Rescue

Astra muove lentamente gli occhi da un punto all' altro del soffitto della propria stanza, accarezzando con lo sguardo ogni ombra, ogni angolo, ogni piccola scrostatura di vernice bianca vi sia presente, come una vecchia amica.

Fred, nel suo lettino, sta dormendo come un sasso anche se sono appena le nove e mezza e mamma è di sotto a sistemare alcune cose. Lei, invece, non dovrebbe essere qui. Papà le ha parlato dell'ultimo messaggio, naturalmente.

- Stasera andrò a verificare che abbiano liberato Steve. Non ho motivo di dubitarne visto che sono ancora loro a tenere il coltello dalla parte del manico, ma la prudenza non è mai troppa, anche se è dopo che dovremo vedere come muoverci. Puoi venire con me, se vuoi. Avremo bisogno di qualcuno che si rechi al settore.

Questo, le ha detto. Astra ha rifiutato; francamente, dopo gli ultimi avvenimenti è sfiancata. Vuole bene a Steve e gli sarà sempre grata per averla salvata, ma non se la sente davvero di andarci. Tornare al settore la spaventa, e nessuno le garantisce che qualcuno non proverà a rapirla di nuovo, se ci mettesse piede ora. Meno esce da Lyoko, e meglio è.

Subito dopo cena, suo padre ha telefonato a non sa chi ed è sparito. Lei è qui più o meno da mezz'ora, immobile, sopra le coperte. Non ha freddo, nonostante abbia di nuovo nevicato di mattina e le temperature esterne siano sotto zero. La finestra ha dovuto chiuderla per evitare che il fratello si prendesse una polmonite, ma si sente soffocare. Potrebbe andare sul balcone in camera dei suoi, magari dopo aver preso una felpa: ora come ora ha bisogno di aria, non importa quanto gelida questa possa essere.

Si alza in silenzio, attenta a non svegliare il fratellino. Una volta che la nuova peste sarà arrivata, ne avrà, di tempo per stare alzato. Per quanto riguarda lei, è fatto universalmente riconosciuto che nemmeno una cannonata in piena notte riuscirebbe a buttarla giù dal letto, fortunatamente.
Prende la prima maglia aperta che le capita sotto tiro nell' armadio e la indossa, chiudendola, poi va in camera dei genitori e attraversa la stanza in penombra, fino a giungere alla portafinestra. La apre ed esce all'esterno. Quel balcone è probabilmente il punto più riparato della facciata posteriore, a differenza di quello suo e di Fred, in quanto suo nonno ha insistito per allungare la tettoia fino a coprirlo. Di neve, ai suoi piedi, c'è solo qualche fiocco agonizzante già in parte diventato fanghiglia.

Astra fissa il bosco dietro casa, una chiazza nera che quasi si confonde con il cielo notturno. Non un lampione ne illumina le strade alberate, infatti. Da piccola, le piaceva immaginare che quella fosse la foresta incantata di cui leggeva nei libri di fiabe con sua madre, che i sussurri prodotti dalle fronde del vento in realtà fossero le fate che, finalmente, potevano uscire allo scoperto protette dalla notte. Forse il supercomputer non ci ha visto poi tanto male nell'affidarle la figura che incarna.

Il cielo è coperto di nuvole e la ragazza non riesce a vedere le stelle. Individua tuttavia il fiume, su cui si riflettono le luci lungo la strada, e nel mezzo un blocco scuro: la fabbrica. Avranno già preso Steve? A ripensarci, si sente un po' inutile qui. Anche prima ha provato la stessa sensazione, alla sala di controllo. Eppure, era sicura che la canzone non fosse un caso.

Prende un bel respiro, sentendo i polmoni immagazzinare aria gelata, e subito si sente meglio. Chiude gli occhi. Melody. Lo mima con le labbra. Se non c'entra nulla, perché suo nonno si è preso la briga di comporre una canzone senza il minimo ritmo durante i suoi ultimi mesi di vita?

Astra decide di rientrare; una volta dentro, si stringe nella felpa e si appresta a tornare in camera, ma in corridoio si ferma all'imbocco delle scale. Mamma è ancora in cucina, a giudicare dai rumori adesso sta guardando la televisione. Si sfila le ciabatte e scende piano le scale, attenta a non farsi udire e a non far scricchiolare il legno dei gradini, poi va in salotto. La luce è accesa, ma ovviamente non c'è nessuno. Nel camino, delle braci morenti emettono i loro ultimi bagliori, ma non è a questo che Astra bada appena entra.

