Root 12

Avere Chris lontano dagli occhi mi aveva fatto capire tantissime cose:

-La prima, era che avevo cambiato troppe cose di me, per lui. Me ne ero resa conto perché, proprio come mi diceva, avevo iniziato a vedermi attraverso i suoi occhi. E quando mi incolpava di alcune cose ipotetiche, lo lasciavo fare manco le avessi fatte realmente. Mi ero lasciata modellare come una pasta di pane sotto alle sue mani, solo che come risultato ero simile ad una pagnotta con la crosta bruciata. Avevo addosso una grossa armatura dura.

-La seconda, era che non mi mancava. Mi ero resa conto di stare meglio senza di lui, senza dover inventare scuse per non uscire. Senza dover sentire le sue mani su di me.

-La terza, e ultima, era che arrivavo ad incolparlo per scelte mie. Come quella di aver lasciato andare via Valerio.

Erano state tutte decisioni mie, alla fine. Eppure, le rimpiangevo. Con Chris sentivo di avere troppi rimpianti.

Avevo aperto finalmente gli occhi e li avevo lasciati leggermente socchiusi, per adattarmi alla nuova luce che vedevo intorno e che mi aveva aiutata a capire che, ormai, era diventato tossico per me.

Me ne dovevo liberare.

Avevo racimolato le poche forze che mi rimanevano ed ero giunta alla conclusione di dover aspettare il suo ritorno per poter porre fine a tutto.

Avrei dovuto aspettare un altro mese. Ce l'avrei fatta? Lo speravo.

Nel frattempo era diventato più assillante del solito. Ad ogni mia uscita, blaterava sul chissà dove fossi. Aveva poca fiducia in me, eppure non gli avevo mai dato motivo di non averne.

Insomma, per una persona che ormai non amavo più avevo lasciato andare la persona che, invece, mi aveva stregato l'anima e il cuore, quale gesto più fedele?

Inoltre, il resto della comitiva si era allontanato un po' da me.

Ero sicura che Chris si fosse sfogato con loro quando mi ero presa una pausa, facendo ad ognuno di loro il lavaggio del cervello, evidentemente.

Non sapevo ancora come sentirmi a riguardo. Sicuramente mi sentivo un po' abbandonata, sapere che mi stavano intorno solo perché ero la ragazza di Chris mi faceva sentire come un oggetto. Però dovevo ammettere che non ce l'avevo davvero con loro, anche perché, dopotutto, non dovevo dimenticarmi che erano tutti suoi parenti alla lontana. E che io non ero realmente parte della sua famiglia dopotutto.

Stavo tornando a casa da lavoro, quando improvvisamente le carte in tavola cambiarono.

A volte, c'è l'eccezione alla regola.

Succedono cose che mai ti aspetteresti si avverino.

Eppure eccolo lì, la mia eccezione alla regola era Ivan, che se ne stava in fondo al parcheggio con una sigaretta rollata fra le labbra carnose.

Sapevo che stava aspettando me, anche perché Cesare -suo caro amico- aveva il giorno di riposo.

Attraversai tutto il parcheggio del negozio come se stessi camminando in un'arena e vedevo Ivan come se fosse un leone pronto ad attaccarmi quando meno me l'aspettavo.

Camminavo mandando giù la bile che mi saliva fin sopra l'esofago e mi avvicinavo piano, con lo sguardo puntato sui suoi capelli mossi e incredibilmente perfetti.

«Ehi» dissi un po' impacciata, quando ormai gli ero vicina mi sentivo un accumulo di ansie.

«Ehi, 'Ste. Sono venuto per incontrarti, è da un po' che non ci sentiamo» rispose lascivo, iniziò a camminare e mi fece segno di seguirlo.

«Devo andare a casa, però.»

Insomma, non mi aveva avvisato della visita e, sopra la tavola, ero sicura ci fosse già un piatto fumante per me.

«Lo so. Ti accompagno infatti. Vieni.»

Alzò un angolo delle labbra in un sorriso mesto. Decisi di seguirlo, in fondo voleva solo parlare.

Iniziammo a camminare prima in silenzio, poi, una volta sciolto il ghiaccio, proprio come neve al sole, mi sorpresi di vedere quanto riuscivo a parlare con lui. Anche perché, questa volta, non c'era Chris ad interrompere le nostre semi-conversazioni.

Ivan era sempre stato un tipo un po' sulle sue, ogni gesto e parola che diceva era sempre del tutto calcolato.

Anni prima, io ero una persona tremendamente solare e socievole, avevo cercato di parlargli tantissime volte, ma mi aveva sempre un po' evitato ma insistendo come mio solito a interpretare qualsiasi conversazione con lui, ho creato uno spazio su cui poter costruire la nostra amicizia.

Ed ora, mentre camminavamo sotto alla luce dei lampioni che ci illuminava a intermittenza, volevo avere anche io le parole pronte, già calcolate, per evitare di commettere errori.

Dopo aver tirato un lungo sospiro, lo vidi rilassare le spalle e sentirsi un po' a suo agio, finalmente.

«In realtà, ti devo dire il vero motivo per la quale sono qui. Io ho avuto modo di parlare con Chris. E ho sentito tutto quello che aveva da dirmi. Immagina che non siano state tanto belle le parole che ha detto su di te, ma ora vorrei sentire anche la tua versione. Insomma, vorrei sentire entrambe le campane.»

Quando concluse il discorso, mi fermai di botto e lo guardai truce, sentendo una rabbia crescermi dentro, mi ricomposi presto e iniziai a camminare, a metabolizzare il tutto e, quasi subito, percepii la rabbia svanire piano.

