Change 8
"Non rimpiango le persone che ho perso col tempo, ma rimpiango il tempo che ho perso con certe persone. Perché le persone non mi appartenevano, gli anni sì."
-On tumblr
Ovviamente Daniel si fece vivo solo mezz'ora dopo che io e tutti gli altri eravamo già a lavoro. Ma a quanto pare ci dovevamo abituare, dato che anche quando lavorava nell'altro negozio faceva così.
Amelia diceva che "l'unica pecca era che Daniel non poteva non fare tardi la mattina o in qualsiasi altra cosa."
Ovviamente anche questa volta lavorammo insieme, ormai gli altri si stavano abituando a vederci sempre vicini, anzi, non provavano nemmeno ad intromettersi.
Eravamo davanti al reparto degli shampoo, stavamo rifornendo gli scaffali perché era arrivato un camion a scaricare la merce. Daniel quella mattina era più ritardatario a fare le cose e inoltre sbagliava spesso. Lo trovavo adorabile, mi faceva una tenerezza assurda sapere che aveva sonno e che ero io quella che non l'aveva fatto dormire. Sorrisi a quel pensiero e mi abbassai accanto a lui per mettere alcuni shampoo nella giusta corsia, stando attenta a metterli ben diritti.
«Questa mattina ti vedo meglio» mi disse, un po' assonnato. Ed era maledettamente vero, non sapevo il perché. Annuii e basta, provando a trattenere un sorriso spontaneo.
«Sunny, Daniel, abbiamo bisogno di una mano fuori» ci comunicò Lidia, mentre Gioele, da dietro alle sue spalle, era pronto per farla spaventare con un gridolino malefico. E ci riuscì.
Ridemmo mentre correvamo fuori e, appena misi piede nel parcheggio, sentii un freddo asciutto entrarmi nelle ossa.
«Cazzo» borbottai, stringendomi in me stessa, ma non dovetti lamentarmi a lungo del freddo, perché una grossa felpa grigia mi si posò sulle spalle.
«Tieni, Sunny. Io non sento freddo» disse Daniel, allegro. Dopo che feci vari tentativi di ridargliela, dovetti arrendermi ed indossarla.
Un sorriso a trentadue denti mi si posizionò in viso e provai in tutti i modi a nasconderlo. Era vero, rispetto a me quella felpa era enorme, ma era incredibilmente calda, era felpata all'interno. Inoltre, aveva il suo odore e questo era già un ottimo motivo per indossarla.
Appena finimmo di fare dei piccoli bancali per portarli all'interno del negozio, rientrammo tutti assieme.
Feci per togliermi la felpa ma Daniel mi si parò davanti, prese la zip e me la chiuse fino al collo, facendomi anche un fiocco con i fili penzolanti del cappuccio.
«No, sta meglio su di te. Tienila. È tua» mi disse.
«Cosa? No! È tua. Poi gli altri potrebbero...» risposi quasi urlando, afferrando la zip, ma lui posizionò le sue mani sulle mie e me le strinse, bloccandomi e guardandomi fissa.
«Che t'importa degli altri? Ti sta bene, voglio che la indossi anche domani.»
Sorrise e mi lasciò andare, incamminandosi verso il corridoio cosparso di scatole piene da inserire.
«E così sei fidanzata...» constatò.
Non c'era nessuna nota maliziosa nella sua voce. C'eravamo spostati ed io mi trovavo sulla scala di ferro perché stavamo sistemando merce appesa in alto. Sospirai.
«Tutto bene?» chiese poi, accigliandosi. Scossi la testa.
E davanti a quegli occhi dovetti ammetterlo: «Forse, ancora per poco.»
Lui spalancò gli occhi, rendendoli ancora più grandi.
«Hai intenzione di lasciarlo?»
«In verità stiamo già litigando da un po'... E sì, ci sto pensando ultimamente...» ammisi, provando a non piangere.
«Da quanto tempo state insieme?» si interessò subito all'argomento. Daniel sapeva ascoltarti molto bene.
«Sei anni, Lele. Ma mi sta rendendo una persona diversa. Sono suscettibile e mi arrabbio sempre. Inoltre, non ci amiamo più per davvero. Ed io voglio un amore che ti faccia vivere» dissi tutto d'un fiato, continuando a guardare gli spazzolini che avevo fra le mani.
«E lui non ti ha mai reso viva?»
«Non negli ultimi due anni, anzi. Non nascondo che penso di aver amato un'altra persona mentre ero con lui.»
Mi stavo spogliando di tutti i segreti che avevo in corpo.
«Sono sicuro che non l'hai tradito, però» ammise.
«Come fai a saperlo?» chiesi sorpresa.
Lui scosse le spalle e sorrise.
«Dimmelo» insistetti.
Allora lo vidi arrendersi.
«Sunny, non saresti in grado di mentire nemmeno ad un bambino. Te lo si legge in faccia quando c'è qualcosa che non va. E se lui non se ne è accorto è perché non vuole toccare l'argomento. Comunque, chi è questo tipo?»
Sospirai ancora.
«Si chiamava Valerio ed era nella mia classe.»