Il pianoforte è sempre lì, al solito posto, poco più avanti del camino. Sua madre ha insistito per non spostarlo, ma da quando è rimasta di nuovo incinta suona di rado, visto che si è anche presa una pausa dal lavoro il mese scorso. Lei vi fa scorrere delicatamente un dito sopra; probabilmente l' ultima volta che la polvere è stata tolta è stata la settimana scorsa.
Quando Franz Hopper era vivo quasi ogni giorno in inverno veniva a trovarli, non importava che ci fosse il sole o la neve, e si riappropriava del suo tesoro, divertendosi a suonare per i bambini. Fino ai cinque anni, ogni tanto faceva sedere Astra o Niels in braccio e provava a fare una lezione ai suoi nipoti, di cui rideva ogni volta che sbagliavano le note -più o meno, quasi sempre. Lei lo adorava, anche se era un disastro. Sorride, ripensandoci.

- Uffa! - si lamenta la piccola. - Perché non posso riuscirci come la mamma?

- Oh, Astra, non devi arrabbiarti. Questa è un' arte che richiede calma... vedi, così...

- Ma un giorno potrò suonare come lei?

- Se ti impegnerai, sono sicuro di sì. Con la musica non esiste fretta, ma solo tempo e pazienza, calcoli e costanza. La musica è matematica.

Ovviamente, lei non ha né calma né costanza, e ha smesso di pestare e martoriare quei tasti molto tempo fa, ma ripensare alle parole che Hopper le diceva le strappa un altro sorriso. È sorprendente come riuscisse a inserire la scienza anche in una cosa apparentemente così semplice e senza misteri come una melodia.

Astra si rabbuia di colpo. Fa scorrere le dita lungo la tastiera, accarezzandone i tasti bianchi, come se potesse comunicare con essi e stesse intimando loro di parlare, di confessare un crimine occultato da tempo e ora smascherato.

- La musica è... - sussurra, le labbra e gli occhi ridotti a fessure. Ma certo. Come ha fatto a essere così stupida? Come punta da un insetto, si gira di botto alla volta dell' ingresso e afferra un giubbotto dall'attaccapanni. Sua madre, che ormai ha sentito il trambusto, fa capolino dalla cucina.

- Astra. Cosa avresti intenzione di fare a quest'ora?

- Andare alla fabbrica! - risponde lei come se fosse la cosa più ovvia del mondo. - Papà... c'è una cosa che deve assolutamente sapere!

Non attende nemmeno la risposta della donna; si limita ad aprire la porta, sbattersela dietro e iniziare a correre, correre come se ne andasse della sua vita.

***** *****

Steve quasi deve coprirsi gli occhi per la luce, una volta a terra. È come se si fosse svegliato da un incubo, e la sensazione non è molto lontana dalla realtà.

Non ha tanti ricordi di quello che è accaduto: solo freddo, freddo che penetra nelle ossa. Persone dall'aspetto anonimo che si precipitano attorno a lui e a Niels, spezzano la sua lancia e lo immobilizzano, senza una parola. Lo fanno alzare, lo portano in una stanza semivuota e buia, da solo. Ha paura, non riesce quasi a muoversi. Una persona sta davanti alla porta tutto il tempo; non gli portano nulla da mangiare, né lui ha fame, essendo ancora un avatar.
Prova anche a fare domande, ma l'uomo che è venuto a trovarlo non gli risponde, né su cosa vogliono né su dove diavolo sia Niels.

Qualche ora dopo, altre due persone entrano senza preavviso e lo fanno alzare, lo trascinano bendato nel luogo dove è arrivato, una sorta di sala scanner, ma più rustica. Gli spiegano che c'è stato un errore e che è libero di andarsene, senza lasciargli dire altro. Lo buttano dentro un tubo, ancora coi polsi legati, e questo si chiude.

Davanti adesso ha Tom ed Erik, nelle loro vesti di Guerrieri. Butta un occhio sullo stivale, dove scorge il bastoncino per la lancia di nuovo intatto, e sospira. Scuote la testa, ancora stordito. È seduto, e non ha molta voglia di alzarsi. Il mago gli offre una mano, e solo allora si rassegna a farlo. Qui sta bene, in effetti. Quel che lo preoccupa è come reagirà il suo vero corpo, una volta tornato sulla Terra. Non ha idea del perché lo abbiano rilasciato, ma la cosa gli puzza. Quegli uomini, chiunque essi siano, hanno ancora Niels; se ci pensa sente montargli dentro una rabbia enorme per non aver potuto fare nulla per lui.

