Seconda Prova-Seconda Opportunità

Nichol camminava a passo veloce per i corridoi del suo castello, il tutto cercando di infilarsi il guanto sinistro che non si decideva a collaborare.

Forse perché era da donna e aveva preso quello sbagliato? Si chiese, notando solo in quel momento il piccolo dettaglio. Si fermò momentaneamente a decidere se proseguire o tornare indietro, quando qualcosa lo colpì da dietro facendolo cadere a terra.


Gli doleva la nuca. Questa fu la sua prima realizzazione non appena riprese conoscenza.

Si trovava su qualcosa di morbido, forse un letto. Faceva caldo in quel luogo, come se fosse stato steso vicino ad un camino acceso. Però non sentiva lo scoppiettare della fiamma, solo delle voci femminili, aveva dedotto, che impartivano ordini e dei veloci passi, di almeno due persone, che probabilmente si affrettavano a compiere la richiesta della voce principale.

Decise che rimanere in quella comoda posizione a poltrire non fosse degno del suo ruolo e, con fatica e rammarico, decise di far collaborare il suo corpo e mettersi seduto.

Dopo una debole nausea, forse dovuta al suo movimento eseguito troppo velocemente, aprì gli occhi e mise finalmente a fuoco l'ambiente che lo circondava. Si trovava in una stanza bianca con tanti lettini e barelle di fortuna, vi erano anche dei semplici lenzuoli bianchi stesi sul pavimento. Su ognuno di essi vi era un corpo, non cosciente o gravemente ferito, mentre, attorno a loro, alcune donne camminavano velocemente da una persona all'altra con in mano contenitori di vetro e bende, mentre seduti su sedie, o per terra, attaccati ai muri vi erano diversi uomini con braccia o altre parti della loro figura fasciate.

In sintesi, si trovava in una infermeria. Un'infermeria militare, a giudicare dalle ferite riportate e dalla quantità di gente.

«Ehì tu! Biondino!» urlò una voce femminile, la stessa che stava impartendo ordini alle altre donne in quella sala. Si girò verso di essa.

Una ragazza bionda lo fissava con dei magnetici occhi viola. Sì, tutta la sua attenzione era rivolta verso di essi.

«Se ti sei ripreso vedi di levarti. Altre persone in condizioni peggiori delle tue potrebbero averne bisogno» lo rimproverò avvicinandosi a grandi falcate. Era giovane, molto giovane per una capo infermiera. Però doveva ammettere che possedeva il carattere adatto per gestire quel tipo di struttura.

«Allora?» lo riprese nuovamente la bionda. Con un lungo sospiro, fece penzolare i suo arti inferiore dal brodo del suo lettino e, con calma, scese. Riprendendo con tranquillità la sensibilità e l'equilibrio necessari per fare qualche passo senza rovinarsi in modo indecoroso al suolo.

«Finalmente! Victoria, porta Luke da questa parte!» urlò verso una donna grassottella, la quale si diresse verso un lenzuolo occupato da un uomo incosciente sulla cinquantina. Fece segno a due uomini appoggiati alla parete che la aiutarono a trasportare il comatoso sul giaciglio appena lasciato libero.

Si fece da parte per lasciarli passare e osservò tutta l'operazione interessato.

Quel Luke non era messo affatto bene; aveva dei segni di bruciature sul volto e una gamba era piegata in una strana angolatura. Non dovevano avere avuto ancora il tempo per occuparsi di lui, evidentemente.

Appena posizionato, i due trasportatori tornarono al muro dove erano precedentemente appoggiati, forse in attesa di nuovi ordini. Le due donne invece rimasero nella loro postazione. Una occupata a raddrizzargli l'osso rotto, l'altra che gli accarezzava dolcemente il volto con mani tremanti. Probabilmente era un suo parente o una persona a lei cara, in ogni caso aveva una forza interiore notevole per non dare segni di disperazione evidenti. Le mani la tradivano, ma solo lui lo aveva notato in mezzo a quella situazione di emergenza. Sì, le riconosceva ancora una volta le doti di un ottimo leader.

«Fatto» interruppe la donna che si stava occupando della gamba. La bionda le sorrise e con un cenno del capo la congedò. Poi prese fiato e posizionò le sue mani sul torace dell'uomo al quale corrispondeva il nome di Luke. Chiuse gli occhi ed alzò leggermente il capo, mentre dai suoi palmi scaturiva una flebile luce verdognola.

