Change 4

''Ci sono muri interiori altissimi che si sgretolano di fronte
a un gesto di pura tenerezza.''
-On tumblr

Mi risvegliai stanca e appena aprii gli occhi vidi le labbra sottili di Christian di fronte a me. Mi cingeva i fianchi con le braccia mentre dormiva, russando appena.

Lo guardai, ma non come si guarda qualcosa che ami, lo guardai come si guardava una persona a cui vuoi del bene da anni.

Non sapevo negli ultimi mesi cosa mi stava succedendo, perché proprio io avessi smesso un po' di amarlo.

Così, all'improvviso. Mi ero risvegliata e ciò che avevo fatto per sei lunghissimi anni era svanito. Non sapevo più come si amasse.

Fingevo per non ferirlo e, soprattutto, non ferirmi. Perché avrebbe fatto più male a me, ammettere che il problema ero io. Che era tutta colpa mia. Mi sentivo meschina, un verme che non sapeva far altro che strisciare da un giorno all'altro con la convinzione di vivere a fondo.

Con la conclusione della scuola mi ero sentita così persa da non sapere neanche dove ero e mi aspettavo, mi aspettavo in attesa di un mio ritorno.

Serrai gli occhi sui suoi lineamenti, in attesa di qualcosa, ma niente. Non arrivò nulla.

Andai in bagno lentamente per non svegliarlo, appena scesi mi maledii per non aver indossato le ciabatte e mentre percorrevo il corridoio, vidi la porta spalancata, segno che il bagno era completamente libero.

Entrai e feci i miei bisogni, avevo lo sguardo perso davanti a me mentre mi alzavo, ma notai lo stesso la mutande con piccole chiazze di rosso scuro.

Afferrai la stoffa di essa, un po' tremolante, e capii subito fosse sangue.

La sensazione che stavo provando mi ricordava quella di quando stai sognando e sogni di cadere nel vuoto. Prima sentii tutti i miei organi precipitare e poi mi svegliai di botto.

Da quanto tempo non facevo un controllo?

Dei colpi alla porta mi riportavano alla realtà. «Sei pronta? Dobbiamo andare a lavoro» mi disse Chris con ancora la voce impastata dal sonno, dall'altra parte dello spesso strato di legno chiaro.

Mandai giù il groppo amaro che mi si era formato in gola e uscii come niente fosse.

Poco dopo, mi ritrovai ad entrare dalla serranda bassa di Best Shop. Mentre mettevo piede dentro, sentii subito una chitarra suonare e una voce melodiosa.

Il negozio era vuoto e tutto era in silenzio, quindi mi era abbastanza semplice capire da dove provenisse quel suono.

Era ancora presto, mancava mezz'ora al turno di lavoro, ma ultimamente andavo in anticipo, perché mi piaceva da morire lavorare e distrarmi da tutto ciò che provavo. Mi impegnavo così tanto nel lavoro da dimenticare ogni mio pensiero. E poi era un pretesto per fare qualcosa e non stare a casa, oltre che guadagnare soldi.

Prima di Londra mi annoiavo anche ad uscire. Ogni chiamata che mi faceva Christian per raggiungere lui e la comitiva la rifiutavo e ormai non ci provava neanche più.

Improvvisamente vidi Gioele sbucare dall'ufficio. Non mi preoccupai minimamente che era lì poiché avevo scoperto che Gioele era il figlio del proprietario e che quasi tutti, lì dentro, erano imparentati. Tranne me, Lidia e Daniel.

«In anticipo? Beata te che puoi venire più tardi, noi abbiamo mangiato qua. Comunque continuo a vedere un film, mi trovi in ufficio se hai bisogno» mi sorrise caldamente e si dileguò, mentre io arrivavo in magazzino, dove riconobbi la bellissima voce di Daniel cantare... Iris.

Appena entrai, subito mi vide, posò il peltro accanto a sé e divenne rosso sulle gote.

«No, per favore, continua» lo supplicai mordendomi subito il labbro triste per averlo interrotto. Lui fece un sorriso imbarazzato e si grattò la nuca.

«Ma anche no.»