- Steve, stai bene? - chiede Erik. Lui annuisce.

- Non mi hanno fatto nulla, tranquilli. Una dormita e sarò a posto. - ... almeno spero. Sente la voce di Jeremy dal supercomputer che dice qualcosa, ma non ci bada molto. All'improvviso avverte il corpo scomporsi, e quando abbassa lo sguardo ormai si è già trasformato per metà in pixel azzurri.

Eccola, la fitta alla testa. Si ritrova a reclamare improvvisamente aria, in ginocchio. Solo un ronzio costante gli fa capire che si trova di nuovo in uno scanner, visto che non ha la forza per alzare la testa, che gira come non ha mai fatto. Gli viene quasi da vomitare, per la nausea. È come se stesse provando la sensazione di venire scomposto e ricreato amplificata di cento volte.
Avverte a stento due braccia circondarlo, e quando capisce a chi appartengono per poco non gli manca il respiro. Suo padre non parla, si limita a stringerlo a sé, quasi stritolandolo con le braccia magre, ma Steve non si muove, sia per la mancanza di energie che per la sorpresa.

- Non hai idea della paura che ho avuto - sussurra William, e lui non si aspetta altro, ma gli va benissimo così. Il ragazzo non osa staccarsi, non ora che ha capito che suo padre sta piangendo. Lascia che sia William a lasciarlo andare, poco dopo, con gli occhi ancora arrossati. Tom ed Erik si sono rintanati su fondo della sala scanner, quasi come se sentissero di essere di troppo sia qui che al piano di sopra.
Dietro di loro, nascosta da Marlene, Amy non si azzarda ad aprire bocca; lo guarda, gli occhi scuri carichi di apprensione, come se il resto del suo corpo fosse pietrificato.

- Guarda che non mordo - biascica mentre si sforza per guardarla in faccia.

Amy non risponde. Steve si rassegna al fatto che, vuoi per la presenza di suo padre, vuoi perché si parla pur sempre di Amanda Stern, la sua reazione non cambierà e che la situazione è rimasta la stessa che ha lasciato prima di farsi catturare dai terroristi. Si appoggia con la mano al bordo dello scanner e fa per alzarsi, ma William deve aiutarlo a reggersi perché si rimetta in piedi. Suo padre cerca di guidarlo verso l'ascensore, ma Steve si stacca e raggiunge i suoi amici.

Amy sembra un coniglio spaventato, rossa in viso. A giudicare da come sta stingendo la mano di Marlene, probabilmente finirà per romperla; il moro si prepara a restare così per chissà quanto, le braccia lungo i fianchi e la nausea che pian piano pare andarsene, ma è ancora un fastidio enorme; tuttavia, a quanto pare ha sbagliato a fare i calcoli in questa occasione. Per la seconda volta nel giro di pochi minuti delle braccia lo stringono, ma stavolta sono esili e sottili. Steve ha ancora la sensazione di stare in una pressa, ma si lascia stritolare senza storie. Per un attimo, tanta è la stanchezza, ha la sensazione che potrebbe addormentarsi così, ma subito dopo un rumore gli penetra in testa... una voce. Amy si stacca da lui, l'attenzione rivolta alla scaletta che conduce al piano di sopra. Astra sta balbettando qualcosa a voce alta, qualcosa che non lo convince.

Non ha le forze per salire tramite il passaggio ed è costretto a salire in ascensore con suo padre; mentre lo fa, tenta di riprendere fiato. Quando le porte si aprono, è di nuovo la voce della sua amica ad accoglierli.

- ... sono codici, papà. Ne sono più che sicura, davve... Steve!

- Accidenti, che chiasso. - Il ragazzo si mette una mano sulla tempia.

- Stai bene?

- Tutto intero, a quanto pare... - Vorrebbe aggiungere che di Niels non sa nulla, ma gli pare superfluo. - Non c'è bisogno che vi preoccupiate di me, ho solo bisogno di una dormita.

