Éteint

C'è il sole, ma la giornata è tutt'altro che calda: un vento forte e tagliente sferza tutto ciò che trova al suo passaggio, regalando schiaffi gelidi e fischiando incontrastato su una Parigi che gli si è piegata da giorni.

Jeremy tenta di tenere il cappuccio saldo alla testa mentre compie i pochi passi che lo separano dall'altro lato del ponte. Dal basso, schizzi di acqua fredda si levano dal fiume arrivando a bagnargli il volto. Arriccia il naso e procede spedito finché non trova finalmente riparo nel vecchio capannone industriale. A fargli compagnia oggi ha solo l'eco dei suoi passi e le bottiglie rotte lasciate da chissà quali visitatori notturni, ma non gli importa molto. Non è venuto per divertirsi, né ha bisogno di altre persone stavolta; per quanto le sue orecchie odano quasi il respiro lento di Yumi, le risate di Odd e le bestemmie di Ulrich al dover scendere con le corde, oggi è solo. Nessuno di loro è qui e nemmeno ci tornerà mai. Anche Jeremy stesso, non appena mette piede sul suolo del piano inferiore, è consapevole che non lo farà. La fabbrica è stata luogo di lotte, inseguimenti e ferite, di risate e misteri, ma è bastata una notte perché si tramutasse in una tomba.

Chiama l'ascensore.
Non l'hanno seppellita, Laura. Non ne hanno avuto la possibilità: le coordinate geografiche del luogo in cui è morta Jeremy non è mai riuscito a crackarle e quando tramite notizie in internet è risalito a luogo dell'esplosione, un capannone abbandonato quasi al confine con il Belgio, le autorità avevano già fatto piazza pulita di quanto ci fosse, corpi compresi. Laura non aveva documenti né un nome e probabilmente non ha nemmeno una lapide a lei intestata, ora, ma per loro rimane la vecchia fabbrica della Renault vicina al collegio Kadic il luogo in cui aleggia la sua presenza, come una maledizione che gli ricorda che quando ci si immischia in cose del genere il prezzo prima o poi lo si paga e con gli interessi.

L'ascensore arriva e Jeremy vi sale sopra. Preme il tasto in basso, quello che lo porterà per l'ultima volta dove tutto ha avuto inizio, stavolta per scrivere la parola fine.
Il catorcio, come Niels è solito definirlo, si mette in moto con un rumore assordante che riempie le orecchie dell'uomo, ma non la sua testa: dovunque si giri, anche nella scatoletta metallica, vede ombre. Ombre del passato che gli ricordano che qui non ha nulla da fare, che Jeremy Belpois, il ragazzo prodigio, ormai non è più un collegiale. Che i tempi per sgattaiolare nella fabbrica e scoprire un mondo incredibile sono finiti e che non li rivivrà e che il suo posto è a casa, con i suoi ragazzi, con Aelita e il piccolo François che ha pochi giorni.

L'ascensore si apre sulla sala sotterranea. Davanti a lui, il supercomputer ronza con negligenza senza curarsi del visitatore appena venuto a trovarlo.
Jeremy si avvicina quanto basta perché la porticina che nasconde la maniglia di accensione si apra e la afferra, tirandola giù. La stanza si oscura di botto, lasciandolo nelle tenebre piú totali. Stringe la maniglia e di nuovo le ombre tornano ad infestare i suoi pensieri. Appena quattordici anni e l'ha tirata su. Marlene e Niels lo hanno imitato. Stavolta, si è detto a casa, nessuno lo farà. Stavolta, si dice adesso, non ci sarà il rischio che altri muoiano.

Fruga nella tasca alla ricerca dell'accendino e preme il bottone. Dalla lunga canna di questo scaturisce una tenue fiammella che a Jeremy basta per indovinare forme e contorni del colossale macchinario. Rimette la mano in tasca e ne riemerge con il flaconcino, che apre; subito, l'odore bruciante di alcol gli invade le narici. Sta per cospargere la maniglia, ma si blocca.

