Capitolo 2 -Nel buio dipinta di blu

VICTORIA

"Ero forte come un diamante e tu brillavi come la pietra più preziosa. In fondo eravamo solo atomi di carbonio, ma non assomigliavamo affatto alla punta di una matita. Brillavamo come stelle in un mondo spento e ci abbagliavamo a vicenda con la nostra luce. Un diamante può essere spezzato solo da un altro diamante, e non è un caso che le cose più belle siano sempre quelle più pericolose. Era destino che fossi proprio tu a ridurmi in mille pezzi."

Abbandonai la penna e le lacrime cominciarono a scendere. Finalmente. Non sapevo per quanto tempo non avessi versato neanche una lacrima, ma probabilmente abbastanza da tenermi occupata per le prossime cinque o sei ore.

In realtà lo sapevo: erano due anni, tre mesi e ventitré giorni che non piangevo.

Da quando mi era venuta la folle idea di fidanzarmi con Daniele ero piombata in un'anestesia forzata, che piano piano stava spegnendo tutto di me. Non solo il dolore. Le canzoni non venivano più, i colori erano spenti, ogni cosa intorno a me aveva perso sapore e odore. Anche le crêpes con la Nutella.

All'inizio tutto bene, anzi benissimo.

Niente malinconia, niente lacrime, qualche incazzatura; quel tanto che mi liberasse la testa dal disastro che erano stati gli anni addietro. Ma poi? Poi era rimasto il niente, e il niente finisce sempre per riempirsi con qualcosa di sbagliato. Una cosa a caso, come due occhi verdi nel bel mezzo di Via del Corso.

Per quanto mi sforzassi di tornare la sorella perduta di Spock, il mio cuore non la smetteva mai di sobbalzare a ogni motocicletta ferma sotto casa. Lo cercavo, da tutte le parti.

Nic era ormai felicemente fidanzato, ma non riuscivo proprio a credere che mi avesse dimenticata. Dopo di lui tutto era tornato grigio come prima, e le sere, senza sentire il racconto della sua giornata, erano diventate un momento triste che tentavo di riempire in ogni modo. Avevo cercato di mandare avanti la mia vita dopo Nic, dopo André, ormai rockstar affermata; avevo tentato di rimettere in sesto gli Out of Order, e di buttare tutto dentro la musica, ma non era bastato. Puntuale, ogni tot di mesi, crollavo; e mi ritrovavo sul parquet della mia camera, con la Fender tra le mani e gli occhi gonfi e persi, a chiedermi perché fossi stata così cretina da lasciare andare Nicholas.

Era arrivato Daniele, e gli Out of Order se ne erano andati. Erano passati quasi otto anni, ma il mio pacchetto di fazzoletti era sempre lì, pronto a supportarmi nel fingere l'ennesimo attacco di allergia, qualora fosse entrato qualcuno.

Ora non c'era neanche più Daniele, non sapevo se purtroppo o per fortuna. Forse più la seconda. Lasciando lui avevo ripreso me stessa, nonostante comportasse sentire di nuovo quello sconforto incredibile a ogni ora del giorno.

Ci sono persone che sembrano fatte su misura per te, poi c'era il mio ex. La prima volta che lo vidi pensai che fosse esattamente l'opposto di quello che piaceva a me: un ragazzo posato, tranquillo, cauto e responsabile, uno di quei tipi in camicia e maglioncino che tanto piacciono alle mamme e che non farebbero mai alcuna follia. Mi si era avvicinato mentre ero seduta a uno dei tavoli del pub, ignara del perché quella sera mi fossi lasciata convincere da Isabel a uscire. Mi ci erano voluti circa cinque minuti per rendermi conto di avere accanto un tizio, intento a fissarmi.

«Che c'è?» Mi sforzai di risultare il meno scontrosa possibile.

«Ma quanto ci metti a fare quella treccia?» Con un'espressione dubbiosa indicò la lunga treccia olandese con cui avevo raccolto i capelli. Scoppiai a ridere, era il tentativo di approccio più goffo che avessi mai sentito; talmente tanto che mi incuriosì.

Frequentare seriamente Daniele non era stata una decisione facile. C'era sempre il fantasma di Nicholas a rendermi tutto impossibile. Dopo quasi un mese di uscite, tra di noi non era ancora successo nulla. Aspettavo un qualcosa che mi desse la spinta a buttarmi. Non di sotto, possibilmente. Anche se, dopo l'ennesimo discorso sul Codice civile, la voglia era tanta.

La svolta arrivò un sabato, durante una passeggiata in Via del Corso incrociai Charlotte. Ci eravamo perse di vista, e dopo quella vicenda del bacio con Alex non ero più riuscita a riallacciare con lei. Vederla proprio quel giorno, dopo tanto tempo, mi sembrò un segno. Pensai tutta la notte a cosa fare: il cuore mi diceva di chiamarla e chiederle nuovamente di Nicholas, mentre la testa mi prendeva per un orecchio, intimandomi di lasciarmi tutto alle spalle e dare una vera possibilità a Daniele.

