Belive 25

''Più scura la notte, più luminose le stelle.''

-Fëdor Dostoevskij

Nella notte non avevo mai trovato riparto o serenità.

Per me arrivava ogni giorno sempre troppo presto e mi faceva sentire sempre troppo sola.

Eppure ero costretta a ricredermi ogni volta che guardavo quegli occhi tanto scuri, con screziature ancora più oscure.

Le cose dopo l'inizio di noi, erano successe troppo velocemente per qualsiasi persona. Il giorno prima ci vedevi mentre ci guardavamo imbarazzati e timidi e il giorno dopo eravamo mano nella mano a ballare su note silenziose.

Avevamo un modo tutto nostro di amarci, uno che ti inghiottiva incredibilmente e completamente. Non c'importava cosa potessero pensare le persone nel guardarci cosi uniti, perché con lui, avevo imparato a seguire solo ciò che ero.

Amarmi mi era ancora difficile, ma non impossibile.

E niente riusciva ad incrinare il nostro rapporto. Nemmeno Chris che prima della partenza per il lavoro, era passato al negozio.

Daniel era nell'altro negozio e penso che non era lui l'obbiettivo infatti, appena entrato dalle porti scorrevoli i suoi occhi mi avevano subito trovata e si era avvicinato velocemente.

Ero seduta sul pavimento mentre tiravo i prodotti più venduti avanti quando si mise alla mia altezza.

«Sono venuto a trovarti. Oggi parto.» mi sorpresi triste. Dopotutto sapevo quanto poteva essere difficile stare lontani da casa completamente soli. Chris per me rimaneva la persona con cui avevo passato molti anni e, anche se nell'ultimo periodo mi sentivo in gabbia, non potevo cessare di voler bene ad una persona che aveva fatto tanto per me negli anni precedenti.

 «Chris, mi dispiace ma io...»

«Non dire nulla. So che Daniel non c'entra nulla con me e te. Lo so da me perché è partito tutto da molto prima di lui. Quindi non devi preoccuparti. Volevo solo salutarti.» capii che mi stava dicendo la verità. Capii che anche lui allora aveva capito l'inizio della nostra fine quale e quando era stato; perché quando qualcosa finisce, come la nostra relazione, dopo la rabbia si passa ad un esame approfondito di tutte le colpe reciproche e Chris evidentemente era giunto a quello.

Anch'io mi ero sottoposta a quest'esame nello stesso periodo in cui eravamo insieme. Eravamo in crisi e non eravamo più capaci di comprenderci e sostenerci. Mi ero allontanata da lui inconsapevolmente e non riuscivo più a trovare una scorciatoia per ritornare indietro e dopo mesi a combattere per trovarne una, mi ero chiesta: Perché devo ritornare indietro se sto semplicemente proseguendo la mia strada?

Mi alzai lentamente e lo abbracciai un po' impacciata. Attenta a non stringerlo troppo ma a fargli capire quanto bene gli volessi ancora.

«In bocca a lupo Chris.» in un minuto le mie braccia erano vuote e il mio cuore pieno di tristezza.

Fu una giornata triste, lineare e monotona. E guardandomi intorno capii che quello non era il posto per me.

Vedevo tutto troppo stretto e se lo era per me, non immaginavo per Daniel che aveva trascorso ben dieci anni in quelle mura.

Sospirai e guardai i lineamenti dei miei colleghi anziani, immaginandomi la loro vita.

Giulio una volta che tornava a casa, non condivideva il letto con nessuno. era sulla cinquantina e solo. Sorrideva a tutti, non si mostrava mai triste ma ero sicura lo fosse.

Sophia a primo impatto poteva essere crudele. Ricordo ancora la prima volta che la vidi, quando Amelia chiese a me e Daniel di aiutare l'altro negozio. Sophia era una dura ma sotto sotto nascondeva un lato tenero che a nascondere per proteggersi e avevo instaurato un bel rapporto con lei, eravamo molto simili infondo.

Però loro non erano ciò che avrei voluto essere.

Mi voltai leggermente verso l'entrata e vidi Daniel dietro alle porti scorrevoli, mentre portava con sé alcuni scatoloni.

Lui che non si bastava mai e che aveva cosi tanta voglia di vivere, era costretto invece a essere intrappolato in questo posto.

E io non gli avrei permesso tutto ciò.

«Sorpresa Sunny!» esclamò, avvicinandosi e allungandomi della pizza in un cartoncino.

Sophia mi diede il cambio alla cassa e andammo in magazzino, lo stesso dove mesi prima avevo chiesto a Daniel di parlarmi di se stesso. Ci sedemmo sulle scatole e iniziammo a mangiare.

Mentre lui mi parlava della sua giornata, io mi guardavo intorno e non potevo non vedere le pareti scolorite e pieni di muffa, guardai il pavimento scuro che rendeva questo posto più cupo.

Questo posto non era per noi.

Quando ritornai a casa, la voglia di portarlo via da tutto questo aveva decisamente superato tutto.

Io non ero Irene, io le opportunità me le dovevo creare e a volte bisogna farsele da soli.