Ombre, ombre, ombre. Franz Hopper. Il lavoro di suo suocero, tutta una vita, la macchina che gli sta davanti, salvafica o infernale a seconda di chi ne usufruisce. Aelita. Riesce sempre a consolarlo, pensare ad Aelita.
Ma questi non sono altro che piacevoli ricordi. Qualsiasi momento gradevole trascorso in fabbrica non riuscirà mai a oscurare nel cuore dello scienziato la morte di Laura, gli attacchi a sua moglie e il rapimento di Anthea e Therese.

In un'altra realtà, Jeremy Belpois, ragazzo prodigio, avrebbe esitato. In un'altro tempo lo ha effettivamente fatto, spinto da quella che allora era solo la sua ragazza e con un'altra coscienza, infine, ha lasciato che Lyoko vivesse e che con esso prosperassero i suoi demoni. Ora nessuno di loro esiste piú: di XANA si è occupato l'antivirus ricavato dalla canzone, un paio di settimane fa, prima del parto di Aelita. I terroristi sono morti portandosi dietro i loro oscuri segreti e una vita a lui cara. E Jeremy, che sorride, è un adulto che ha appena capito che il tempo dei giochi è finito.

Non gli dispiace in fondo cospargere di liquido infiammabile la maniglia e vederla avvampare finché non rimangono che moncherini impossibili da alzare di nuovo. Non è piú il ragazzino solo e dipendente dal computer di allora, e subisce il distacco quasi con indifferenza. Ha altro a cui pensare, come suo figlio nato da poco, aiutare Fred con i compiti e fare il padre geloso con Astra. Non sentirà la mancanza del bip che annuncia le torri cosí come non prova senso di colpa: è certo che Franz Hopper avrebbe fatto lo stesso.

L'unica cosa che sente è calore sul volto, mentre chiama ancora l'ascensore e lascia la fabbrica per non tornarvi mai più.

***** *****

Amy raccatta velocemente libri, astuccio e la marea di fogli volanti su cui ha preso distrattamente appunti durante la lezione di storia. La sua compagna di banci chiude lo zaino prima di lei e si avvia. Ora che ci fa caso, tutti ultimamente sono piú veloci.

- Amy - la chiama Astra, sbadigliando e aspettandola alla porta. La ragazza dai capelli rosa ha da settimane occhiaie color ciano che sul suo viso pallido la rendono simile a un panda e che nemmeno il correttore riesce a nascondere. Amy ha visto abbastanza François, un bambino paffuto, dai bei ricci castani e gli occhi azzurri ma soprattutto dai prodigiosi polmoni, da capire che come minimo il fratellino ha lasciato ad Astra in regalo un arretrato di oltre venti ore di sonno. Anthea Hopper ha detto loro che Aelita non era il tipo e che molto probabilmente è da Therese che il nipotino ha ripreso questa cosa. Di Jeremy, neanche a parlarne.

- S-sì - nel muoversi urta il banco. - Arrivo!

Marlene è assente; le due amiche si incamminano insieme per i corridoi, visto che casualmente hanno un'altra lezione insieme.
Il mormorare degli studenti al cambio d'ora è come un dolce sottofondo per Amy, la aiuta a distrarsi.
Dopo quella sera, tentare di tornare alla vita normale è diventato un obiettivo che, ha capito, raggiungerà poco a poco. La scuola la assorbirà, le vacanze la aiuteranno a svagarsi e avrà le sue amiche: questo è il solo modo per farlo ed Amy sa che accadrà a breve... almeno per lei.

Sono passate tre settimane da quella tragedia e una da quando Jeremy ha fatto un colpo di telefono agli amici per annunciare di aver spento tutto senza convenevoli. C'è qualcuno, però, a cui difficilmente un mese sarà sufficiente.

Steve non è venuto a scuola oggi come non lo ha fatto per tutto gennaio. È il due febbraio, e del suo amico dai capelli color carbone ancora non ha avuto la minima notizia. Mamma le ha detto che è normale; nemmeno lei ha saputo nulla di William, però.
Amy non ha avuto il coraggio di chiamarlo per il semplice fatto che era consapevole di non avere nemmeno quello di affrontare una conversazione telefonica di quel tipo. Cosa dirgli? Non ha mai amato stare a telefono, finisce sempre per dire cavolate in situazioni normali... figurarsi con qualcuno dal carattere di Steve e che ha appena perso un genitore. Definitivamente.