Nichol spalancò gli occhi. Quelli... Quelli erano dei poteri curativi! Solo le fate possedevano quelle particolari doti. Eppure quella ragazza era umana. Com'era possibile tutto ciò?

Pochi minuti dopo, la ragazza riaprì gli occhi e si staccò dalla brandina, visibilmente provata. Aveva il respiro accelerato e delle gocce di sudore scendevano sul suo delicato volto, però, nonostante l'evidente stanchezza, sorrideva.

Spostò la sua attenzione sull'uomo e notò che le bruciature erano scomparse, così come la gamba sembrava stare molto meglio.



Era seduto su un arido suolo che aveva certamente visto periodi più rigogliosi. La luna era alta nel cielo e le stelle brillavano come non mai, regalandogli uno spettacolo da mozzare il fiato. Peccato che fossero ricambiate da scene di dolore e morte.

Era da appena un paio d'ore che il via vai di gente ferita gravemente e non si era placato. Eppure quella calma apparente nascondeva un velo di malinconia. Da quando si era svegliato, non vi erano stati decessi, ma forse era solo una giornata fortunata. O forse erano morti direttamente sul campo di battaglia, ovunque esso fosse.

Era per questi motivi che aveva deciso di firmare quel maledetto trattato di pace. Sapeva che la sua vita sarebbe cambiata. Sapeva che avrebbe passato il resto della sua vita da schiavo o a marcire in qualche prigione sporca e gelida. Ma non gli importava. Se ciò avesse permesso al suo popolo di non dover più assistere a situazioni come quella... Lo avrebbe fatto altre mille volte in altrettante vite. Era il capo; era il suo compito quello di preservare il suo popolo nelle migliori condizioni possibili indipendentemente da quello che sarebbe accaduto a lui. Quello significa essere re. Quello gli aveva insegnato suo padre.

Anche se non sapeva di preciso dove si trovava, anche se non sapeva di preciso cosa lo avesse portato in quel luogo, il suo pensiero correva sempre lì, verso il suo popolo. Sua sorella lo criticava spesso per quella sua "ossessione", ma non ci poteva fare niente; sin dalla più tenera età lo avevano cresciuto indottrinandolo sul fatto che la sua vita fosse interamente dedicata alla sua gente, che doveva concentrarsi solo e unicamente sul bene dei cittadini. Quindi non era affatto strano se il suo primo pensiero, persino nella situazione di smarrimento nella quale si trovava, fosse rivolto a quelle persone e alle loro sofferenze.

Un piccolo tonfo alla sua destra lo scosse dai suoi pensieri. Si trattava della capo infermiera; si era seduta in una posizione leggermente goffa accanto a lui e lo osservava, studiava avrebbe osato affermare, con i suoi tanto particolari quanto bellissimi occhi viola.

«Lily» gli disse, continuando a puntargli gli occhi addosso.

«Come scusa?» le chiese, scuotendo leggermente il capo. Non era abituato ad essere osservato in modo così diretto. Non da sconosciuti, almeno. Non aveva molte occasioni di avere una rapporto così intimo con le persone, visto che in genere si tenevano a distanza. Era pur sempre il re.

«Il mio nome è Lily, nel caso te lo stessi chiedendo. Non ti ho mai visto da queste parti... come ti chiami?» gli chiese, fissando improvvisamente l'orizzonte. Teneva le ginocchia, per quanto possibile, contro il petto con una mano a circondarle, mentre l'altra era appoggiata sul ventre.

«Il mio nome è Nichol. E... Non sono di queste parti, no. Ma anche da dove vengo io c'è una guerra» le rispose, sospirando. Lui sarebbe dovuto essere in quella dannata tenda, di fronte a quel dannato sovrano a firmare quello stupidissimo contatto. E invece era lì, in un posto sconosciuto a rendersi totalmente inutile. Lui sapeva usare la spada, non curare le ferite generate da essa.

«Vieni da molto lontano?» gli chiese, sinceramente interessata. Forse la incuriosiva, non tanto quanto lei incuriosisse lui, ma si era comunque proclamato straniero, era normale che gli ponesse quel genere di domande.

«Probabilmente... In realtà, non so esattamente dove si trovi il mio regno, poiché non so dove mi trovo ora.» ammise, come se fosse stata la più terribile delle mancanze, ed abbassò il capo, fissando il terreno.

