Il tanto temuto venerdì - parte 2

Inizio a fissare senza ritegno Jack con evidente astio in volto. Se potessi lanciare saette dagli occhi, a quest'ora avrei di fronte una torcia umana. Ma lui pare non accorgersi di niente. E' ancora nella sua bolla d'amore, mentre, danzante, calpesta le formiche intorno a lui, senza nemmeno rendersene conto.

La riunione va avanti per un'altra buona mezz'ora, della quale non riesco a recepire nulla. Sono troppo furiosa per riuscire a pensare ad altro che non sia: "Non è giusto", "Non me lo dovevi fare", "Dopo tutto quello che ho fatto per te", "Non avrai voluto farmela pagare per lo scherzetto di ieri sera?", "Ingrato, ingrato, ingrato!!!"

Riprendo contatto con la realtà solo dopo il terzo: "La riunione è finita. Potete tornare nei vostri uffici".

Scatto in piedi come se mi avesse punto all'improvviso una puntina, lasciata sulla sedia per dispetto da qualche odioso collega, e cammino affannosamente dietro a Jack, che sta ancora parlando con il dott. Guatelli. Inizio a sospettare di essere diventata invisibile. Nonostante il mio sventolare le mani in aria, i colpi di tosse e altri svariati tentativi di attirare la sua attenzione, niente. Lui continua a interagire imperterrito con il suo interlocutore, senza degnarmi di uno sguardo, fino a quando non spariscono entrambi in un'altra sala riunioni, dove si chiudono dentro, forse addirittura a chiave, per non essere disturbati. Evidentemente per loro la riunione non è ancora finita.

Non mi rimane che tornare al mio posto, dove neanche a dirlo, non riesco a combinare nulla, se non fissare il PC e scrivere un documento Word di sfogo, dove esprimo senza mezzi termini tutta la mia frustrazione. Dicono che scrivere abbia proprietà terapeutiche. Devo ammettere che già dopo qualche riga piena di odio, mi sento molto meglio.

Normalmente il venerdì faccio orario ridotto. Sono già le tre e mezza e ci si aspetta che come di prassi, mi metta a correre a gambe levate verso l'uscita, prima di ricevere qualche telefonata indesiderata di chi vorrebbe appiopparmi lavori dell'ultimo minuto. Ma non riesco a smuovermi da questa sedia. Devo parlare con Jack. Non può finire così. Non deve finire così! Ma quanto ne avrà ancora tra riunioni e chiacchierate varie con i responsabili delle diverse aree? Chiederò a Miriam. Sicuramente l'avranno informata sul planning del giorno.

"Miriam, sono Jessica!"

"Jessica? Sono le tre e quaranta, che ci fai ancora in ufficio?"

"Bella domanda. Senti avrei bisogno di parlare con Mister Parish, sai per caso dove si trova?"

"Mister Parish? E' andato via più di mezz'ora fa. Credo avesse il suo aereo alle cinque. Mi dispiace Jessica, se vuoi puoi scrivergli un'email"

"Già, come ho fatto a non pensarci prima? Grazie Miriam, sempre provvidenziale il tuo aiuto!"

Acidità ai massimi livelli. 

Che cosa??? Se ne è andato senza nemmeno un saluto! E io che l'ho persino invitato a casa mia! Io che gli ho salvato il matrimonio! Io che... E' inconcepibile!

Lascio l'ufficio con un muso tanto lungo da strisciare per terra, che mal si addice a chi si accinge a iniziare il weekend. Non mi riconosco più. A quanto pare nemmeno i colleghi mi riconoscono più. Invece di salutarmi al mio passaggio si chiedono chi sia la nuova impiegata.

Il mio cervello ha già smesso di funzionare, stufo pure lui di continuare a rimuginare.

Cammino coi piedi pesanti. Faccio tutto il viaggio in modalità pilota automatico. Metro. Tram. Tragitto a piedi. Infilo la chiave nella serratura, ma non riesco ad aprire. C'è dietro un'altra chiave. Amanbir è a casa?

Inizio a suonare con foga, non vedo l'ora di raccontargli quello che è successo! Inizio anche a chiamarlo con la voce, in caso il campanello non fosse sufficiente a richiamare la sua attenzione. Per precauzione, sbatto pure una mano contro la porta:

"Amanbir, sei in casa? Amanbir, apri! Sono io! Apri!"

"Eccomi tesoro, che succede? Come mai sei così agitata?"

"Oh Amanbir, sono così felice di trovarti a casa! Sei uscito prima? Non hai idea di cosa mi sia successo oggi! Ma sai che quel BA..." – faccio appena in tempo a rimangiarmi la parola, mentre entrando nel salotto trovo ad accogliermi i sorrisi abbaglianti di Jack e Kate. Sbianco. Svengo. O meglio, vorrei stramazzare al suolo perdendo i sensi per non dover affrontare questo momento, ma perché a me non riesce mai di svenire?



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