Esistevano ancora persone così?

Certo, ne avevo una davanti. Ma mi era così difficile credere che Ivan fosse una persona così... bella. L'unico che si era preoccupato di me e di cosa fosse realmente accaduto, ascoltando tutte e due le versioni, e giungendo poi ad un suo pensiero personale. Una persona che, in questa società, non si lasciava influenzare dal mondo.

Commossa da tutto ciò, non potei far altro che raccontargli tutto. Non tralasciai nulla e non nascosi niente, né le mie colpe e né le sue.

Mi spogliai davanti a lui di ogni cosa, gli svelai chi ero.

Mi mostrai nuda del mio essere.

Quella ero io, Ivan. E tu mi hai chiesto di uscire fuori e farmi vedere da te.

Ivan mi ascoltava in silenzio, alzava spesso gli occhi nei miei come per scrutarmi e capire se stessi dicendo tutta la verità, poi, quando finii, mi guardò ancora con quegli occhi scuri come la corteccia di un albero, con screzi chiari come ambra.

«Io...Ti credo» affermò, scappando poi dal mio sguardo meravigliato e dal mio sorriso spontaneo. Sentendosi a disagio, aveva iniziato a guardare ovunque, tranne che me.

Poche cose ho saputo con sicurezza durante tutta la mia vita, ma questa era una di quelle:

Quella sera, ho trovato un amico.

E la conferma mi arrivò anche nei giorni seguenti, quando, una volta tornata a casa, avevo realmente qualcuno del passato ancora accanto. Che aspettava fedele il mio ritorno da lavoro e mi domandava come stavo.

Aveva capito benissimo, già solo guardandomi, che stavo male.

Male come non ero mai stata prima.

Mi chiudevo in bagno spesso e piangevo per ore, silenziosamente, stando attenta a non farmi sentire da nessuno, soprattutto dai miei familiari che erano troppo apprensivi.

Una volta, avevo pianto così tanto da farmi venire i conati e, reprimendoli tutti, sputai sangue.

Davanti al cibo, la mia testa si disconnetteva completamente. Passavo ore a tavola senza mai realmente mangiare e, quando mi svegliavo da quello stato di trance, gettavo via il piatto ancora pieno e me ne andavo in camera, ignorando deliberatamente le proteste di mia madre con la sua solita cantilena giornaliera:

«Non hai mangiato niente.»

«Mi preoccupi.»

«Per favore, mangia.»

Pensavo stesse esagerando, come sempre. E invece no, non ero in grado di vedere la realtà che mi circondava.

Guardavo il mio riflesso allo specchio e riuscivo solo a vedere quanto mi trovavo orrenda, che cosa ne era rimasto di me?

Le uniche tregue che avevo dall'odiare me stessa era andare a lavoro, perché lì tutte le mie ansie si attenuavano per qualche ora.

Nonostante la merda che mi lanciavano addosso, quando ero con Daniel stavo bene.

Andavamo in simbiosi, parlavamo animatamente e, ogni volta che mi nascondevo sotto al suo sguardo attento, mi bloccava il viso e me lo prendeva fra le mani.

«Apri questi dannati occhi, Sunny» mi diceva a denti stretti. Quando li aprivo, mi sorrideva.

«Sei bella. Tu non sai quanto lo sei» e in quel momento ci credevo davvero, grazie a lui.

Ogni volta che il dolore mi attanagliava, sfuggivo a Daniel, per paura che potesse vedermi crollare a pezzi come una carta da parati fin troppo rovinata. Ma lui non demordeva, perché ad ogni mio sospiro triste, mi raggiungeva e mi diceva:

«Ti ho sentita, sai, che hai?»

Metteva sempre le mani sotto al petto ad incrocio e mi scrutava.

«Non capisco a cosa ti riferisci, non ho fatto nulla» gli mentivo ogni volta, ma lui rimaneva al mio fianco.

«Ma dimmi un po', come si rompono i muri che ti crei?»

Daniel faceva di tutto per recuperarmi. Mi diceva di non battere la fiacca, mi portava nei luoghi più belli, quelli che non avevo ancora visto.

Era diventato, in poco tempo, una costante per me e questo mi terrorizzava. Avevo paura di ciò che avevo iniziato a provare per lui, come se non bastasse, eravamo entrambi fidanzati ma, dall'altra parte del nostro io eravamo scontenti e ci sentivamo soli. Circondati dalle persone sbagliate non compatibili con anime come le nostre. Inoltre, il mio passato con Valerio mi dava timore delle mie scelte e del mio coraggio. Ero davvero pronta a lasciarmi alle spalle Chris? quanta forza dovevo averlo per farlo?

E con i giorni, avevo capito di aver lasciato andare via tutte le persone a cui volevo bene, mi ero riscoperta sola tranne per Ivan e Daniel che mi tenevano con i piedi a terra. Mi schiaffeggiavano in faccia che ero una bella persona e che dovevo andare avanti e, alla fine, se tutto fosse andato male, c'era sempre Ivan che mi rassicurava.

«Mal che vada, ci penso io a te» mi sussurrava, quando mi perdevo nel buio e per me era una promessa di sopravvivenza.

Angolo Autrice:

E nei salti del passato, vi lascio un'altra foto che misi tempo fa. Se vi interessa, le trovate tutte su una pagina facebook che gestisco. Si chiama: Quando si ama, si ama e basta. 

Inoltre, volevo dirvi grazie per tutti i commenti che mi lasciate, siete fantastici, davvero.

Nel caso ci siete, lasciate pure un commento e una stellina che non fa mai male. ★

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top