Lui mi guardò. «Chiamava? Sembra che tu stia parlando di un defunto.»
«Per me in un certo senso è così. L'ho dovuto seppellire dentro me cosicché non salga mai più a galla.»
«Ti ha fatto proprio male, questo Valerio» constatò. Ma io scossi freneticamente la testa.
«Sono io ad averne fatto ad entrambi.»
Scesi dalle scale e le spostai, risalendoci subito dopo sopra.
Gli parlai di Valerio e della relazione con Chris. Lui mi ascoltò in silenzio e, come mi aspettavo, mi consigliò di seguire il mio cuore.
Già, come se fosse stato facile.
«Mi sa che anche oggi mangiamo qua.»
Gioele venne da noi sbuffando.
«Vi raggiungo prima anch'io» risposi, guardandoli.
«Sunny sei grande, così ci fumiamo una ''sigaretta'' insieme. »
Io sorrisi e mi incamminai a casa ma non appena misi piede fuori, mi chiamò Chris.
«Mangi da me?»
Accettai solo perché casa sua era vicino al negozio. Mi incamminai, stringendomi nella felpa di Daniel, e in men che non si dica avevamo già finito di mangiare.
Avevo ancora indosso la felpa di Daniel, ma Chris non disse nulla al riguardo. Se ne stava vicino al PC a fissarlo come un ebete.
Non mi sorpresi quando, fra i suoi preferiti, intravidi alcuni film porno. Era strano, ma non mi importava.
«Devo farmi di nuovo un controllo, mi sa» gli dissi, lui continuò a guardare il PC.
«Perché?»
«Ho trovato delle macchie di sangue.»
«Va bene, fammi sapere come va.»
Niente. Nessun abbraccio per me, nessuna parola di conforto. Tirai un respiro forte. Sapeva che non volevo nessuna pietà. Ma guardandolo in faccia mi rendevo conto che non c'era proprio nessun interesse o preoccupazione.
«Chris. Penso che non vada più bene così» gli dissi, allora lui si distaccò piano dal pc e mi fissò alzando un sopracciglio.
«Sono confusa. Ho bisogno di pensarci un po' su. Così non va.»
Con mia sorpresa, continuavo a guardarlo negli occhi scuri.
«Sei proprio una stronza, fa quello che ti pare, per me stavamo bene. Ti fai venire i complessi. Guardati, sei diventata una mazza da scopa, che ti prende? Stai male. Tu sei pazza» iniziò a sbraitare, colpendomi nei punti più dolenti. «Sei complessata ma te li fai venire tu. Vorresti dire che io ho sbagliato qualcosa con te?» mi urlò contro, facendomi rimpicciolire.
«Non capisci. Per me è inutile continuare così.»
Lui si alzò di scatto e venne verso la mia sedia, abbassandosi per guardarmi negli occhi.
«Sei una stronza, non meravigliarti se quando torni non ci sarò.»
Avrei voluto dirgli che non sarei ritornata. Ma restai zitta.
Lo lasciai lì, mentre mi urlava ancora contro, e tornai a lavoro.
Non ero triste, non piansi. Mi sentii libera, come se potessi respirare di più.
Come se avessi tolto le catene che mi pesavano sul cuore. Certo, ora ero piena di lividi violacei e il mio cuore era un po' ammaccato, ma era un compromesso da accettare.
Io quando amavo davo tutta me stessa. Sapevo amare, anche quando non volevo farlo.
Dovevo trovare qualcuno che poteva amare come me.
Ogni volta che ridevo a una battuta di Ivan, Chris mi diceva che ero una sciocca a riderci su. Eravamo su linee opposte e mai sulla stessa onda.
Ciò che faceva ridere lui, non faceva ridere me. E viceversa.
Avevo capito che il suo corpo non riusciva ad adattarsi a me.
Lui assomigliava ad un elefante ed io ad un colibrì; continuava a spruzzarmi acqua velenosa sulle ali, impedendomi di volare ed io incassavo e basta.
Ero contenta. Avevo finalmente aperto gli occhi.
Avevo finalmente fatto qualcosa per rendermi felice. Per amarmi.
***
«Ecco, Sunny» sentii urlare, appena entrai nel parcheggio, alzai lo sguardo ed erano al deposito, dove ormai ci riunivamo spesso per fumare.
Scesi veloce e fumai subito, come se fosse essenziale, la canna che mi passò Gioele.
Poi risalimmo in negozio.
«Dobbiamo mangiare» disse Gioele, girovagando vicino alle porte.
«Ora chiamiamo e ordiniamo dai» aggiunse illuminandosi. Afferrò il telefono del negozio ma Daniel glielo strappò dalle mani e iniziò a dirgli qualcosa.
«Ragazzi vado un attimo in bagno» dissi io, sgattaiolando via.
Quando mi guardai allo specchio, continuavo a non riconoscermi.
Ero maledettamente brutta, cosa mi era successo? Sembravo appena sopravvissuta ad un incidente.
Ero pallida e scarna. Avevo perso dieci chili da quando ero stata a Londra.