Ovviamente il giorno dopo Charlotte era davanti a me, in un pub, con in mano un bicchiere pieno di un liquido chiaro dall'odore forte, credo fosse vodka.

La logica e fredda Victoria si era trasformata in una lunatica ragazza in balia delle emozioni. E senza band.

Che brutta fine.

Io e Charlotte iniziammo a parlare del più e del meno, soprattutto di come la band di André, i Nothing 2 Declare (in bimbominkiese N2D), fosse diventata la luce guida delle ragazzine di mezza Europa. Nonostante parlare di lui mi facesse venire un senso di nausea, continuai, consapevole che non sarei mai riuscita a chiederle di Nicholas.

Come previsto, di tutto il discorso da conferenza dell'ONU che mi ero preparata, non uscì neanche una parola; ero di ghiaccio. Charlie mi chiese del rosso con gli occhi chiari che aveva visto al mio fianco il giorno prima.

«Carino, vero? Ma lo sai che preferisco i biondi.» Neanche questo patetico e disperato tentativo di spostare la conversazione su Nic ebbe successo. «Si chiama Daniele, è un amico.» In quel momento non riuscii a definirlo in un altro modo.

Ragazzo... no! Conoscente, nemmeno... Scopamico, figuriamoci! Era già tanto che mi venisse voglia di tenergli la mano per strada.

«Carino, però ha quelle sopracciglia strane, un po' a V.»

Accennai un sorriso, riconoscendo che almeno il suo essere ipercritica con le persone non fosse cambiato. Forse l'unica cosa che era rimasta invariata in lei. Charlotte era un'altra persona rispetto a quella che avevo visto l'ultima volta; aveva perso quell'aria goffa e insicura. Era ormai una donna, mentre io...

Era una sensazione frequente ormai, quella di sentire che tutti fossero cambiati tranne me. Erano tutti andati avanti, Columbiani compresi, mentre io ero rimasta intrappolata tra le pagine di un piccolo diario di tanti anni fa.

Io, con la maglietta azzurra della Nazionale, una trombetta in mano e Isabel a consolarmi mentre piangevo come una fontana dopo aver visto la locandina del tour dei N2D. Un documentario sulla fioritura dei ciliegi a Tokyo di sottofondo a completare drammaticamente il tutto. I tifosi in festa, dopo ore dalla finale dei mondiali, ancora cantavano Volare fuori dalla finestra, e io mi sentivo nel buio. Nel buio dipinta di blu. Ecco la scena che mi si dipingeva davanti ogni volta che pensavo a me stessa.

Cavolo, che bel ricordo!

«Fai la fotografa, ora? Ho visto dei tuoi scatti su Facebook, sono molto belli» tentai di rompere il ghiaccio. Non mi ero mai sentita tanto a disagio.

«Sì, vivo a Parigi. Ho iniziato ad affiancare un fotografo francese e alla fine mi sono appassionata. Credo sia il lavoro giusto per me» disse lei, dopo aver sorseggiato tutto di un fiato mezzo bicchiere. Osservai i suoi capelli lunghi fino alle spalle, lisci e ben pettinati; il trucco semplice, ma curato. Mi chiesi se della mia vecchia amica Charlotte fosse rimasto qualcosa.

«Come mai proprio Parigi?» Mi arrotolai una ciocca di capelli biondi tra le dita, i miei erano rimasti uguali: lunghissimi e sempre con tanta voglia di annodarsi.

«I miei volevano che studiassi legge lì, e io avevo solo voglia di scappare via. Le cose non sono più state le stesse da quando Nicholas non c'è più.» Sentire pronunciare il suo nome mi fece lo stesso effetto di un bacio a un cavo dell'alta tensione.

«Non vi vedete più?» chiesi con un filo di voce.

Charlotte prese una cartina e iniziò ad arrotolarsi una sigaretta, come se parlare di Nicholas non la toccasse affatto.

«Nicholas è morto, anni fa. Un'incidente durante una gara di surf.» Lo disse nel modo più naturale e diretto possibile, come se lo stesse raccontando a un estraneo. La testa iniziò a girarmi, non sapevo che dire. Avrei voluto urlare come una pazza e chiederle perché non mi avesse detto nulla, ma non ci riuscii. Ero un pezzo di ghiaccio. Sperai in uno scherzo. Mi guardai intorno in attesa dei cartelloni di qualche candid camera.

Non poteva essere. Non doveva essere.

Ok, Vic: sguardo disinvolto, spalle rilassate, mani ferme, ma non troppo. Respira. Cavolo, respira.

«Non lo sapevo, mi dispiace.» La mia voce fu così fredda da stentare a riconoscerla.

