalla testa ai piedi, mandando a puttane la doccia che avevo fatto solo venti minuti prima, e quel fastidioso dolore sotto l'appendice che ti prende ogni volta che si corre, ma si ha la malsana abitudine di non fare sport. Tipo me.
Quando mio fratello aprii la porta, entrai rimanendo senza parole: il soggiorno e la cucina erano un vero e proprio disastro.
<<Ma che cazzo è successo?!>> Mi voltai. E mio fratello, un appena quattordicenne, continuava a fissarsi attorno anche lui.
<<Salvo, mi rispondi?!>> E finalmente mi guardò negli occhi. <<Dove sono mamma e papà!?>> Gli chiesi, e mio fratello mi fece subito cenno di abbassare la voce.
Gli feci segno verso il balcone, sicura che lì non ci avrebbe origliato nessuno visto che affacciava sulla sua stanza, e quando uscimmo accesi una sigaretta per me e, visto la faccia funebre di mio fratello, provai a passargliene una.
Mi guardo con entrambe le sopracciglia sollevate. <<Sei ubriaca?>>
<<No!>> Mentii, nonostante avessi preso una sbronza colossale solo sei ore fa. <<Dovresti essere contento di avere una sorella come me: sai che non ti romperei le palle nel caso ti vedessi fumare>>, dissi, con un'alzata di spalle.
Mio fratello scosse la testa di tutta risposta.
Inspirai la prima boccata di fumo. <<Allora, che succede?>> Boccheggiai, la sigaretta tra le labbra. Mio fratello mi guardò quasi disgustato.
Sti adolescenti di oggi, pensai.
<<Non so cos'è successo di preciso...>> Cominciò, lo sguardo basso. <<Ero qui giù, alla piazzetta con gli altri... E di colpo ho sentito le urla di papà.>> Spiegò, la voce incrinata.
Stavolta mi feci seria. <<Sai perché stava urlando?>>
Annuì. <<Quando sono salito, la stava riempiendo di insulti. Mamma piangeva, e io gli ho chiesto che stava succedendo e poi gli ho urlato di calmarsi. Mi ha risposto di farmi i cazzi miei, e urlava a mamma: diglielo, di a tuo figlio quello che hai detto a me, schifosa!>>
Cominciai a sentire lo stomaco ribollire.
<<E cos'ha detto, mamma?>>
Mio fratello alzò lo sguardo, duro: <<che non sapeva più se volesse stare con papà: piangeva.>>
Calò il silenzio, mentre mio fratello guardava il quartiere di fronte a sé dandomi le spalle. Continuai a pensare, mentre ormai la sigaretta continuava a consumarsi da sola... Come cazzo è possibile che sia successo tutto in una cazzo di sera!? Mi chiesi. Girai lo sguardo verso il soggiorno e la cucina, e continuai a vedere il disastro che regnava, sobbollendo rabbia: mio fratello ha visto e sentito tutto quel casino, ha visto volare tutti quei cocci rotti per terra. Mio fratello. Un fottuto ragazzo di quattordici cazzo di anni.
Mi alzai dalla sedia spegnendo la sigaretta: ormai la voglia di fumare mi era passata già da un pezzo. Lasciai solo mio fratello, preso sicuramente a pensare a tutto quello che era calato nella nostra famiglia nelle ultime delle sole quindici ore, e andai in sala. C'erano piatti e bicchieri rotti a terra, pezzi volati sul tavolo addirittura. Le ante della cucina erano spalancate, una aveva addirittura il segno di un buco su un anta causata da quello che era stato sicuramente un pugno. La foto dei miei, con me e mio fratello appena di quattro anni io e uno lui, era rotta e spaccata per terra. La raccolsi, e sfilai la foto dalla cornice completamente spezzata.
Vidi la cucina ancora trasandata, una cosa strana vista l'ora, e conoscendo mia madre che non lascia mai la cucina coi piatti da lavare e i fornelli da pulire dopo aver finito di mangiare. Poi, un pensiero mi colpì profondamente mentre guardavo il casino che circondava la nostra casa: era successo la sera prima, e alle quattro del pomeriggio la casa era rimasta ancora in quelle condizioni.
Sentii un brivido freddo dietro la schiena, nonostante l'afa del caldo.
Mi alzai i capelli, risistemandomi la pinza; afferrai una scopa, e cominciai a spazzare il pavimento alla rinfusa. Buttai tutto nella spazzatura, senza fregarmene di stare attenta alla fottuta raccolta differenziata, e presi l'aspirapolvere per essere sicuri che non ci fosse completamente più nulla di quei cocci per terra. Proprio mentre sfilavo il filo per poterla usare, sentii la porta d'ingresso aprirsi e subito dopo vidi entrare mio padre.
Si fermò per pochi istanti, come se fosse sorpreso di vedermi lì. Posai l'aspirapolvere, e lo fissai mentre sentivo le tremila personalità bipolari in me dei gemelli prendere il sopravvento.
<<Vedete chi è rientrato!>> Quasi urlai, e vidi mio padre diventare ancora più cupo nel giro di pochi secondi.
<<Che hai detto!?>> Urlò di rimando, facendo qualche passo per avvicinarsi a me con la sua solita aria minacciosa.
Afferrai d'un tratto la foto presa per terra dal tavolo, e gliela sventolai in faccia, bloccandolo.
<<Sei contento, eh!>>
Urlai, lanciandogliela.
Mio fratello e mia madre corsero all'istante da noi, e solo all'ora mi resi conto di star vedendo mia madre da quando avevo saputo di tutto quel cazzo di casino.
<<Come ti permetti!>> Sentii mio padre tuonare verso di me. <<Tieni quella bocca chiusa!>>
<<Sennò!? Che fai, sentiamo!? Vuoi rompere ancora qualcos'altro?>> Gli feci eco, sfidandolo. Sentii mio fratello affermarmi per le spalle, ma lo scrollai.
Vidi mio padre avvicinarsi velocemente verso di me, per poi alzare di scatto la mano. In quel momento si intermise mia madre.
<<Basta!>> Urlò, e mi accorsi dalla voce che stava piangendo.
<<Ho detto basta, piantatela! E piantala soprattutto tu!>> Urlò, stavolta solo verso mio padre.
Lui la guardò, quasi con disprezzo. <<Di a tua figlia quello che hai detto a me ieri, poi vediamo se avranno ancora voglia di difenderti.>> E subito dopo girò le spalle e se ne andò sbattendo la porta.
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