6. Essere Forte
La mia vita continuò a trascorrere lenta e noiosa essendo costretto a vivere con un "padre" che nemmeno mi avrebbe voluto se solo gli fosse stato concesso. Che avrebbe preferito gettarmi all'interno di un cassonetto dei rifiuti piuttosto che continuare ad accudirmi come un vero genitore dovrebbe fare.
Ma infondo cos'è che potevo aspettarmi da lui?
Che cambiasse?
Che diventasse un altro per me?
Che dopo la morte della mia vera famiglia iniziasse a volermi bene?
Che facessi lui compassione da iniziare a trattarmi bene?
Tutti bei sogni, è vero, ma irrealizzabili. Lui non sarebbe mai cambiato, non mi avrebbe mai lasciato abitare una parte del proprio cuore, e purché illuso e stanco continuassi a provare e provare ancora e ancora non ci sarebbe mai stato spazio per me all'interno della sua vita. Avrei dovuto farmene una ragione, invece perché non ero ancora stato in grado di accettarlo?
Perché speravo che lui in fondo potesse cambiare se non l'avrebbe mai fatto? Perché continuare a tentare, a restare zitto una volta subite le proprie angherie?
Perché ogni lacrima a causa dei suoi insulti in me riversati faceva più male della precedente?
Perché non ero stato in grado di accettarlo?
Perché?
Perché non ne ero ancora stato in grado?
Una sera, lo ricordo come fosse ieri, mi avvolse in una coperta, pensando che mi stesse coprendo dal gelo invernale e mi mise del nastro adesivo intorno alla bocca così da non farmi parlare, come si era giustificato la mattina dopo così da poter guardare in santo silenzio il telegiornale in TV. Mi lasciò per quelle che mi parvero ore a ingoiare la saliva, a deglutire a vuoto cercando di liberarmi da quella soffocante presa.
Gli unici momenti felici della mia vita, quelli all'interno dei quali potevo realmente considerarmi felice furono mentre accovvacciato sul letto mi ritrovavo a scrivere di tutto e di più, oppure quando suonavo al piano lasciando che le note mi trasportassero all'interno di una dimensione a parte e non mi permettessero di udire il silenzio bruscamente stritolarmi. Un'altra di quelle cose che mi aiutavano a distrarmi era la presenza della mia migliore amica Clà.
Il resto era tutto uno schifo. Un ripugnante schifo totale.
Tutto cambiò quando lei a ventidue anni andò a convivere col suo ragazzo e decise di portarmi lì con loro, portandomi via da quella casa di derisione e violenza psicologica.
Decise di farlo per salvarmi e Salvatore, il fidanzato, non si oppose perché mi conosceva, sapeva che se avessero voluto restare in intimità, io sarei andato al cinema o al bar.
Avevo quattordici anni all'interno di quel periodo, non è che avrei potuto fare chissà cosa, l'avrei sfruttato per conoscere le ragazze. Si, avrei sfruttato quei bei tempi per fare nuove conoscenze, smettere di rimanere all'interno del mio guscio e venire allo scoperto uscire a galla, vedere la luce, risorgere dal buio, smettere di aver paura di ferirmi nuovamente, rimanere immobile solo per paura di tagliarmi, al taglio avrei messo dei cerrotti se proprio mi sarei squalcito la pelle.
Naturalmente nessuna storia seria fu quella che mi sarei aspettata di vivere, non perché non volessi io, erano loro a dirlo.
"Siamo troppo piccoli per fidanzarci, pensiamo a divertirci, poi si vedrà".
Io invece avrei già voluto idealizzare un futuro serio e stabile, purché avessi un età ancora giovane per pensare al futuro.
Era così sbagliato non voler commettere errori anticipatamente?
Programmare il proprio futuro così da non ritrovarsi con le mani nelle mani?
Era così difficile comprendere il mio punto di vista?
Ero io quello ad essere sbagliato o loro?
Avevo sbagliato tutto come ogni singola volta?
Ancora e ancora?
Oppure non vi rappresentava nulla di sbagliato in quello che la mia psiche idealizzava di costruire?
Non lo seppi, e mi sentii smarrito, nessuno che spiegava me come si diventa grandi, nessuno che guidava me verso una delle età più complicate di tutta la vita: l'adolescenza. E purché avessi Cla con me e Salvatore ¹ non sarebbe mai stata la stessa cosa, non sarebbe stato identica al passato, quando ancora al mio fianco risiedeva mia madre e mio nonno, i tempi non sarebbero mai stati come i tali.
Spesso la nostalgia ritornava, più forte degli istanti precedenti, o almeno così pareva. E tentavo di schiacciarla con ogni possibile maniera: la scrittura, la musica, il disegno, le passeggiate in piena notte per le vie buie della città; non sempre però ne ero in grado. Non sempre quell accerimo sentimento spariva, andava via come se non fosse mai tornato. Spesso mi rimaneva attaccato addosso e io disperato non ero in grado di lavarmi dalla bocca quel sapore di completa mancanza, ineguatezza verso il mondo. E tentavo, cavolo si che tentavo, quello però non andava mai via, rimane in me attaccato come colla sul viso, impossibile da lavare.
Intanto il tempo passava e io la notte avevo ancora gli incubi per quello che avevo dovuto subire all'interno della mia vecchia casa a causa di mio padre. Era tutta colpa sua, unicamente sua e di nessun altro.
Fu grazie a Clà e al suo ragazzo che cominciai ad avere una vita più normale, più regolare, solare, e oserei dire persino più felice rispetto a quella precedente, rispetto a quella vissuta con mio padre. Fu da quel momento che fui in grado di riprendere in mano le redini della mia vita, riprendere in mano il presente che avevo smarrito, lo stesso che mia madre aveva detto me di non mollare. Decisi, decisi che mai più niente e nessuno avrebbe dovuto buttarmi giù, schiacciarmi con le proprie gambe, io avrei lottato, ad ogni modo avrei per sempre lottato. Avrei dato inizio alla mia seconda vita, finalmente avrei potuto chiudere un capitolo mostruoso della mia vita e iniziarne uno di nuovo.
Ce l'avrei fatta?
Di sicuro non avrei smesso di lottare, combattere contro il mondo per vivere la mia vita, non permettendo più a nessun'altro di privarmi della mia stessa felicità. Più nessuno mi avrebbe tolto il sorriso di bocca, più nessuno avrebbe dovuto permettere me di versare una lacrima. Sarei stato forte.
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