Continua a camminare con Astra verso l'aula di scienze, parlottando con l'amica di cose di poco conto. Con la coda dell'occhio vede l'orologio appeso al muro dell'ingresso del Kadic che segna le nove e un quarto, la fila di armadietti grigi lungo le pareti e teste di studenti girati di spalle che vi ripongono i loro effetti personali. Teste castane, bionde, rosse... lo sguardo di Amy le passa tutte in rassegna con noncuranza e sta quasi per svoltare l'angolo quando lo vede.

-Steve! - Il ragazzo si è mescolato con gli altri e poco ci è mancato che non lo notasse. Amy gli corre incontro. Non importa cosa accadrà, ma se ne ha l'occasione deve parlargli. Astra la segue a qualche passo di distanza, i capelli rosa che ondeggiano, facendo un cenno di saluto.
Steve ha un grosso borsone grigio in mano, in cui sta stipando alla rinfusa libri, magliette e qualche altro oggetto.

- Tutto... tutto bene? - domanda timidamente lei. Domanda idiota, forse, ma vederlo cosí di botto comparire a scuola con quell'affare in mano la lascia perplessa.

- Sí... Sto semplicemente portando via le mie cose.

Amy non ha bisogno di chiedere per sapere il motivo di tale gesto, ma quale che sia, ciò le spezza il cuore.

- A-avresti un minuto? - Chissà perché, sente che non avrà molte altre occasioni di parlargli.

- Beh... d'accordo.

- Amy, dovremmo... - Astra preme l'indice sul polso destro per ricordarle che sono in ritardo. Il corridoio in effetti ora è vuoto, fatta eccezione per loro tre.

- Vai pure, ti raggiungo dopo e me la sbrigo io. - Coi voti e la condotta che ha, nessun professore la penalizzerebbe per un unico ritardo, fosse anche di mezz'ora. Astra si volta e svanisce nel giro di un paio di secondi.

- Ebbene... - Steve chiude l'armadietto e vi si appoggia con una mano, non dicendo altro.

- Sei... sparito - afferma. Non ha molto altro da dire per il semplice fatto che è proprio quello l'argomento di cui vuole trattare. Lui sospira. Amy avvampa.
- N-non intendo fartene una colpa ovviamente, era solo per dire...

- Lo so - la blocca.

- Eravamo preoccupati... pensavo ti fosse successo qualcosa. - Steve scrolla le spalle.

- Non può accadermi nulla che peggiori la mia situazione in questo momento, credimi.

- Io... non posso dire che capisco come ci si sente, sarebbe una cosa da idioti, ma... mi spiace moltissimo per quanto accaduto, Steve. Se c'era una persona che non se lo meritava quella eri tu.

- Dire questo non me la riporterà, Amy... - Il ragazzo sorride amaramente e la mora crolla. Come al solito ha detto la cosa sbagliata al momento sbagliato. Sente gli occhi bruciare e una lacrima le cola lungo la guancia. Abbassa la testa; non vuole farsi anche vedere in questo stato.

- Hai ragione. Scusa.

- No... non intendevo... mi spiace.

- Non devi essere tu a dispiacerti. Sono io la stupida. Credo... di dover andare. Prolungare questa conversazione farebbe male a entrambi, visto come sta andando. - Si volta. Nove e diciotto. Ha speso tre minuti della sua vita eppure le è parso di essere stata accanto agli armadietti per ore, tanta è la vergogna che ha provato.

- Aspetta. - Amy si ferma e gira nuovamente la testa verso Steve. - Non... non voglio andarmene così, senza salutarti.