«In realtà... Ti trovi una terra senza nome. Un tempo in questo luogo sorgeva un regno prosperoso e in pace. Ma presto entrò in guerra e fu costretto a sottomettersi al nemico. Ma il popolo non era d'accordo; avrebbe preferito morire da libero in battaglia, piuttosto che vivere una lunga esistenza da schiavo. E così fece. Da generazioni portiamo avanti questa lotta. Noi siamo i discendenti di coloro che iniziarono e io... Io beh, sono l'ultima discendente della allora famiglia reale, da quando mio zio è morto.» aggiunse tristemente. Durante il suo racconto gli aveva poggiato una mano sulla nuca, e in quel momento la stava accarezzando dolcemente.

«Penultima ormai, no?» la corresse, guardandola con un sorriso dolce. Aveva un debole per quelle situazioni, non ci poteva fare niente. Subito il rosso prese il possesso delle gote di Lily.

«Come... Come lo sai?» gli chiese, leggermente sconvolta. Nessuno lo sapeva. Nessuno poteva saperlo, l'avrebbero obbligata a stare a riposo, e senza di lei ci sarebbero state molte più vittime. Non poteva permetterselo.

«Beh... Intuizione. Tutto quà. Lo si vede leggendo il tuo corpo. Tranquilla, non lo dirò a nessuno e nessuna delle tue infermiere se n'è accorta. Ma dovresti comunque rilassarti di più, non vorrai perderlo mi auguro» le raccomandò, tornando a guardare il cielo. Apprezzava lo spirito combattivo di quella ragazza, ma non doveva esagerare... O forse era lui che era troppo premuroso. Non lo sapeva.

Dopo il suo ultimo intervento, rimasero in silenzio per un po', finchè non scorsero una nuova carovana con issata una bandiera bianca, e Lily tornò all'interno della struttura per assicurarsi che fosse tutto pronto per accogliere i nuovi feriti.


Erano già due giorni che si trovava in quella che aveva scoperto essere la base della fazione dei ribelli. Aveva deciso di rendersi utile aiutando le donne a portare i feriti e medicando ferite superficiali, però ancora non sapeva dove si trovava e, soprattutto, come tornare a casa. Gli piaceva quella gente e apprezzava la loro causa, ma lui aveva un suo regno da mandare avanti e una sua guerra da terminare. Non poteva permettersi di rimanere lì ancora a lungo.

Ormai conosceva tutte le crocerossine e alcuni pazienti, ma il suo preferito, se così si poteva definire, era Luke. Quando era libero si sedeva sempre accanto a lui a parlare. Era una persona interessante e con un carattere affine al suo. Inoltre, aveva scoperto il suo profondo legame con la ragazza bionda: l'aveva cresciuta lui.

I genitori e lo zio di Lily erano morti a causa della loro genia, infatti gli occhi viola erano una caratteristica indicativa: discendevano dalle fate. Ed alcuni avevano ereditato i loro poteri, per cui il loro nemico, che in quel luogo veniva normalmente denominato "Tiranno", si serviva di questi per rafforzare i suoi uomini e diventare sempre più forte.

Era una cosa molto comune allora, visto che anche il suo nemico, il fantomatico re Nero, si serviva direttamente di esse per rafforzare suoi uomini e farli combattere al meglio. Un tempo anche suo padre utilizzava lo stesso metodo per difendere il suo regno, ma lui si era rifiutato. Un po' perchè ciò stava portando all'estinzione di tale specie, un po' perchè non trovava giusto che degli esseri puri e innocenti fossero solo un mero strumento in conflitti di cui non avevano colpa.

Aveva conosciuto delle fate da giovane. Erano le creature più belle ed affascinanti che avesse mai visto e non gli sembrava possibile che qualcuno potesse fargli del male, nel modo più assoluto.

Luke la pensava allo stesso modo, anche se forse lui era più di parte, ma il concetto era quello. Avevano stretto una strana amicizia e, sinceramente, non gli dispiaceva avere qualcuno con cui poter parlare liberamente. Non lo aveva mai avuto, da quando sua madre lo aveva lasciato, pochi anni addietro.

Inoltre era incredibilmente istruito; in genere, con una guerra in corso, l'insegnamento era l'ultima cosa alla quale si pensava, eppure lui era molto colto, persino per un membro di palazzo. Non raramente si ritrovavano a discutere su argomenti di alto valore filosofico o su testi antichi di secoli. Era riuscito addirittura a scovargli un paio di occhiali in modo che potesse leggere agli altri feriti per intrattenerli nel loro dolore.

