Root 11

Christian partì una domenica pomeriggio.

Ero triste, dopotutto.

Era inverno, faceva freddo sia fuori che dentro le ossa.

I miei non c'erano a casa e lasciai tutte le luci spente, proprio come il mio cuore, perché non riuscivo a trovare un interruttore.

Solo dopo tanto tempo avevo capito alcune cose su di Chris, tipo che lo avevo lasciato andare via molto prima.

Me ne stavo sul letto vuoto, immersa nel buio tranquillo di quella giornata da coma.

Poi lo schermo si illuminò.

Daniel mi aveva inviato un messaggio e, per un motivo o l'altro, non lo vedevo da due giorni.

«Questa giornata potrebbe andare decisamente meglio se andassimo a correre. Ti va?»

Erano le sei del pomeriggio e non avevo nulla da fare. Così risposi il più velocemente possibile.

«Vengo in bici. Dimmi tu dove.»

Mi alzai sentendomi improvvisamente meglio, misi addosso qualcosa di sportivo e mi fiondai sulla bici.

In realtà, chiamarla bici era un eufemismo perché' la mia, era un drago

Adoravo le bici e, modestamente, la mia era quella di un professionista.

Salii sulla mia bianchi e corsi verso il posto che mi aveva scritto Daniel.

Era buio e per strada non c'era nessuno, eppure non tirava molto vento.

Corsi sentendomi l'aria graffiarmi il viso e le mani e appena vidi Daniel, sorrisi.

Il mio sorriso, però, si trasformò presto in una fragorosa risata.

Era quasi ridicolo il suo abbigliamento da corsa; aveva un pantaloncini e delle calzamaglia imbarazzanti.

«Non ridere» mi ammonì.

«Oh, andiamo, come posso resistere» scoppiai in una risata sonora, e mi ci volle qualche minuto per ricompormi.

«Se sua maestà è pronta, possiamo andare» mi disse, allargando le braccia verso la strada deserta.

«Sì, ma dove? Non penserai che io mi metta a correre ora. Facciamo che tu corri ed io sto serenamente in bici.»

Lui mi guardò di sottecchi e poi sbuffò, annuendo.

«Dai, andiamo, ti porto io in un posto» gli dissi, partendo.

Certo che eravamo strani forte.

Se qualcuno ci avesse visto da fuori, passando in auto o cosa, avrebbe visto una ragazza che passava lentamente in bici mentre il ragazzo accanto a lei correva a tutta forza per mantenere il ritmo.

I miei occhi caddero su Daniel e mi sorpresi a guardare i muscoli delle gambe guizzare fuori e prendere forme più definite, mentre io battevo letteralmente la fiacca.

«Resisti. Siamo quasi arrivati» lo incoraggiai, vedendolo rallentare.

Ormai eravamo dentro un viale che io adoravo.

Era buio, quindi non si poteva vedere la bellezza che quel posto aveva sotto alla luce del giorno, ma immaginai lo stesso la scena come se ci fosse il sole ad illuminare il tutto.

In quel preciso momento, io e Daniel stavamo camminando sotto ad archi naturali fatti dagli alberi e da alcune piante che si intrecciavano fra loro. Alla nostra sinistra c'era un dirupo protetto da una fiancheggiata di ferro, era un canale secco, dove anni fa, sono sicura ci fosse un ruscello.

Ora, invece, era tutto cementato e non so in quale modo, ma c'erano graffiti ovunque e si vociferava che qualche ragazzo riuscisse a scendere sotto al dirupo, divertendosi ad improvvisare una pista di skate e di bici.

A destra, invece, c'era una delle cose più belle che avessi mai visto qui.

Era buio e non potevo vederlo, ma sapevo che era lì, proprio davanti a me proprio ora. Mi fermai comunque e posai la bici a terra.

Poi, senza preavviso, mi sedetti di fronte a quello che vedevo con gli occhi della mente e, come per magia, riuscivo a immaginarmi tutto.

C'era una distesa immensa di campi di grano ad un livello leggermente inferiore a quello dove ero seduta ora. Per evitare che qualcuno cadesse, avevano messo un recinto di legno come quello nelle fattorie.

Ma per me, quel recinto rendeva tutto ancora più poetico.

C'erano poche stelle, ma non riuscivo a capirne la provenienza di un leggero bagliore di luce che concedeva di vedere ogni tanto qualche ciocca di spiga abbassarsi sotto al venticello lieve.

Mentre all'orizzonte di grano, si poteva intravedere le luci di una città elettrica.

«Non importa se mi ritieni pazza, non sederti se vuoi. Ma io sono comoda qui a terra» gli comunicai, sistemandomi meglio sul marciapiede freddo.

Sentii Daniel sedersi al mio fianco, in silenzio.

Mi girai leggermente per vederlo, immerso nel paesaggio di fronte a noi.

Aveva un profilo armonioso, era decisamente perfetto, anche mentre il vento gli scompigliava leggermente i capelli.

«È bello qui» constatò alla fine, guardandosi intorno.

«Già» confermai.

Lui si abbassò e, con mia sorpresa, appoggiò la testa sulle mie gambe lunghe.