- Salutarmi? - Lo sguardo della ragazza si posa di nuovo sul borsone grigio, quasi pieno, che l'amico stringe nella mano destra. - Vuoi dire che sarai talmente occupato da non avere più il tempo di rivederci? - Le lacrime diventano due, tre e nasconderle si fa impossibile. Amanda Stern non ha mai provato tanto imbarazzo in quindici anni di vita, ma ormai la dignità conta poco. Lo abbraccia come non fa da quando è tornato a casa, il mese prima. Mentre si stringe a lui, desidera che il tempo possa dilatarsi come ha fatto poco fa, almeno per un po'. Lo sa, lo sa che non avrà molte opportunità di rivederlo. Per Steve in una situazione del genere la cosa più importante sarà occuparsi di suo padre e della sorella, non gliene fa una colpa. Chiudere quella parentesi durata sei mesi in cui ha creduto che avrebbe ripreso a far parte delle loro vite farà male e farlo immediatamente sarebbe la cosa migliore, ma non vuole. Per una volta ferirsi è meno doloroso.

- L'istituto che frequenterò è fuori città. A Nizza.

Nizza. Piú Steve parla e piú lei comincia a credere che avrebbe fatto meglio a tirare dritto e non accorgersi della sua presenza. Per poco non crede che le ginocchia non la reggono. Che cambiasse scuola lo avrebbe accettato, in un modo o nell'altro. Avrebbe anche conservato la speranza di poter tornare a vedersi, ogni tanto, quando fosse passato tempo. Ma Nizza è troppo. Sono troppi chilometri, troppe chiacchierate perse, troppi battibecchi, scherzi e anche litigi che non avverranno mai.

- Quindi tu...

- E' stato mio padre a volerlo. Intende ricominciare lì - per la prima volta la voce del moro è incrinata. Amy è lieta di essere ancora stretta in quell'abbraccio a senso unico, perché non vuole guardarlo in faccia ora. Stringe la presa, inspira il profumo dei suoi vestiti col terrore di dimenticarlo e all'improvviso avverte una mano posata sulla sua testa, poi tutto accade in un attimo e non si sa come si ritrova non solo avvinghiata a lui, ma a baciarlo e non come in biblioteca: per quanto possa essere una sorpresa anche questa volta, ora lo vuole. Forse si è sbagliata su tutto; perché anche se ha considerato Steve suo amico fino a questo momento, ritrovarsi stretta a lui a baciarlo, a cercare di respirare e al contempo di non staccarsi dal suo volto... non vuole che finisca. Resterebbe nel corridoio vuoto del Kadic a farlo per ore.

Purtroppo la magia ci mette poco a svanire. E' lui a staccarsi, col fiato corto e i capelli sconvolti. Amy non si è accorta di averci infilato le mani. La guarda con un'espressione che non saprebbe decifrare esattamente, ma una cosa è certa... non è qualcosa di buono quel che vede negli occhi di Steve. Chiude i suoi.

- Non posso... non ora. No posso costringerti a restare qui e aspettare mentre me ne vado... e non me la sento ora. Amy, perdonami...

Si costringe a ingoiare un groppo amaro. In fondo, se lo aspettava.

- Non hai nulla di cui scusarti, di nuovo... Ma io... posso attendere. Io posso farlo, davvero.

- Amy...

- Lo farò. Ne sono sicura. Sei tu che me lo hai insegnato e non lo sono mai stata di più. Se saprò che tornerai... appena te la sentirai- Steve la circonda di nuovo con le braccia.

- Te lo giuro.

***** *****

- Marlene, sei sicura di sentirti bene?

- Per la millesima volta, Tom: non-ho-fame! Non sono malata. E non mi va un gelato oggi! - sbuffa lei. Da quando ha affermato di non avere appetito, il fratello ha cominciato a fare l'idiota e diagnosticarle malattie di ogni tipo.
Si passa una mano sulla fronte per togliere il sudore provocato dall'afa di luglio.

- E va bene! Basta che non mangi me, per la miseria... Niels, tu? -domanda il biondo, indicandogli la gelateria, dove Amy, Erik e Astra sono già seduti.

