Hawaii Institute of Marine Biology


Fu fugace il momento nel quale l'agitazione prese il sopravvento sul mio fisico mingherlino mentre varcavo i cancelli dell'istituto.

Lì avrei studiato le sfaccettature più ignote e occulte delle celesti voragini marine.

La sera antecedente, dopo aver scemato il nervosismo cagionato dallo squalo, avevo rivolto un'occhiata solerte alle discipline del primo semestre.

Geobiologia, biologia marina, fisica del mare ... niente di singolare.

Dora mi aveva accompagnata premurosamente sino all'ingresso anteriore dell'edificio, salutandomi con un caloroso abbraccio nel quale assimilai un lieve coraggio che mi sarebbe servito per l'intera giornata.

Quella mattina entrai a passo preventivo dal cancello plumbeo dell'enorme struttura che per un anno avrei chiamato scuola.

Battezzai immediatamente il luogo con un capitombolo raccolto sull'erba umettata dagli irrigatori.

Ottimo ingresso di scena.

La mia scordinazione non aiutava affatto sulle superfici bagnate e, rialzandomi da terra, sentii sdrucciolare tra le dita qualche granello di terra.

Intorno alla mia ombra risaltavano tinte raggianti e spensierate: le palme sembravano lambire le lievi nuvole lattee che adornavano il cielo celeste, gli edifici rosati emergevano tra la flora fragrante e il vociare degli alunni inondava l'ambiente, accompagnando le note melodiose degli uccellini.

In lontananza scorgevo il suono sciolto delle onde: l'istituto si trovava nei pressi dell'oceano.

Il profumo di salsedine si poggiò sulle mie narici e abbassando comodamente le palpebre mi assaporai la bellezza di quell'istante.

«Sei quella nuova?» chiese una vocina vibrante alle mie spalle interferendo nel mio attimo di venerazione.

Mi girai, e scorsi una minuscola ragazzetta dalla carnagione olivastra e gli occhi gai.

Dall'onda che assunsero le sue labbra, rivolte verso le guance e aperte in un rasserenante sorriso, percepii la calda ospitalità della quale necessitavo il mio primo giorno di scuola.

«Si» affermai ricambiando l'espressione raggiante.

Allungai la mano destra, avvicinandola al corpo minuto della studentessa «Io mi chiamo Maui».

Neanche un secondo passò dalla mia azione alla sua risposta. Allungò prontamente anche il suo braccio, stringendo la presa e cinguettando allegramente «Io sono Sun».

I miei occhi si chiusero lievemente e il mio capo assunse una leggera piega rivolta verso destra.

Credo che la profondità delle mie pupille illuminate dal sole della mattinata, trapelarono tutta la venerazione che provavo per quel nome. Sun.

Il sole ad una ragazza che, all'apparenza, se lo portava realmente dentro.

Il mio disincanto venne interrotto nuovamente dalla sua voce acuta.

«Ti va di fare un giro?»

Poi voltandosi di 180 gradi aprì l'arto superiore sinistro verso il paesaggio che ci circondava «Potrei mostrarti la scuola... sai, sei nuova, hai bisogno di una guida. Io son la persona perfetta!».

Mantenendo il viso arricciato in una velatura di ciclopica euforia, congiunse i palmi pregandomi di accettare la sua proposta.

Spostava il suo umile peso da un piede all'altro ad una velocità talmente dinamica che i miei occhi chiesero pietà. Le mie iridi non sapevano più se volgersi a destra o a sinistra.

«Okay, okay! Andiamo...» fermai i suoi movimenti spastici con un gridolino acuto che giunse alle orecchie di un gruppetto di ragazze poco distanti da noi.

Una bionda artificiale con un tiratissimo chignonmo' di pelle della Jolie mi squadrò mentre bisbigliava con la massa di papere starnazzanti che cicalavano ogni qual volta lei aprisse le labbra gonfiabili che abitavano la sua faccia da Bratz.

Le avevo già osservate ancor prima di varcare i cancelli... o meglio, loro avevano adocchiato me.

«Oh, a loro non farci caso. Sono le Jellyfish» disse prontamente Sun quando si accorse che stavo guardando nella loro direzione. Il tono di voce con il quale pronunciò quella locuzione palesò un'evidente sottomissione.

«Sai, qui c'è una gerarchia da rispettare» alzò le iridi alla volta celeste e continuò «Meglio se rimaniamo al nostro posto».

Non mi ero mai sentita secondaria a nessuno e soprattutto, nell'opuscolo di presentazione di questo sorprendente istituto non era stata citata alcun tipo di gerarchizzazione, tra l'altro molto indisponente, capeggiata da leader negativi e con il becco da gabbiano mozzato.

Il mio disinteresse nei confronti del cipiglio che evidenziavano i loro ceffi non poteva far altro che disperdersi nel vento, astratto ed insignificante come gli acari di una soffitta inselvatichita.

Che poi, ad una che con i lupi ci aveva convissuto concretamente e di branchi ne aveva scrutati e venerati a centinaia, poteva mai nuocere uno stormo di volatili problematici?

Una tracotanza presso ché incorporea.

«E chi dice che questo sia il nostro... di posto?» pronunciai con accorta determinazione quell'interrogativo, alzando il sopracciglio destro per accrescere la fermezza delle mie parole.

Poggiando il palmo sulla schiena della piccola Sun, ancora sospettosa e guardinga nei confronti della mia calma incolore, «Forza, mostrami l'istituto».





*





Trascorsi armoniosamente la lezione della mattinata, adoperandomi accuratamente ad annotare ogni particolare di discorso che stillava dalle labbra del professore.

La geobiologia non mi aveva mai ammaliata smodatamente, tuttavia trovavo comunque necessario attribuire a quella disciplina la medesima importanza delle altre presenti nel piano di studi.