Mi accomodai accanto a lui e iniziai a scrutare la chitarra nera e le sue lunga dite affusolate che stringevano alcune corde tese.

«Dai, sai che adoro Iris» lo pregai, lui fece un respiro profondo e, con mia sorpresa, riprese a suonare dall'inizio. Nascosi la mano dietro la mia schiena mentre con il cellulare registravo il tutto. Non volevo essere maleducata, volevo solo riascoltare il pezzo cantato da lui ogni volta che volevo.

Quando iniziò a cantare, qualcosa mi incatenò a lui. Aveva una voce semplice ma genuina. Una voce che riusciva ad accarezzarmi e a cullarmi il cuore.

Lo sentii cantare e tutte le mie preoccupazioni evaporarono.

C'eravamo solo io e lui.

Quando sbagliò un accordo, si fermò, rifece il sorriso imbarazzato che avevo iniziato già ad adorare, e continuò.

Daniel era così, non si fermava mai. Era sicuro di sé.

Volevo cantare anch'io con lui, ma rimasi in silenzio perché non volevo che niente e nessuno potesse coprire in qualche modo quella voce melodiosa.

«Sei bravissimo» confessai sincera.

«Grazie per avermi fatto ascoltare» aggiunsi in fretta, chiudendo la registrazione e spegnendo il cellulare.

Avevamo ancora quindici minuti. Lui mi guardò, il suo sguardo poteva sembrare crudele perché era sempre accigliato, ma per me era lo sguardo di un ragazzo dolce, pieno di talento e di obiettivi che vedeva irraggiungibili. Soprattutto ora che mi guardava con le gote rosse.

Sotto a quello sguardo mi icrinai, qualcosa si mosse in me, mi sentii spoglia e subito la mia mente mi riportò a poco prima. Al sangue. Mi abbracciai da sola, sentendo improvvisamente freddo. Lui capì subito che c'era qualcosa che non andava ma non appena aprì bocca per parlare, io scattai via come quando accidentalmente pesti la coda ad un gatto.

«Mi sono ricordata di dover fare una cosa. Scusa» lo anticipai, balbettando e allontanandomi.

Uscii fuori dal negozio e chiamai la clinica di un paese vicino, restai un po' in attesa ma per mia fortuna rispose presto una segretaria. Chiesi di prenotare un'ecografia con urgenza, il prima possibile, ma dovevo aspettare comunque otto giorni. Accettai lo stesso e riagganciai. Quando mi girai, vidi Daniel che mi stava raggiungendo.

Appena mi fu di fronte, senza dirmi nulla, mi abbracciò. Mi abbracciò forte, manco sapesse davvero che tutto stava andando male, che la mia vita faceva schifo e che io avevo paura di tutto ormai. Anche dell'aria che respiravo.

«Ti ricambio l'abbraccio di ieri, Sunny» disse ridendo, alleggerendo così l'aria.

Non so perché mi abbracciò proprio in quel momento, ma ne avevo maledettamente bisogno.

«Sunny?» chiesi confusa.

«Esatto, ti chiamerò così da oggi in poi, Sunny. Considerala un piccolo contrario del tuo nome. Mi sembri più un sole, vivo e allegro che illumina tutto intorno. Non ti ci vedo nel buio.»

Io ridacchiai ed insieme andammo verso il negozio, era ora di iniziare a lavorare e non mi sorpresi di sapere che, anche quel giorno, io e Daniel avremmo lavorato assieme.

Questa volta, stavamo sistemando in silenzio il deo ambiente del negozio in allestimento, ero in silenzio da così tanto tempo che avevo bisogno di rinfrescarmi la gola.

Mi ritrovai ad imprecare al pensiero di quanto dovevo attendere per la visita.

«Oh diamine. Che hai?»

Daniel mi guardava severo, studiando il mio viso.

«Niente» dissi, continuando a spostare le boccettine profumate sul ripiano bianco.

«Non me la racconti giusta. Hai litigato con il fidanzato? Problemi a casa? ciclo? non ti piace il lavoro?» continuò.

Sospirai, sconfitta.

«Alcuni problemi non sono così... futili. Ci sono anche cose più serie» continuai a tenere lo sguardo sui prodotti davanti a me, tutto pur di non guardarlo.