Un ambiente così pacifico, avrebbe osato dire, quasi lo distraeva da quello che stava accadendo probabilmente alcune miglia distanti. Quasi. Infatti ogni giorno, coloro che si erano ripresi, o che almeno riuscivano a reggere un'arma, venivano rimandati sul capo di battaglia e non era sicuro che li avrebbe tutti rivisti, per una ragione o per l'altra.

Eppure la gente non li piangeva, forse erano stufi di farlo o forse non avevano più lacrime da versare. Possibile che delle persone fossero portate addirittura nella situazione di non poter più piangere i loro cari? Sì, ed era per quello che lui doveva tornare a casa. Era per quello che doveva almeno porre fine alle guerra del suo popolo. Anche se non aveva la minima idea di come fare.


Il disastro accadde dopo una settimana. Veloce e decisamente imprevedibile.

Era impegnato a tener fermo un uomo mentre due donne cercavano di estrargli una lama piantata nel suo costato, quando un ragazzo, all'incirca un quindicenne, entrò nella sala urlando come un'ossesso che un piccolo esercito stava arrivando. E non avevano nessuna bandiera bianca in vista, segno che non erano dei loro e non venivano in pace.

Immediatamente il caos imperversò nella struttura: donne che si accasciavano tremando e predicando che fosse la fine, altre che cercavano di spostare i feriti più gravi in una zona che ridevano "più al sicuro", uomini che prendevano, chissà da dove, delle armi e si dirigevano verso l'esterno e altri che raccoglievano quanti più oggetti pesanti possibili per barricare l'entrata.

Nichol, cercando di agire il più possibile con raziocinio, prese una spada ed aiutò le infermiere disperate e i feriti gravi a recarsi nella zona "protetta", poi si gettò all'esterno. Con sua grande sorpresa Lily era lì, a dare ordini e direttive a quell'esercito male assemblato. Il tutto mentre un mal ridotto Luke cercava di convincerla ad entrare nell'edificio, con decisamente scarsi risultati.

Prese un lungo sospiro e, non volendo ritrovarsi qualcun altro sulla coscienza, si caricò la bionda in spalla, con grande sorpresa e indignazione di quest'ultima, e la portò nell'infermeria sotto lo sguardo grato dell'uomo.

«Tu... Non ti permettere! Serve qualcuno che diriga quelle persone! Io...» protestò la ragazza, una volta con i piedi per terra. Erano semplici soldati, alcuni nemmeno quello, le persone radunate là fuori. Gli serviva un generale o qualcuno che li guidasse, ne avevano bisogno se volevano avere una minima chance.

«Ci Penso io Lily. Tu devi restare al sicuro. Non protestare. Ho già condotto eserciti in battaglia e sono addestrato a combattere. Tu devi restare qui, punto. Non accetto obiezioni, chiaro?» le ordinò, zittendola. Non avrebbe permesso ad una donna, pure incinta, di combattere. Per nessuna ragione al mondo, nossignore.

«Cerca di non farti ammazzare, Nichol» gli disse, rassegnata, ma comunque sbuffando. Le sorrise, per poi chiuderla dentro e raggiungere gli altri uomini all'esterno.

«Quanti sono?» chiese al ragazzino che aveva dato l'allarme poco prima.

«Una trentina, credo. Ma sono soldati potenziati. Non ce la faremo mai!» obiettò. Un paio di uomini annuirono convinti. Evidentemente li avevano già affrontati e non avevano avuto belle esperienze, anche se per scoprire quello bastava guardare i segni lasciati sui loro corpi.

Il biondo prese un lungo sospiro. Perchè si era immischiato in una guerra altrui?

«Se non volete combattere, o avete troppa paura, potete rinchiudervi dentro l'edificio. Ma non vi posso assicurare che sopravviverete. Ma sarebbe meglio così, i soldati non motivati non aiutano e sono solo d'intralcio. I rimanenti... Seguano quello che vi dico e forse, dico forse, avremo qualche possibilità.» dichiarò, convinto. Aveva detto il vero; le zavorre non sarebbero state di certo d'aiuto e con una semplice ma efficace strategia avrebbero anche potuto resistere a quell'attacco. Sempre che non ce ne fossero stati di altri. Erano pur sempre un gruppo di feriti.