- Fortunatamente, ha ragione - stavolta a parlare è Jeremy. Lo scienziato rivolge a Steve un sorriso come saluto, prima di tornare a fissare i monitor del computer. - Il tuo avatar non ha subìto alcun danno, e così le armi... sembra tutto regolare. Eppure, ero certo vi avessero scomposto.

- Ci hanno trasportati, credo. - Accidenti, gli gira la testa. Non possono aspettare domani per le domande, almeno?
- Non so altro, mi spiace... Astra stava dicendo qualcosa, però.

Gli spiace cambiare argomento, ma non è nemmeno sicuro di riuscire a ricordarsi tutto, ora come ora. Inoltre, la rosa stava seriamente parlando di codici, e qualunque cosa sia potrebbe rivelarsi più utile del descrivere due giorni in una cella e i comportamenti di persone di cui non ricorda il viso. Il loro capo, perché ovviamente ne hanno uno, non si è neanche degnato di farsi vivo, tra l'altro, visto che tutti quelli che aveva davanti sembravano piccole, identiche formiche operaie.

- Beh... - La ragazza per un momento appare incerta, ma è solo un istante. - Riguarda la melodia di mio nonno, quella nel supercomputer.

- Ma quella canzone non ha senso - obbietta Amy.

- Perché non è una vera canzone, semplicemente. - Nella stanza cala il silenzio: tutti pendono dalle labbra di Astra. - O meglio, non ha lo scopo di una canzone. Credo che il nonno volesse lasciarci un indizio, papà.

Per una volta persino Jeremy, il genio, sembra sorpreso da qualcosa. - Un momento, quindi prima intendevi una sequenza di codici?

- Ho pensato che le note possano essere collegate a una sequenza binaria... o qualcosa del genere, insomma.

- Ma... come ho fatto a non pensarci? Questa melodia dura un minuto circa: se si fa il conto di tutte le note usate e del loro numero sul pentagramma, una sequenza è più che possibile. Tuttavia, mi resta un dubbio.

- Un dubbio? - ripete William, avvicinandosi a Jeremy.

- Sì: Franz Hopper ha lasciato questa melodia qui poco dopo la nascita di Fred, ovvero quasi sette anni fa. Perché avrebbe dovuto darci un indizio, arma o quel che è, se allora non sapevamo dei terroristi e del fatto che avrebbero attaccato di nuovo?

- Io... direi di provare - avanza Tom. - Mal che vada, avremo perso una o due ore, ma credo che Aelita ci metterebbe di meno a identificare le note e convertirle o roba simile.

- Le sto mandando un messaggio ora stesso, spero risponda in fretta - dice l'uomo. - Se tutto va bene, sarà qui tra poco. - Si alza e si avvia all'ascensore.

- Dove vai, papà?

- Devo fare una visita. William, ti spiace stare qui con loro qualche altro minuto? So che hai lasciato Faith a casa, ma Aelita arriverà presto. È solo una precauzione in caso si attivasse una torre.

- Non preccuparti.

Steve osserva suo padre che fissa lo schermo. Non sa se parlargli del pensiero che ha avuto una o due volte, nell'ultimo periodo... quello di sua madre rapita dalla stessa persona che stanno combattendo da mesi. Ci avrà pensato anche lui? Sono anni che la mente di William Dunbar è diventata il suo rifugio, eppure è impenetrabile, come chiusa ermeticamente. Inizia a essere nervoso. Non può tenersi un sospetto simile per sè, anche se è solo un' idea e hanno appena ribadito che i terroristi non si sono fatti vivi fino a poco fa... a casa gliene parlerà. A casa. Domani. Dopo aver dormito. Ora, si abbandona in un angolo, seduto, estraniandosi dalla realtà senza troppo dispiacere.

***** *****

Jeremy non ricorda l'ultima volta che ha attraversato mezza Parigi per far visita ad Anthea, anche se normalmente tra i due non c'è il rapporto impossibile che si vede nei film tra suocera e genero, ragion per cui farlo non gli è mai dispiaciuto.

Stavolta, però, a condurlo all'appartamento nei pressi di Montmartre è una fretta disperata. Quando ferma la macchina, dopo venti minuti di corsa a cento chilometri all'ora -che probabilmente gli varranno uno stipendio in multe- gli sembra di essere appena sceso dal decimo giro sulle montagne russe. Ignora la nausea -per fortuna, nello stomaco non ha nulla da vomitare.