Da quando avevo scoperto che era fidanzato, volevo mantenere le distanze. Ero fedele alle mie emozioni ma ogni volta che lo vedevo non potevo far altro che complimentare mentalmente la sua bellezza e dannarmi perché non sarebbe mai stato mio. Come se io non fossi fidanzata poi! avevo paura delle emozioni che avevo iniziato a provare, quindi volevo semplicemente stargli alla larga.

Inoltre, non volevo che scoprisse nulla riguardo ai miei problemi personali.

Poche persone lo sapevano e così sarebbe dovuto restare. Certe cose è meglio dimenticarle e distruggere per sempre ogni ricordo inerente.

«Mmh. Quindi è qualcosa di grosso? Posso aiutarti?»

Magari.

«Non ne voglio parlare» tagliai corto, ma il suo sguardo mi disse che non mi avrebbe lasciato perdere.

«Oh, andiamo.»

Tirai un respiro carico di frustrazione e abbandonai tutto, dirigendomi al deposito inferiore del negozio dove avevamo tutta la merce.

Daniel mi seguì a ruota, evidentemente interessato.

Appena scendemmo, vidi Gioele lavorare con il muletto, fra le labbra aveva una canna.

«Ehilà Stella, ti unisci?» mi chiese, riferendosi alla canna.

Non sapevo fumasse anche lui ma scrollai le spalle e accettai, sotto lo sguardo incredulo di Daniel.

«Sunny, ma che diavolo fai?» disse, confuso.

Io e Gioele ci guardammo e ridemmo di gusto. Il nome Sunny sembrava il nomignolo per una bambina.

«Sunny? Cos'è questa novità? Lo adoro. Ti chiamerò anche io così!»

Andò a battere il cinque a Daniel e poi ci guardò divertito. Passai la canna a Daniel e mi allontanai da loro, alla ricerca della scatola che mi serviva.

«Ho bisogno di tutti i deo ambiente» dissi, iniziando a guardarmi intorno.

«È preoccupata per qualcosa, Gioele, aiutami a capire» sentii Daniel mormorare, appena mi voltai me li ritrovai di fronte con un ghigno sul viso.

«Ma come Sunny? Che c'è che non va? Te le preparo io le scatole se me lo dici» propose Gioele.

Portai i pugni sui fianchi e inarcai le sopracciglia.

«Uomini» soffiai, prima di sentire Lidia urlare i nostri nomi.

«Raga, abbiamo finito, ci accompagnate a casa?»

Gioele strappò la canna da Daniel, ne fece un tiro e la gettò a terra schiacciandola con il piede, poi diede vari calci finché non cadde nel tombino.

«Certo, stiamo salendo.»

Salimmo tutti e tre al piano superiore, dove già tutti ci aspettavano vicino all'auto aziendale.

«Sunny, vuoi un passaggio?» chiese Daniel, entrando al posto di guida.

Annuì e mi accomodai dentro il veicolo assieme agli altri.

Subito un chiacchiericcio si alzò, tutti iniziarono a ridere e a parlare.

Eravamo proprio un bel gruppo.

Ma non potevo far altro che essere a disagio, avevo gli occhi di Daniel che mi bruciarono addosso per tutto il viaggio, i suoi occhi erano infuocati nonostante mi stesse guardando dallo specchietto retrovisore.

«Daniel, non ti conveniva accompagnare prima Stella che era più vicina? Così ti tocca ritornare indietro» fece notare Cesare, abbassando il finestrino per accendersi una sigaretta.

«Vero, mi ero dimenticato. Va be', pazienza. ritornerò indietro dopo» disse.

Ma qualcosa mi diceva che l'aveva fatto di proposito, così da poter stare da solo in auto con me.

Angolo Autrice

Ho pubblicato due capitoli in una giornata. Ehehe. Ma non facciamoci l'abitudine. L'ho fatto solo perché non vedo l'ora di pubblicare il capitolo di domani, dove si parlerà di una persona molto importante nella storia.
Comunque spero che vi piaccia anche questo capitolo. Nel caso ci siete, lasciate pure un commento e una stellina che non fa mai male. ★
Grazie mille a tutti!

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