3. La fine di tutto
Maggiormente rapido, proprio come un fiume prendere parte alla ripida discesa, simile a una rovente cascata correre via tra il vento, il tempo fece in egual modo, insieme alle secche foglie autunnali essere trasportate dalla gelida brezza insinuatasi tra le vie - intenta a sospingere i petali più leggeri dall'umido terriccio così da portarli via con sé, avvolgendoli come una sciarpa in pieno inverno - anch'esso fece lo stesso; le lancette veloci corsero una sull'altra sperando in cuore loro di superarne la corsa e uscirne vincitrici dalla battaglia.
Un incolmabile freddo continuò a crescere in quelli che parvero giorni privi di calore, ancora e ancora ma non più esternamente la mia figura, poiché come i mesi trascorsero anche le stagioni lo fecero mutando il proprio percorso e trasformando gli scenari dai quali venni circondato sempre più caldi, baciati dai roventi raggi solari, quasi tropicali a differenza dell'inverno rigido appena trascorso, tutto contrariamente al mio cuore; al suo interno il dolore non fece altro che aumentare sempre di più, insieme al gelo invadere ogni singolo centimetro di pelle.
Il rammarico in me celato divenne talmente saldo che ebbi l'impressione che non sarebbe più andato via, così come il pozzo formatosi alla bocca dello stomaco, fin troppo profondo da poter colmare; un infinito sconcerto che al petto inchiodò ardenti lame, ancora e ancora, pezzo dopo pezzo che non sarebbero più tornati indietro, non essendo in grado di accettare quel trascorso andato via per sempre, non ritornare più indietro.
Non ce la feci a esprimere nuove stelle come invece lui avrebbe voluto io facessi: brillare proprio come il sole in pieno giorno e continuare a trasmettere agli altri la mia luce, era questo ciò che avrebbe desiderato, mentre io differentemente sprofondai negli inferi più profondi e tetri.
Lì, proprio in alto al cielo, ogni tanto mi capitò di scorgere il proprio riflesso tra il disperso luccichio del cielo che dava a veder miriadi di stelle sorridenti sussurrarmi che l'avrei superato, che mi sarei rialzato prima o poi; furono solo i miei occhi soffusi dalle lacrime a distogliere la realtà, volendo che lui fosse ancora lì, al mio fianco.
Quelle erano normali stelle come le altre, prive del potere di riflettere le anime lì da qualche parte disperse nell'universo.
I contorni che disegnavano il suo sguardo non esistevano più, non sarebbero tornati la mattina dopo con in mano la colazione appena sfornata, avrei dovuto accettarlo.
E poi c'era lui: che come se provasse gusto nell'osservare il mio stomaco contorcersi e il dolore annebbiare la mia mente parve come prenderci gusto nel vedermi lì per terra dolorante e fragile crollare dinanzi i suoi occhi e mostrare le mie debolezze a colui che invincibile sopra ogni essere non aveva mai cessato di sentirsi, ritrovandosi poi privo d'anima e colmo di pensieri malati invadergli la mente.
Dalla più semplice azione malvagia verso i miei confronti alla più intensa, divertendosi nel vedermi coperto da lacrime sussurrare in silenzio basta, lui però non si fermava mai e continuava, continuava, continuava.
E quella che dentro il mio cuore parve essere una tempesta implacabile, una muraglia già abbattuta che non avrebbe potuto più demolirsi una seconda volta in realtà fu solo il primo vicolo cieco, non avendo realmente sperimentato cosa i seguenti concetti volessero realmente dire; non lo seppi davvero finché non lo provai sulla cute stavolta per davvero, nessuno sarebbe più stato in grado di portarmi a galla dalla tempesta come al contrario accadde dopo la morte del nonno, grazie a mia madre con la quale riuscii a rialzarmi e ad andare avanti, imparando a lasciare la sua morte sul petto, ma non come un peso ma bensì come un ricordo.
Questa volta lei non avrebbe potuto più farlo, nessuno poteva poiché l'unica roccia sulla quale mi ero sempre appoggiato e riposato la notte tempestosa adesso lentamente si stava erodendo e io sarei rimasto privo di rispetto, nuovamente vagante in cerca di una meta da occupare che mai più avrei trovato.
Solo dodici anni possedevo prima di vedere mia madre venirmi strappata via dalle braccia e non fare più ritorno dalla stanza bianca all'interno della quale mi aveva promesso sarebbe presto tornata, ma io non ero stupido, avevo smesso di credere alle favole due anni prima, con la morte di quella che io vedevo come una figura paterna.
Non mi sarei potuto permettere di perdere anche lei, l'unica che avevo amato davvero, non poteva lasciarmi, invece lo fece, troppo piccolo e ingenuo per affrontare le grinfie del mondo.
Me la lasciai sfuggire di mano e quello che mi ritrovai furono solo le mani intinte di sangue e la una anima già volata in paradiso, troppo distante dalla mia per essere raggiunta.
Una morte lenta, atroce, paragonabile a quella del padre fu la sua. Inizialmente nessuno ne aveva prontato il dubbio, purché continuasse a manifestare continua stanchezza spesso pur essendosi appena alzata, e non per pigrizia, poiché era una donna molto laboriosa, solo qualche mese dopo scoprimmo la causa che lentamente la stava consumando viva: le fu diagnostica una leucemia promielocitica maligna, il che equivale a una malattia cronica alla quale ormai non ci sarebbe stato più niente da fare se non lasciarla vivere finché avrebbe potuto, era troppo tardi per poter fare qualcosa, intervenire e rallentare il processo di distruzione; salvarla.
Avevo bisogno di più tempo, più coraggio per abituarmi alla sua assenza, al rimanere completamente solo e al freddo, indifeso contro l'intero mondo.
Il mio punto fermo non c'era più, adesso dove avrei trovato la forza di andare avanti?
Vuoto, solo il seguente fu quello che dopo mi pervase, privo di ogni vitalità, finché la penna non sfiorò la carta e la mano tremante non cominciò a scribacchiare su carta stralciata parole sconnesse, miste alle lacrime violente rotolarono sulle gote intingendo l'intero viso.
Involontariamente e per pura casualità trovai dopo un anno di completo silenzio una distrazione dallo stato di depressione all'interno del quale i mostri avrebbero voluto farmi scivolare.
Scrissi, per ore e ore, senza fermarmi, giorno dopo giorno. Del mio dolore, della perdita, del vuoto mentre l'inchiostro si intinse di lacrime che bagnarono i fogli sparsi su tutto il letto.
Scrissi ancora, consumando le pagine, macchiando le mani di inghiostro.
Lettere senza fine, parole riversate in preda all'agonia, sperando che a lei, ormai assente da questo mondo, potessero giungere.
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