Tira fuori la copia delle chiavi che Anthea ha dato a lui e Aelita qualche anno fa, aprendo il portone. Davanti alla porta sul pianerottolo del terzo piano però bussa, pregando che aprano in fretta e che non siano a dormire.

- Chi è? - domanda una voce impastata e femminile dall'altro lato. Non è sua suocera, Jeremy lo riconosce subito.

- Sono io, Therese. - Clack, la serratura scatta. Therese Ishiyama è ancora vestita, ma la stanchezza e la voglia di andare a letto sono palesi sul volto incorniciato dai riccioli castano chiaro; tuttavia, alla vista di Jeremy è come se nei piccoli occhi verdi si riaccendesse la speranza.
- Ciao, scusa per l'ora.

- Lo avete trovato?

- Mi dispiace. - Gli si stringe lo stomaco a dirglielo: Therese è da due giorni a casa della madre, per il semplice fatto che ha detto di non sopportare di fingere davanti al clone di Niels che Jeremy ha creato. Al marito ha detto che Anthea ha una forte influenza e ha bisogno di aiuto. Lo scienziato le ha telefonato subito, prima, per avvertirla della liberazione di Steve, ma ha omesso i particolari sull'altro messaggio anonimo.

- Non... non fa niente.

- Davvero, sono desolato. Se sono qui è perché forse ho trovato un'altra pista da seguire, però, ma prima ho bisogno di parlare con Anthea. Sta per caso...?

- È sveglia. Ma vieni dentro, prego.

Jeremy non se lo fa ripetere due volte. Il calore della piccola casa gli penetra fin nelle ossa, e viene accolto dal profumo intenso di dolci e torte che permea i muri di quel posto da quando ne ha memoria, grazie ai frequenti -e ottimi- esperimenti della sua padrona. Anthea sbuca dalla cucina: indossa un maglione largo di lana e pantaloni della tuta, ed è avvolta da uno scialle nonostante i venti gradi. Le rughe sulla fronte sono un po' più accentuate di come Jeremy le ricordi, probabilmente a causa della preoccupazione degli ultimi giorni. Nonostante ciò, la donna lo accoglie con un enorme sorriso e un abbraccio.

- Ciao, Jeremy. Come stai?

- Anthea... tutto bene, grazie. Un po' stanco, ma non mi lamento.

- Dovresti dormire di più, lo sai?

- Tua figlia me lo ripete in continuazione.

- Sta bene?

- Benissimo, non preoccuparti.

- Beh, sapevo di averla lasciata in buone mani. Ma cosa ti porta qui? Hai notizie di Niels?

- Purtroppo no - per la seconda volta in pochi minuti si sente uno schifo, ma è la verità che sta raccontando. - Però avevo bisogno di parlarti, dopo aver ripreso Steve.

Anthea lo fa accomodare in soggiorno, mentre Therese si congeda in cucina a preparare un tè.
- Non sta molto bene, vedo... - dice l'uomo, alludendo a sua cognata.

- È uno straccio. Non vuole quasi toccare cibo. L'ho invitata qui per qualche giorno solo perché la tensione per il dover fingere con Hiroki sarebbe stata troppo per lei. Non posso fare altro che capire la sua situazione, ma soffro terribilmente anche io.

- Lo comprendo, Anthea. Ma se sono qui è perché Astra mi ha fornito una potenziale pista da seguire... pista che riguarda Franz Hopper. Perciò mi servivano informazioni da te: sei l'unica che lo conosceva a tal punto da aiutarmi. Non so se ci sarebbe di aiuto per Niels, ma...

- Non preoccuparti - lo rassicura Anthea. Ha compiuto sessantacinque anni da poco, eppure Jeremy gliene ha sempre dati come minimo dieci di meno. Oggi, però, è come se la sua vera età fosse saltata fuori di botto a chiedere il conto. Probabilmente doversi occupare della figlia in quelle condizioni ha fatto la sua parte, oltre alla storia dei terroristi. Jeremy si schiarisce la voce prima di parlare:

- Astra e i ragazzi, mesi fa, hanno trovato a nostra insaputa una melodia nel supercomputer lasciata a nome di Franz Hopper. Apparentemente non aveva senso, né dal punto di vista musicale né come messaggio, L'abbiamo ignorata, ma stasera ho ricevuto due messaggi anonimi, non uno: nel primo, quello dei terroristi, mi annunciavano la liberazione di Steve. Nel secondo, una certa persona probabilmente tedesca mi ha scritto una sola parola: Melody.