Era stato difficile ammettere, lì, che stavo meglio da sola. Lontana da tutti, io mi sentivo bene. Ero rinata. Ma la magia era scomparsa appena avevo preso l'aereo di ritorno.
Mi lavai le mani e la faccia, e poi uscii.
Daniel stava camminando verso l'ufficio che era nella mia mesedima posizione, si bloccò e mi guardò.
Uno sguardo che mi inchiodò al posto.
Cacciò via un respiro tremolante, mentre si arrotolava la manica del maglione nero.
Chissà a cosa stava pensando, mentre mi guardava in quel modo. Aveva una forza, in quello sguardo, da far paura. E continuò a non distogliere gli occhi dai miei.
Era uno sguardo lungo, ti permetteva di immergerti in quelle pozze di pretolio, nuotare e risalire a galla, soffocata, per respirare aria pura.
Uno sguardo che ti permetteva di pensare tutto.
Era così maledettamente eccitante.
«Daniel, non fare l'idiota, ho fame dannazione» incitò Gioele, passandoci davanti e interrompendo tutto.
Ripresi a respirare come se non lo facessi da immensi secondi.
«Gioele, non hai capito. Ci vai tu e basta.»
«Ma perché devo andarci io se possiamo ordinare?»
«Cavolo, vacci e basta.»
Gli diede una banconota cinquanta euro e lo liquidò, così rimanemmo da soli nel negozio, con le serrande abbassate.
Sapevamo dove stavano le telecamere, sapevamo dove poterci nascondere. Sapevamo tutto.
I miei pensieri vagarono alla sua pelle nuda ma subito mi ricomposi.
Diamine! cosa stavo pensando? Ero davvero diventata pazza?
Affrettai il passo verso le casse, per sfuggire agli occhi inquisitori di Daniel. Ma sentivo i suoi scarponi sbattere sul pavimento ed inseguirmi.
Dannazione.
Questo ragazzo faceva di tutto per correre fra i miei sogni e sconfiggere ogni mio tormento. Ma mentre eclissava alcune mie paure, provocava il sorgere di altre.
«Che hai?» mi chiese con la voce acuta. Aveva la gola secca come la mia.
Che avevo? Scappavo. C'era una certa elettricità nell'aria, da appena Gioele ci aveva lasciati da soli. Era troppo potente da reggere. Non so se la sentivo solo io, ma c'era.
Arrivai alle casse e mi fermai quasi con l'affanno sentendolo al mio fianco.
«Fermati» ordinò, afferrandomi le spalle e portandomi al centro della sala. Tremavo quasi sotto a quel piccolo tocco.
Lui rise. «Sta ferma qui» mi sussurrò con fare suadente, mentre il mio cuore veniva prosciugato dal sangue.
Lo vidi abbassarsi e iniziare a fare qualcosa con delle tegole di polistirolo... aveva costruito una sorta di tavolo, fatto completamente dai blocchi di polistirolo bianco. Poi mise una tegola in mezzo, sorretta da altre due verticali.
Mi guardò emozionato e si avvicinò, iniziando a girarmi intorno.
«Allora, signori e signore! Questa sera siamo qui per vedere la fantastica potenza di Sunny. Sì, esatto! Proprio lei, la più audace e combattiva donna del ventunesimo secolo. Ce la farà a superare questa prova? Avrà abbastanza forza per spaccare in due questo pezzo di polistirolo?» fece la parte del conduttore, facendo finta di mantenere un microfono.
Esplosi in una risata che non riuscii a trattenere.
«Oh no, signori miei. Non ce la farò, è troppo per me» dissi, mantenendomi la pancia dalle risate.
«Ci proverò io» disse, camminando da macio fino alla "struttura" che aveva appena organizzato. Fece finta di mostrare i muscoli al pubblico inesistente e imitò una mossa di karate, spezzando finalmente in due il polistirolo.
Alzò le mani in aria per esultare, camminando trionfante verso di me, che mi ero piegata in due dalle risate.
«Ora tocca a te!» disse euforico.
«No, grazie, passo avanti.»
Provai a scappare ma Daniel mi attirò a sé, prendendomi il polso e facendomi schiantare contro il suo petto.
«Ora dimmi che hai.»
Mi accigliai. Com'era possibile che sapesse sempre leggermi dentro?
«Te lo dico io cosa non hai. Le palle per lasciarlo» mi guardò intensamente.
«Peccato che le ho e che io abbia già fatto mezza cosa» farfugliai sotto quello sguardo, vidi sorgere una luce diversa nei suoi occhi.
Ora mi stava guardando... compiaciuto?
Girò intorno a me, lentamente, guardandomi sempre attentamente in volto.
Ero confusa, così feci la cosa migliore che potessi mai fare: rimasi immobile. Bloccata nella sua ragnatela.
Mi posò entrambe le mani sulle spalle, facendomi sussultare e avvicinò le sue labbra alle mie orecchie.
«E anche se il futuro spaventa, con le sue incertezze e le sue difficoltà imminenti, io ti darò la forza che pensi di non avere» mi disse, prima di andarsene via e lasciarmi interdetta.
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