Charlotte fece spallucce, rassegnata, poi bevve tutto ciò che restava del suo drink. Finì di arrotolare la sua sigaretta senza scomporsi. Non poteva avere una reazione simile, la vecchia Charlie sarebbe morta senza Nicholas, invece lei sembrava stesse parlando di un lontano conoscente; ma d'altronde era molto cambiata. Quella tizia non era la mia Charlie.

La serata proseguì parlando di tutt'altro, o meglio con Charlotte a raccontare delle sue avventure parigine; mentre io, completamente scioccata, tentavo di non far trasparire lo sconforto che stavo provando. Come poteva essere così crudele da dirmi una cosa del genere in quel modo?

Ci salutammo dopo un'oretta e mezza, e ogni passo che facevo per raggiungere la mia macchina era come una coltellata alle spalle. Feci un respiro e trovai la forza di voltarmi e raggiungere Charlotte. Non potevo lasciar andare tutto così, non potevo commettere di nuovo lo stesso errore.

«Charlie» la chiamai, lei si girò a guardarmi. «Perché non me lo hai detto?» Trovai il coraggio di guardarla negli occhi.

«Dirti cosa?»

«Dirti cosa... ma sei seria? Di Nic!» alzai la voce senza neanche rendermene conto.

«Non credevo ti importasse.»

Respira.

«Che non mi importasse? Di Nicholas?» Non riuscivo a credere a ciò che stavo sentendo.

«Ti importava tanto da dargli buca. Non ti ho più vista, mi hai abbandonata. Nicholas è stato male per te, ma forse eri troppo impegnata per cercarlo.» Charlotte era arrabbiata e io mi sentivo confusa.

«Lo sai che non è così, lo sai bene. Poi, tu mi avevi detto che era felice, che mi aveva dimenticata... non era così, vero?»

Era così, cavolo era così.

Mi sentivo di morire.

«Dovevo difenderlo. Vista la facilità con cui avevi abbandonato me non avresti fatto altro che ferirlo, ancora. Come hai ferito André.» Forse a quel punto era stato il suo drink a parlare per lei.

«Ho ferito André perché amavo Nicholas...» sbottai in preda alla rabbia. Poi mi calmai, non aveva senso sbraitare. Dovevo cercare di capire. «Fammi capire, non mi aveva dimenticata? Perché hai fatto tutto questo?» Infilai nervosamente le mani nelle tasche dei jeans e mi appoggiai alla macchina, in cerca di un briciolo di sostegno.

«Lo stavi distruggendo. D'altronde i giornali erano pieni di foto tue e di André.» Charlotte fissava l'asfalto tenendo nella mano destra un accendino giallo. Evitava di guardarmi in faccia.

«Ci siamo visti solo una volta, io e André, e non è successo nulla. Fammi capire, ci hai riempiti di cazzate per separarci? Io non ci credo.» La mia voce tremò.

«Sei sparita. Quindi cosa dovevo fare? Chiamarti e dirti: Sai, Nic è morto.»

Non riuscii più a pensare. Non ero in grado nemmeno di stabilire se lei avesse ragione, se davvero non avessi fatto abbastanza per contattare Nic. La mia mente era in black out.

«La verità è che uno come Nicholas non te lo meritavi, si era fatto un'idea di te troppo perfetta, e infatti si sbagliava. Nessuno avrebbe mai potuto essere alla sua altezza.»

Quella frase ancora mi tormentava.

Dopo la rivelazione di Charlotte me ne ero tornata a casa e, proprio come stavo facendo in quell'istante, anche allora mi ero buttata sul pavimento a fissare il vuoto. Nicholas e gli Out of Order, le uniche mie speranze, non c'erano più. Lui non c'era più.

Ricevetti un messaggio poco dopo, e quasi lo cancellai dalla rabbia.


Aspetto che le tenebre vengano a reclamare la mia anima oscura, avrei voluto rispondergli.

Riflettei. Cercavo un segno per decidere se imbarcarmi o meno nella storia con lui, e proprio in quel momento avevo scoperto della morte di Nicholas.

Più segno di quello!

Mi ritrovai a breve con una fedina scintillante al dito e un buco nero nel cuore. Ma dopotutto, nel buio, un buco nero non può che diventare invisibile.

Così credevo, e così fu. Per un po'. La vita con Daniele rappresentava l'antidoto a tutto ciò che ero. Ma, quando la settimana prima avevo ritrovato uno dei tanti plettri che tenevo attaccati allo zaino negli anni del liceo, quel buco nero aveva ricominciato a brillare in maniera prepotente. Quel pezzo di plastica fucsia era stato tra le mie mani così tante volte durante le chiamate con Charlotte e Nic che ormai non potevo non associarlo a loro.

Mi sembrava surreale ripensare agli ultimi sette anni, ancora di più realizzare che avevo appena lasciato Daniele. Quella stessa sera scrissi una delle canzoni più rancorose del mio repertorio. Immaginai nella mia testa a quale interprete avrei potuto proporla.

Qualcuno molto triste.

Qualcuno molto solo.

Qualcuno troppo libero, troppo stupido, e senza binari.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top