- E pensi che possa essere correlata alla canzone nel computer?

- Affatto. C'è solo una cosa che non posso fare a meno di chiedermi: la canzone risale a sette anni fa, pochi mesi prima che Hopper morisse, un paio dopo la nascita di Fred. Non sapevamo dei terroristi, come è possibile che abbia voluto lasciare un messaggio?

Anthea sospira, un sospiro rumoroso e lungo ad occhi socchiusi che rivela quanto detesti ricordare quei momenti.

- Negli ultimi mesi di vita è stato... un po' assente. Forse sapeva che ci avrebbe lasciato presto, o almeno così ho voluto credere. Passava molto meno tempo a casa, se ricordi, mentre io stavo con voi e i bambini. Lo trovavo sempre al computer. Sempre che fosse in casa...

- Come, scusa?

- Usciva sempre verso la sera. È durata solo qualche settimana, ma ogni giorno si assentava per un paio d'ore e poi si eclissava di nuovo nel suo studio. Dopo che... se n'è andato, non ho toccato i suoi documenti. Ho avuto paura che avesse di nuovo problemi, non ne ho voluto sapere. La sola cosa che voglio è vivere in pace. - Jeremy annuisce senza fiatare.

- Però hai sospettato che riguardasse i terroristi.

- Non ho nessuna certezza, naturalmente. Il suo computer viene usato solo per cose di poco conto e i documenti sono intatti, ma dubito abbia voluto lasciare altre prove. Se ha composto veramente quella canzone, non credo avrete altro.

- Capisco. Ti ringrazio, Anthea, sei stata...

- Jeremy! - Therese irrompe nella stanza. Ha in mano un telefonino, quello dello scienziato. - Lo avevi lasciato nel giubbino. È mia sorella, dice che ha bisogno di parlarti.

Jeremy scatta in piedi e afferra il cellulare, portandolo poi all'orecchio.

- Aelita, è successo qualcosa? Stai bene?

- Io sto benissimo, tranquillo - risponde calma la donna. - Ma ho portato qui il tuo computer per lavorare alla canzone e ho ricevuto un messaggio anonimo.

- Cosa diceva? - Calmo, calmo, deve restare calmo. Questa faccenda è piú delicata e inquietante di quanto pensasse, non possono permettersi errori.

- "Servus papyri est". Non l'ho presa alla lettera, ovviamente, ma qualsiasi cosa significhi, questo "Servus" è una cosa cartacea.

- Credo tu abbia ragione. - Il ragionamento di Aelita non fa una piega, ma meglio andarci piano. - Hai per caso risposto?

- Avevo intenzione di farlo dopo averti parlato. Volevo chiedere se questo Servus è nelle loro mani o nelle nostre.

- Ottimo, procedi pure - dice in tono freddo. Anthea e Therese si sono bloccate, la prima sul divano e la seconda ancora con il vassoio del tè in mano, come congelate. Dall'
altra parte della cornetta, invece, un picchiettare veloce annuncia a Jeremy che Aelita sta scrivendo. Seguono un paio di minuti di silenzio, prima che possa di nuovo sollevarsi al sentire la voce della moglie.

- Hanno risposto... ma sono preoccupata.

- Perché? Cosa dice il messaggio?

- "Servus delendus est". Non credo tu abbia bisogno di traduzioni, Jeremy.


Maaaaaa salveee😅
Il capitolo fa pena, I know, ma ci sono in mezzo un sacco di eventi e a causa di cose che non sto a spiegarvi l' ho scritto a spezzoni nell' arco di due settimane.
Cosa sarà Servus? E dove si troverà mai quel poraccio di Niels?

Per scoprirlo dovrete attendere... beh un pochetto perché voglio dedicarmi meglio ad un altra mia storia ma soprattutto perché la scuola mi ha ammazzata in queste ultime due settimane e continuerà a farlo se non mi metto ad imparare come cristo comanda il futuro in greco (NON fate il classico vi prego. Se avete scelto questo suicidio fuggite, sciocchi!)

Beh, io vado o seriamente quella mi piazza la versione a breve e mi fotto, me lo sento.
Spero di tornare dalla guerra, compagni,

Kincha007 (che come al solito si scusa per eventuali errori di battitura)

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