Ma quale avversario era così codardo da attaccare un'infermeria? Quale? Non era nemmeno compresa fra la lista delle scorrettezze in guerra poiché... Chi avrebbe mai osato farlo? Un vile? Neanche.

«Senti straniero, noi non ci ritireremo. Mai, stiamo resistendo a quel tiranno per nostra scelta, se no ci saremmo già arresi da molo tempo. Ma dobbiamo anche considerare di non farcela. Capisci questo?» gli chiese uno degli uomini che prima stavano annuendo, tale Ethan, se non si ricordava male.

Nichol sbattè le palpebre un paio di volte, sorpreso. Quelle persone erano decisamente convinte di quella guerra ed avevano un modo di pensare così diverso dal suo... Forse era per quello che si era lasciato trascinare, forse era per quello che non se n'era andato, tentando fortuna ed incamminandosi alla ricerca delle sue terre. Era per la loro determinazione che era lì, era affascinato da essa. No, non solo affascinato. Si sentiva parte di quello spirito, era come se fosse stato sepolto in lui in qualche modo.

O, probabilmente, quella era solo l'adrenalina dell'imminente scontro che gli faceva pensare cose del genere e gliele pompava nel sangue. Non lo sapeva, ma era sicuro che, se fosse morto nello scontro, combattendo per l'ideale di quelle persone, se lo sarebbe perdonato. Si sarebbe perdonato di non essere riuscito a salvare il suo regno se fosse morto in quel modo. E, con molta fortuna, lo avrebbero fatto anche i suoi cittadini.

Abbassò il capo, chiudendo gli occhi e facendo un lungo sospiro, ma, non appena rialzò la testa, si trovava in luogo completamente differente.

Attorno a sé vi era qualcosa di non ben delineato, come se si trovasse in mezzo alla nebbia. Non c'erano suoni, come se il mondo fosse stato silenziato. Ed era da solo, o almeno questo credeva.

«Nichol» lo chiamò infatti una voce. Si voltò e vide davanti a sé un essere decisamente non umano, tanto bello quanto leggiadro. La pelle verde sottile lasciava intravedere le vene blu, due delicate ali spuntavano dalla scinde due occhi viola lo scrutavano attentamente, come a non perdersi ogni sua mossa.

Era dinanzi ad una fata. Il punto era: che ci faceva lui lì? E perchè c'era anche una fata?

«Nichol... Re Nichol» ripeté la creatura, come per saggiare la melodia di tali parole.

«Chi sei tu? Cioè, volevo dire, chi è lei?»si corresse, leggermente timoroso. Non poteva sapere cosa passasse per la testa dell'essere alato e soprattutto non poteva sapere cosa esattamente sarebbe stato in grado di fargli nel caso lo avesse irritato. Era pur sempre il figlio di un re che aveva contribuito a decimare la sua specie, non era cosa da poco.

«Il mio nome è Aglaia, giovane re. E non voglio farti del male, rasserena la tua mente» gli disse, con tono dolce. Gli leggeva nel pensiero? Fantastico.

«Allora Aglaia, potresti dirmi perchè sono in questo... Beh, ovunque io mi trovi, di grazia?» le chiese, felice in cuor suo che qualcuno potesse rispondere alle sue domande. Era stato lievemente frustrante la situazione che aveva vissuto nei giorni precedenti.

«È semplice in realtà, mio re, lei è qui perchè le è stata data una seconda opportunità» disse la fata, serena. Come se quella frase potesse essere la risposta chiara alla sua domanda. Si sentiva stupido, ma non aveva ancora capito.

«Una seconda opportunità? Per cosa esattamente?» chiese, confuso. Non voleva darle l'impressione di essere un idiota la quale le cose dovessero essere spiegate per filo e per segno, lui spesso si vantava di possedere delle eccezionali capacità deduttive, ma in quel momento ne aveva davvero bisogno. Non era un tipo da fare troppe domande, specie se innecessarie, ma quella situazione le richiedeva.

«Stai per fare un'enorme sbaglio, Nichol, uno sbaglio che decreterà quel losco futuro che hai avuto la possibilità di provare sulla tua pelle» gli rispose, con tono quasi solenne. Lui stava per fare uno sbaglio di così enorme portata? Quando poi?