- No, resto qui. C'è... troppa confusione.
Tom fa un sorrisetto e sparisce all'interno del locale. In effetti c'è molta gente dentro e anche per questo Marlene non vuole entrare.
Niels infila le mani in tasca. Nell'ultimo periodo sono stati molto insieme... molto di piú. Forse a causa della partenza di Steve, che ha come messo fine alla vicenda surreale che hanno vissuto. Il ragazzo è apparso e sparito nello stesso istante in cui lo ha fatto anche Lyoko... e il loro gruppo è tornato a essere il solito, i sei ragazzi che mangiano per dieci e mettono a soqquadro il collegio -cinque, se si toglie Amy. Anche Nickie e Danielle si sono aggiunte, ma ciò non li ha sconvolti come il ragazzo dagli occhi grigi. I Guerrieri Lyoko sono tornati a essere normali ragazzini frequentanti una normale e noiosa scuola in un noioso quartiere di Parigi. E Niels, non piú ossessionato dalla battaglia personale intrapresa contro i terroristi, si è avvicinato a tutti, a Marlene in primis, in un modo che la bionda non si aspettava proprio. Mai si sarebbe aspettata di vederlo diventare cosí allegro e ottimista, ma Niels ha dimostrato di essere quel che ha dichiarato: una fenice.

- Ho caldo! - esclama lamentosamente la ragazza.

- Ma dai... - Fa il gesto di assestargli un cazzotto. È il quindici luglio e Niels Ishiyama sta girando in un luogo pubblico maniche lunghe. Certe cose dovrebbero essere illegali, riflette mentre si tira su la bretella della canottiera.

- Sicuro di non essere stato adottato? Anche gli eschimesi hanno gli occhi a mandorla, sai.

- Sono convinto al cento per cento di no, cara mia.

- Allora la spiegazione possibile è una sola, caro mio...
Niels le dà una gomitata. Marlene sghignazza e si allontana di qualche passo.

- Femminuccia - lo schernisce.

- Vieni qui e ne riparliamo - il moro alza gli occhi.

- Troppo comodo, prova a prendermi! - improvvisa una corsetta scansando le poche persone che le vengono contro; dura dieci metri, ma alla fie si lascia acciuffare apposta. Niels è diventato più veloce, oltre ad essere cresciuto di uno o due centimetri. Ha anche i capelli piú lunghi .
- Oh, no - commenta ironica. - Temo per la mia vita!

Alla fine il ragazzo la lascia.

- Hai pietà di me?

- Una specie - risponde con aria di superiorità.

- Quale magnanimità!

- Ti consiglio di non provocarmi...
Camminano ancora per un po', fino a cambiare isolato.

- Giusto... dimenticavo che dovrò sopportarti per altri tre anni. - Niels è l' unico dei suoi compagni che sia stato messo nella sua stessa classe, alle superiori. Astra ha preferito frequentare un indirizzo non presente al Kadic e si è iscritta all'istituto più vicino che lo aveva, e con Amy è stato un semplice caso.

- Ne riparliamo quando mi chiederai di passarti i compiti di almeno quattro materie, signorina.
Marlene muove una mano come per scacciare qualcosa e sbatte le ciglia:

- Suvvia... tu lo sai che non ho maai avuto intenzione di offenderti, vero?

- Come no... e comunque lo sai che le verifiche te le passerei in ogni caso.

- Sai che ti adoro, vero?

- N-non iniziare a fare la lecchina, ora! - La ragazza nota che si trovano un po' distanti da dove hanno lasciato gli altri, ma non se ne preoccupa tanto. L'idea di rintanarsi in un posto con l'aria condizionata non le sarebbe dispiaciuto, ma vista la confusione che c'era là dentro, sarebbe stato come non entrare. È certa che i ragazzi non ne verranno fuori prima di un altro quarto d'ora. E non le andava di lasciare Niels da solo fuori.

- Non ho bisogno di simili stratagemmi, mi conosci - cantilena.

- Fin troppo bene...

- Si può sapere che hai da guardarmi con quello sguardo altezzoso? Non credere che essere cresciuto di uno sputo ti dia questo diritto su una povera nana.

- Ah, ma che... io con te ci rinuncio.

Niels si batte una mano in fronte e lei ride.

- Ti ho già detto che in questo periodo sei di gran lunga più socievole?

-In verità sí, almeno una decina di volte, ma grazie... di nuovo. E poi sai com'è, devo prepararmi per la scuola. Dovremo pur farci qualche altro amico, no?

- Giusto. Sperando sia stanziale...