Certo, non la attendevo ansiosamente e in maniera inebriante come per altre materie, e probabilmente le mie pupille non luccicavano di un entusiasmo colorito, ma dopotutto il professore non la rendeva così stomachevole come pensavo.

Forse il mio interesse era quasi paragonabile a quello di un procione per il mondo esterno durante il periodo di letargo. Lievissimo, per intenderci.

Converrete con me che, analizzare le faglie o i "camini tullerici" non è così entusiasmante come una fetta di pizza.

Trascorsi l'intera ora del pranzo seduta sui ciuffi d'erba fragrante, ormai asciutta e confortevole.

Lasciai che la brezza del mezzogiorno sfiorasse la mia cute e allungai comodamente la schiena sulla distesa verde, rivolgendo i miei occhi lustri verso il firmamento turchino.

Uno stormo a pinnacolo di gabbiani transitò melodioso al di sopra del suolo, attraversando una flebile nube che passeggiava solitaria nel cielo empireo, quasi volesse dileguarsi nella luce del sole.

Avrei voluto scattare una fotografia per catturare il fascino di quell'istante e conferire a quell'attimo un'eterna immortalità, mostrandolo gelosamente al mio tenero babbo.

Avrei desiderato che il tempo restasse immoto, ancorato e inerte in quel lasso pacifico e incontestabile che riempiva remoti cantoni della mia mente di pensieri euritmici, eufonici.

Un abbandono totale del mio corpo alla natura docile, che vibrava esaltante come l'orchestra d'emozioni alla quale dava origine.

«Eccomi! Mangiamo?» risuonò altisonante la voce di Sun, appena tornata da un'incontenibile urgenza al bagno.

Quella ragazzetta minuta aveva la capacità di interrompere attimi di venerazioni considerevoli senza tuttavia accrescere un senso di nervosismo per la crepa che scaturiva tra la mia mente e la contemplazione pura e sacra del paesaggio.

Alzai il dorso, incrociando le gambette da cerbiatta come fossero un nastro da pacco e accettai la proposta.

«Si, Sun. Ho parecchia fame».

Dora mi aveva preparato premurosamente una macedonia, scegliendo accuratamente la frutta di mio gradimento e sminuzzandola zelantemente nella ciotolina ermetica.

Ananas, cocco, acai, feijoa e carambola: una dolcezza raffinata per il mio palato ghiotto.

Avevo rifiutato stentatamente un piatto di pasta fredda, poiché l'addizione tra due addendi pericolosi come carboidrati e caldo torrido avrebbe sicuramente portato ad un risultato prevedibile: l'abbiocco. Un ghiro spossato sotto i trenta gradi del Pacifico.

Mangiai lentamente, assaporando ogni nota dolcemente aspra delle prelibatezze che si trovavano tra le mani. Non volevo precipitarmi avidamente sul cibo come fossero vettovaglie prodigiose destinate ad un popolo che soffriva di fame.

«Ne vuoi un po'?» chiese cordialmente Sun con la gota sinistra piena di insalata di riso.

L'angolo brioso del suo labbro inferiore esibiva una goccia di sugo cremisi, che le feci notare indicandola con il dito e passandole un tovagliolino lilla.

«No, grazie», sorrisi.

In breve tempo finimmo il nostro pranzo e trascorremmo gli ultimi minuti della pausa, che ci era stata concessa, sdraiate sulla distesa verde.

«Quindi adesso sei una sorta di cugina per Dion, giusto?» mi domandò Sun con tono sommosso.

Il momento labile nel quale giunse al mio udito quel nome tetro fu deciso.

Alzai la schiena dal prato, volgendo il mio viso verso quello della ragazzetta coricata accanto a me, «No».

Non ero a conoscenza del fatto che lo squalo fosse così celebre e conosciuto nel luogo. Tra l'altro, avevo compreso da Dora, che lui non frequentasse questo istituto.

Ma soltanto sentendo nominare il nome di Dion invano, mi si raggelarono i globuli rossi.

Anzi, globuli bianchi e piastrine comprese.

«Che sai di lui?» domandai a mia volta, cercando di palesare inane bianca indifferenza.

Il lasso di tempo che Sun impiegò per riassumere una posizione perpendicolare al suolo risultò flemmatico.

Ci avrebbe messo meno uno scout alle prime armi ad aprire e montare una tenda da campeggio.

«Cosa vuoi sapere?» chiese a sua volta.

Ma che sottospecie di risposta era "Cosa vuoi sapere?".

Il mio babbo mi aveva educata in maniera eccelsa: non si rispondeva ad una domanda con un altro quesito. Ed ora, in quel posto immoto e maledettamente fantastico, una brunetta alta un metro e quaranta mi aveva posto un interrogativo che scalfiva ogni cantone di perimetro del mio orgoglio e della mia dignità.

Sia ben chiaro. Non mi incuriosiva particolarmente quella specie di essere occulto e incomprensibile, ma se dovevo combattere, mi servivano ragguagli molto più rilevanti di due zigomi ben definiti che avevo perfettamente notato in autonomia.

«Tutto».






Fuoco🔥

Buongiorno orsetti lettori! Come state?

Volevo avvisarvi che ho scelto come giorno d'aggiornamento il lunedì.

Tuttavia, potranno esserci casi in cui pubblicherò due capitoli a settimana 🐻

Grazie, grazie di cuore per essere arrivati sino a qui. La nostra Maui inizierà il suo luuuuuungo e tortuoso percorso in questa nuovissima terra.

Si, è un po' sbadatella. E sarebbe più coordinato un gruppo di elefanti su un filo di ragnatela, piuttosto che lei. Ma datele fiducia.🙈

Un abbraccio,

Stige💌

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top