Revive 24

"Maledetti siano i vostri occhi:  m'hanno stregata e m'hanno diviso in due.  Una metà di me è vostra,  l'altra metà è ancor essa vostra.  Vorrei poterla dir mia.   Ma se è mia, ne consegue che è vostra.  E così è tutto vostro."
-W. Shakespeare.

L'altra faccia di Best shop era ormai il negozio in cui lavoravo da tre settimane. Nonostante gli stessi proprietari, era completamente diverso.

Questo era... vecchio. Non mi venivano altri sinonimi.

Brulicava di gente nonostante gli scaffali ricoperti da spruzzi di ruggine e ammaccati dall'usura. Nonostante le pareti bianche sporche e il pavimento scuro. L'ufficio era minuscolo per non parlare del bagno. A malapena riuscivi a muoverti per via di un enorme armadio montato in malo modo dove tenevano rinchiusi alcuni detergenti per pulire il pavimento e le casse e altre cianfrusaglie lasciate lì a marcire, evidentemente da secoli.

In questi giorni avevo conosciuto tutti i membri dello staff, e loro avevano conosciuto me come la ragazza di Daniel. Quella che gli aveva fatto perdere completamente l'unica briciola di ragione che aveva.

Daniel era molto conosciuto qui, in quanto prima di Best Shop ci aveva lavorato per sette anni, proprio come Giulio. E anche se non c'era con me, potevo sentirne la presenza percorrendo gli stessi corridoi dove lui era stato per anni.

Avevo già imparato a sopravvivere anche qui con dei semplici passaggi:

Sophia era come un budino al cioccolato con la crosta bruciata. Sapevo comunque capire i suoi giorni ''no'' da quelli positivi. Se volevi farle un favore bastava che restavi fissa in cassa cosi lei poteva sistemarsi per bene i suoi reparti, che tanto adorava.

Giulio invece, era tranquillo. Fumava troppo e portava con sé una scia di fumo perenne. La madre lo aveva abbandonato da pochi mesi e nonostante fosse un uomo di mezza età non c'era ancora nessuno, oltre al padre, ad attenderlo a casa.

Aurora era la mia preferita. Una mamma per tutti e avevo scoperto che fra lei e Daniel c'era un bellissimo rapporto, oltre a questo, avevo smascherato anche il fatto che fosse la madre di Gioele e la sorella di Eric.

Lei era buona e genuina come una pasta di pane.

Per completare il team c'erano altre due persone: Moha e Denise;

Denise era la responsabile, una giovane donna emancipata e piena di vitalità ed intelligenza. Aveva un carattere forte e molto simile a Daniel, condividevano anche la voglia di scappare via da quel posto e da quelle persone.

Aveva vissuto anni fuori da questo paese in una città d'arte come Parigi. Ma era stata costretta, per il lavoro del marito, a tornarsene in Italia.

Per lei, come per me, Daniel era intoccabile. Era l'unica persona su cui poteva fare affidamento.

Moha invece, era un uomo venuto dalla guerra, scappato in Italia per poter sopravvivere con la sua famiglia. Aveva iniziato a stare fuori alla porta del negozio a chiedere qualche spiccio, poi poco alla volta, avevamo convinto Eric a farlo lavorare definitivamente con noi.

È stato fra i giorni più belli della mia vita, perché non solo comunicammo a Moha di essere stato assunto, ma Eric e Aurora gli trovarono anche una casa decente in cui poter vivere con la sua famiglia.

Gli occhi scuri di Moha furono spezzati dalle lacrime di gioia.

E mi domandai quanto avesse sofferto, per meritarsi questo.

Guardavo Moha entrare l'ultimo bancale nel magazzino e ci mettemmo a controllare subito la bolla.

«Vuoi?» gli proposi lanciandogli una sigaretta, lui annuì flebilmente prima di sedersi su uno scatolone con me; mi piaceva la sua compagnia, mi rilassava in un certo modo.

Portammo entrambi il filtro della sigaretta fra le labbra e ci passammo l'accendino per accenderla e rilasciare una piccola nuvola di fumo nel deposito collegato al negozio da un tendone.

Non avremmo dovuto fumare lì, in mezzo agli scatoloni, eppure lo facevano tutti. Aurora, Giulio, Moha e ora io.

«Moha, quante lingue sai?»

«Io? Quattro.»

«Beato. È uno spreco farti lavorare qui con le tue conoscenze.» ci credevo davvero a ciò che gli dicevo, per me come uomo e come persona meritava di più. Non come la gente che lo giudicava.