- Già... - Che Niels e Steve avessero legato abbastanza era chiaro e, sebbene meno di Amy, anche lui non ha preso molto bene la sua partenza. Ha promesso di tornare a trovarli e ci contano, ma non è senz'altro la stessa cosa.

- Sai che non poteva fare altrimenti. Non è rimasto al collegio per il semplice motivo che gli avrebbe fatto male.

- Non lo biasimo per la sua decisione...  solo, mi è dispiaciuto. Come tutti.

- Ehi, hai ancora noi - tenta di tirarlo su Marlene, mettendogli una mano sulla spalla. - La sottoscritta potrebbe offendersi! - Niels posa a sua volta la sua su di lei, sul fianco. La bionda si sente leggermente a disagio.

- Sai che non ne ha motivo, lei in particolare.

- L-leva quella manaccia, ho caldo! - sbotta. E si è fatto effettivamente caldo anche se non vorrebbe ammetterne il perché. Il moro spalanca gli occhi e socchiude le labbra. Assume per un attimo un'espressione pensosa, poi dice:

- E se ti facessi arrosto? - Marlene della Robbia si ritrova non solo con un'altra mano premuta sul fianco opposto, ma in procinto di essere avvinghiata all' amico.

- Uno di questi giorni la mia temperatura corporea salirà oltre la norma. E io, Ishiyama, attenderò con ansia quel momento per marchiarti a fuoco! - minaccia scrollandosi.

- Impossibile, al contatto con la tua pelle la mia produrrebbe vapore.

- Mi hai appena quasi ustionata con quelle mani! - Niels scrolla le spalle.

- Sei tu che hai problemi! - In verità è lui quello che Marlene vede vagamente diverso. Con lei si è sempre preso molte confidenze - o meglio dire, lei ha quasi imposto che lo facesse- ma di questo tipo mai. E questo tipo non sa se classificarlo come una certa categoria. E soprattutto, in caso affermativo, cosa ne pensa... perché non ha idea di come si troverebbe mai a trattare Niels in quel... quel modo.

Gli afferra il polso freddo. Dio santo, questo ragazzo è un pinguino. Lo tira a sé:

- Non vedo vapori salire dal geyser.

Quanti centimetri di distanza ci saranno tra la sua faccia e quella di lui? Venti? E perché Niels è rosso come un pomodoro se fino a tre secondi fa stava benissimo?
Il moro si divincola dalla sua presa senza emettere un suono. Il suo respiro è diventato piú veloce. Forse... forse una piccola prova...

- Magari ti stai raffreddando. - La voce di Niels é un sussurro in preda al panico.

- Possiamo... - dieci centimetri. - ... provare. - Cinque. Quattro. Tre. Due. Uno. Fa appena in tempo a sfiorare le labbra di Niels perché lui si blocca, ma effettivamente Marlene non sarebbe andata molto oltre. Non lo ha mai baciato, un ragazzo. Però il brivido che le è corso lungo la schiena e il tremore alle gambe sono stati sufficienti a quanto pare. Lo guarda negli occhi; le pupille di Niels sono un puntino minuscolo in mezzo a iridi tremanti di sorpresa e forse pudore.
Avvicina esitante la testa e la bionda rimane ferma. Nemmeno Niels riesce subito ad azzeccare le mosse giuste visto che a quanto pare è messo peggio di lei, tuttavia indovinare la posizione di un paio di labbra gli riesce facile. È lei ad aiutarlo, dopo, fondendo i loro volti in un bacio che crea come una dimensione a parte. Non esistono i passanti, i rumori, il luogo in cui si trovano. Ci sono solo un bacio e una piacevole conferma.

Si staccano in silenzio, gli occhi bassi. Una voce giunge alle orecchie di Marlene:

- Ehi, voi due, che combinate lí da soli? - Tom, Amy, Erik e Astra si avvicinano verso di loro. Suo fratello ha ancora mezzo cono in mano. La bionda si allontana di botto, sorridendo:

- Ishiyama, mi pareva di averti detto che oggi sto praticamente ardendo. - Fa a Niels un occhiolino. La conversazione continuerà piú tardi...ma Marlene prospetta un risultato molto piacevole.

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