Mi prese la mano e se la portò fra i capelli, incitandomi ad accarezzarli.

Aveva gli occhi chiusi, quindi non persi l'occasione di guardarlo profondamente. Come se volessi far scivolare i miei occhi dentro la sua pelle morbida.

Gli accarezzai piano i capelli, intrecciando qualche ciocca più lunga fra le mie dita sottili e mi persi sui lineamenti delicati del suo viso.

Vedendolo così rilassato, feci scendere il mio indice e gli calcai debolmente le linee del volto.

Partendo dalla fronte e scivolando lentamente sul mento.

Stavo tracciando il mio dito su di lui come se fosse un pennello intento a dipingere su tela, tracciando di un colore vivo ogni suo tratto.

Continuai a scendere dal mento e mi fermai solo quando feci arrivare la mano sul suo cuore, assaporandone ogni piccolo battito che fremeva sotto al mio tocco.

Stando attenta a non fargli cadere la testa dalle mie gambe, mi sdraiai anch'io sul marciapiede, usando come cuscino anch'io le sue gambe ritrovandoci ad assumere una strana posizione. Non avevo mai visto nessuno così, se non noi.

Ma quando aprii gli occhi, che non mi ero resa conto di aver chiuso per assaporare meglio quel momento, riuscii a vederlo chiaramente sul viso.

Mi sorrise e prese il cellulare per un attimo, poi lo appoggiò accanto a noi. Non ci misi molto a riconoscere il brano che iniziò a suonare.

Iris.

«Ecco, se fossi stato con qualcun'altro, non avrei mai fatto questa cosa. Eppure è maledettamente semplice. Mi avrebbero preso per pazzo. Tu come ci riesci?» mi domandò mentre continuavamo a restare in quella posizione.

La sua mano cadde come una piuma sui miei capelli lisci ed iniziò ad accarezzarli lentamente.

Era tutto così calmo. La luna aveva iniziato a splendere, assieme alle stelle dapprima nascoste, creando strane ombre fra gli alberi.

E noi ce ne stavamo lì, sdraiati sul marciapiede, distesi sui fianchi, io con la testa appoggiata sulle sue gambe piegate e viceversa.

A sorriderci come due deficienti.

«Basta trovare il modo di non pensarci. Faccio tutto quello che mi passa per la testa. Perché questa sono io.»

Lui annuì appena e fece scorrere la mano sulla mia guancia fredda.

Era incredibilmente bello sentire il suo palmo caldo sul mio viso. Chiusi gli occhi a quella sensazione, inebriandomi di quel momento e della canzone che adoravo.

Poi la sua mano scese leggermente e, con il pollice, accarezzò le mie labbra.

Aprii gli occhi istintivamente presa alla sprovvista da quel gesto cosi intimo e lo vidi mentre le guardava attentamente.

Non avevo paura, forse perché era troppo lontano dal mio viso per baciarmi, o forse perché in fondo, una parte di me, lo voleva, ma non riuscii ad evitare il cuore che mi scoppiava nel petto, esigendo delle spiegazioni che nemmeno io riuscivo a darmi.

Batteva così forte che riuscivo a sentirne i battiti pulsare decisi anche nelle orecchie.

I suoi polpastrelli disegnavano i contorni netti delle mie labbra in un modo suadente e calmo, come se avesse tutto il tempo del mondo per farlo.

Mentre dentro di me non c'era nessuna traccia della tranquillità che regnava fuori. Dentro di me c'era una bomba che stava per esplodere e non sapevo chi potesse disinnescarla.

Chiusi gli occhi e mi concentrai sul suo tocco, delicato come una farfalla.

Eppure pensavo che mai nessun uomo potesse essere tanto delicato ma Daniel, come sempre, superava le mie aspettative. Sembrava essere fatto proprio per quello, avanzava sempre di più verso le mie barriere, le buttava giù una ad una, e camminava deciso e spedito verso il castello reale.

Ad interrompere la magia fu il suo cellulare, non mi sorpresi quando sentii la voce di Irene.

Ahia.

Eppure non riuscivo ad allontanarmi o a difendermi davanti ai suoi occhi, mi sentivo spoglia di qualsiasi forza.

Presi la bici, intuendo il motivo della loro discussione telefonica. Daniel si era dimenticato del loro appuntamento. Quando staccò al telefono e si voltò a guardarmi, il suo viso prese la forma di qualcosa di indecifrabile.

«Non vorrei che tu andassi via» ammise, poi strinse le braccia intorno alla mia vita, poggiò le labbra sulla mia nuca e sospirò fra i miei capelli.

Se c'era solo una cosa imperfetta in quell'istante, era solo il disordine dei miei battiti.

Me ne andai pochi minuti dopo e quando arrivai a casa, piansi.

Piansi perché mi ero appena incasinata ancora di più la vita.

Angolo Autrice.

Allora? che cosa ne pensate di questo capitolo? vi è piaciuto o è troppo ''smielato''? comunque, per darvi la vericità su questa storia, guardate l'immagine che feci sulla mia pagina facebook anni fa.

Sto condividendo un pezzo di cuore con voi. Grazie.

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