Una volta, mentre ero in cassa accanto a Aurora per la chiusura, si avvicinò una signora robusta e ci domandò «Ma serve qualcuno per lavorare qui?» noi ci guardammo confuse e rispondemmo con un netto "no"

«L'ho chiesto perché ho visto quel ragazzo lì, quello di colore...ecco. Quello che prima faceva il parcheggiatore e ho notato che ora lavora qui! E insomma... mio figlio sta cercando lavoro e sai, Aurora, non trovo giusto che uno come quello lavora qui mentre mio figlio è in cerca di un impiego che non riesce proprio a trovare! Se volete, lascio il suo curriculum» io e Aurora ci guardammo spiazzate per un lasso di tempo interminabile.

«No, ripeto: non abbiamo bisogno di nessun altro qui. Moha è più che sufficiente» rispose Aurora battendo velocemente i prodotti in cassa per lasciarla andare via.

Ecco, Moha non meritava questo. Lui lavorava eccome, meglio anche di me e Giulio a volte. Lavorava ogni giorno per meritarsi fino in fondo questo lavoro, quando non aveva capito che meritava molto di più.

«Già. Sono stato anche a Parigi. Ma rimanere lì per persone come me è difficile. Qui in Italia è più facile.»

Moha era un uomo come tutti, lavorava come tutti per portare il pane alla sua famiglia, ma la cosa più bella era che aveva un animo nobile e umile.

Per questo ci sorprendemmo quando io e Aurora mentre eravamo in cassa verso la chiusura, lo vedemmo arrivare con un pacco di candele.

«A che ti servono queste?» Domandai accigliata, guardando la plastica avvolgere dieci candele.

«A niente... Mi servono» Anche Aurora era sorpresa così abbassò il suo paio di occhiali squadrati e fini e lo guardò diretto con il potere di smascherare chiunque.

«Sei sicuro?» Aurora ne aveva passate tante nella sua vita, forse troppe. Per questo penso che riusciva realmente a riconoscere chi aveva un problema.

Moha inclinò lo sguardo verso il pavimento incredibilmente a disagio.

«Moha siamo qui per aiutarti, ma se non ce lo permetti non sappiamo cosa fare» lui annuì piano, ci pensò un po' su e decise di confidarsi con noi che eravamo la cosa più simile ad una famiglia che aveva.

«E da qualche settimana che non riesco a pagare la bolletta della corrente elettrica e quindi...L'unica luce che posso permettermi la sera è questa.» indicò le candele sulla cassa.

Hai ragione Moha, per alcune persone, la luce delle stelle non splende mai abbastanza, la vita ci mette sempre in difficoltà e a volte non riusciamo ad alzarci dal letto la mattina senza l'enorme buco nel petto. Il mondo fa troppa paura, ha troppe falle in grado di risucchiarci completamente lasciandoci sotto terra.

E lì nessuno ci sente, e lì neanche il sole batte più.

«Portaci le bollette Moha, provvediamo noi. Sei un idiota, mi hai capito?! se hai qualche problema devi parlarne con noi! noi ti vogliamo bene e vogliamo aiutarti perché' cosi si fa!» Aurora alzò il tono gradualmente per farsi ben capire.

Sapevamo tutti che il mensile era quel che era, non abbastanza per trasferire la famiglia dall'Africa a qui, non abbastanza da poter portare il figlio a scuola e da poter pagare tutto. Non poteva permettersi nemmeno un auto ed era costretto ad andare da qualsiasi parte in bici.

Una volta, mi dissero che aveva fatto il pronto soccorso in bici. In un paese distante una ventina di chilometri per un infezione allo stomaco. Aveva rischiato la vita lì ed è stato ricoverato per una settimana con una cura lunga dieci mesi.

A quelle parole, Moha, scoppiò in un pianto. Si coprì il volto con le mani e si lasciò andare per cinque minuti, facendomi crepare il cuore dal dolore.

A volte sentivo che questa vita non era per me, che c'era troppo dolore da sopportare perché anche solo guardarle e sentirle certe cose, mi faceva venir da piangere.

E cosi piansi anch'io, mentre lasciai Moha nel suo dolore, sostenendolo a giusta distanza per il suo orgoglio e piangendo in silenzio a denti stretti.

Ben presto Moha, ce l'avrei avuta anch'io con questo mondo infame che ti permette di salire a galla solo per affogarti di nuovo.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top