Sul letto di casa, decisi di cambiare drasticamente tutto della mia vita. Non volevo avere freni per niente. Ora come non mai, volevo vivere. E volevo farlo fino in fondo.

Quando sopporti un cancro, dopo che l'hai combattuto e superato per un soffio, prendi la vita più seriamente. Volevo fare le cose in fretta e subito, per non avere rimpianti se la vita decidesse di prendermi ancora a sprangate in faccia.

Guardai di nuovo lo schermo del telefono concentrandomi su ogni dettaglio della mia prenotazione e guardai soddisfatta la conferma:

Ventisei Aprile. London Stansted. Andata senza ritorno.

Due persone. Due bagagli.

Afferrai frettolosamente la giacca e presi le chiavi dell'auto dei miei, che non poteva definirsi ancora tale. Forse era meglio chiamarlo catorcio o rottame ambulante.

«Mamma, papà, esco.» corsi giù i cinquantacinque scalini e mi lanciai dentro l'auto verde limone.

Appena accostai sotto casa sua, lo chiamai.

«Esci fuori.» sputai prima di riagganciare e aspettarlo, Daniel uscì poco dopo con addosso solo una felpa larga grigia.

Appena mi vide sorrise, ed io ricambiai con un sorriso vero.

Guardai dietro le sue spalle, i palazzi vecchi contornati da pietre che per me potevano risalire benissimo al dopoguerra, con ancora i pozzi del cortile coperti da una lastra di legno dove si nascondevano alla guerra. Guardai quel pozzo mai usato in mezzo al cortile, le erbacce sparse sulla ghiaia dove i cani ci pisciavano sopra ogni giorno e le auto abbandonate vicino ai muretti. Sfasciate e consumate un po' dal tempo. Guardai il suo balcone leggermente rialzato con un semplice cancello di ferro battuto a delimitare la zona privata di casa sua. Le finestre lasciate aperte che lasciavano intravedere la cucina e i suoi genitori che mangiavano e guardavano il televisore mentre la luce dei lampioni fatiscenti che si alternavano fra poche luci accese e altre fulminate, illuminavano a malapena il marciapiede e la stradina quasi sterrata.

«Ti porto via da qui, vieni.» Gli dissi abbassando il finestrino. Lui fece il giro dell'auto guardandomi allegro ed entrò.

«Dove andiamo? a mangiare un panino?» mi chiese, inconsapevole di tutto. Scossi un po' la testa e lo portai dove mi sentivo di andare.

Passarono dieci minuti prima di fermare l'auto davanti al posto in cui tempo fa avevamo corso.

Beh, non proprio corso. Daniel era in tuta e correva a più non posso ed io ero sopra la mia amata bici.

Lo stesso posto in cui mi accarezzò le labbra sotto alle stelle accese dalla notte.

Si guardò intorno e sorrise caldamente, contento che lo avessi portato qui.

«Tieni. » gli passai il cellulare con aperta ancora la schermata della prenotazione per Londra. Lui lo afferrò dubbioso e iniziò a leggere il contenuto proietato sullo sfondo, poco dopo la sua testa scattò verso di me e spalancò leggermente la bocca.

«Mi porti a Londra?» disse incredulo.

Lo guardai per un po' studiandomi i suoi lineamenti delicati, la barba lasciata sempre lì a coprirgli il volto e il naso spigoloso, ma quello che mi attraeva come calamita erano i suoi occhi grandi, immensi oserei dire.

Mi girai, ti guardai e ti dissi «tu sei la mia Londra.»

«Io e te. Andata senza ritorno» sussurrò mesto mentre guardava ancora il nome di Londra sul cellulare. Poi lo posò e mi prese i fianchi, il collo, le labbra, la pelle, le ossa e il cuore.

La nostra prima volta venne consumata in un auto sfasciata, presi da una passione incontenibile e vicino ai campi di grano.

Terra e cielo divenne un confine meno netto per me mentre ero sotto di lui ad assaporare la pelle nuda della sua spalla con i nostri bordi che coincidevano perfettamente.

Sentivo tutto più intensamente mentre il suo respiro si fondeva con il mio, ogni suo tocco mi bruciava come il sale sulla ferita e mi beava di ciò che mi provocava.

Scuoteva in me fantasie nascoste, desideri mai detti e sentimenti celati.

Riuscivo a sentire tutto. Anche il mondo che girava a pena e lentamente, impercettibilmente e troppo velocemente per me ora.

Non sapevo più dove erano in confini, non sapevo più se quell'auto era ancora parcheggiata vicino al marciapiede buio di fronte ai campi o se galleggiasse nello spazio vicino alle stelle.

Dov'eravamo realmente? esistevano dimensioni solo nostre?

Quanto tempo abbiamo perso a non toccarci? a non viverci?

Non voglio perdere più tempo per vivere perché giuro, mi sembra che prima d'ora non l'avevo mai fatto. Come si respira? ho ancora bisogno di respirare ora che sei con me?

Portami via tutto, portami via i vestiti, la pelle, le lacrime, i sorrisi e i dolori. Portameli via.

Portami via.

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