«Aspetta... Vuoi dire che quello era il futuro? Il futuro del mio regno?» chiese, allarmato. Perchè vi era ancora una guerra? Che fosse arrivato qualcun altro, oltre a Nero, a minacciare le sue terre? E lui cosa c'entrava?

«Firmando quel trattato di pace, avresti condannato il tuo popolo ad una vita di schiavitù. Una vita che non avrebbero mai voluto. Come hai visto, dopo tutti quegli anni, non si erano ancora arresi» gli spiegò. Ora il disegno confuso stava assumendo i contorni.

«Ma... Quel trattato consentirebbe al mio popolo la pace... Oh... Giusto. Meglio morire da libero in battaglia che vivere una lunga esistenza da schiavo» rammento le parole di Lily. Quindi non lo avrebbero mai accettato. La sua gente avrebbe continuato a combattere, nonostante lui si fosse sacrificato... No, nonostante lui si fosse arreso. Era quello il termine adatto.

«Ora comprendi? Se vuoi aiutare davvero i tuoi sudditi, continua a lottare» aggiunse la creatura, poggiagli delicatamente una mano sulla spalla.

«E chi mi assicura che stai dicendo il vero? Chi mi assicura che sia questa la volontà dei cittadini? Dovrei condannarli ad altri anni di guerra? Davvero? Fargli perdere mariti e figli solo per questa cosa di cui non sono nemmeno sicuro?» le chiese, scostandosi bruscamente. Poteva essere tutto un trucco, magari un emissario mandato da Nero per assicurarsi che la guerra continuasse e che lui potesse sterminarli dal primo all'ultimo, avendo pure un pretesto valido: un avversario che non accettava la pace da lui gentilmente proposta.

E poi, se la sua gente avesse veramente potuto farcela, ammesso ma non concesso che quel futuro corrispondesse alla realtà, perché la bionda gli aveva detto che erano in guerra da generazioni?

«Re Nichol... Io... Lo so che non la pensi così, lo so che anche tu non ti vuoi arrendere in quel modo...» proseguì la fata, ma lui la interruppe.

«Come puoi esserne così sicura? Come?» le urlò, stufo di quella scelta che doveva compiere. Non si era mai lamentato del peso che gravava sulle sue spalle, anzi, era sempre andato sicuro seguendo quello che la sua testa gli diceva, ma quella scelta in particolare lo stava soffocando. Non poteva costringere tutte quelle persone ad altri anni di fame, carestie e morti. Non poteva.

«Se tu non lo avessi accettato, se tu non avessi accettato quell'ideale di libertà, saresti ancora bloccato nel futuro» gli rispose la creatura, sconsolata. Il re la osservò. Era molto bella, anche con quell'espressione triste, doveva ammetterlo. E doveva ammettere anche che aveva ragione. Lui credeva in quello spirito di libertà dei ribelli, ma doveva pur sempre pensare con la testa, e non col cuore, no? Eppure...

«Aglaia, fammi tornare a casa mia per favore. Ci sono delle cose che devo fare» decretò, deciso. Aveva fatto una scelta, e non ci sarebbero stati altri ripensamenti. L'essere alato lo fissò interrogativo.

«E... La prossima volta che ci rincontreremo, promettimi che mi spiegherai come fate voi donne ad essere così ostinate. Sul serio, quando vi fissate con qualcosa siete tremende, è un fattore ereditario per caso?» le chiese, iniziando ad avviarsi verso il portale che la fata gli aveva aperto.

«Non... Non saprei» confessò Aglaia, alzando le spalle.

«Beh, sarebbe carino che venisse trasmessa alla mia stirpe, insieme ai tuoi fantastici occhi viola ovviamente» continuò, sorridendole. La creatura dalla carnagione color linfa arrossì.

«Come... Come lo...»

«So? Ho delle abilità nel capire cosa mi accade attorno, tutto qui. In fondo ho capito che la nostra cara pronipote era incinta da come teneva le mani, un minimo in gamba lo sono, no?» si vantò, mentre l'altra distoglieva lo sguardo, imbarazzata.

«Buona fortuna allora» gli sussurrò.

«Ne avrò bisogno, ho una guerra da vincere» pronunciò, prima di varcare il portale.

Ciambella198 parla a vanvera(e forse vanvera sta per... nah... no hope, no harm, just another false alarm):
Eccomi qui con la mia seconda storia partecipante al concorso indetto da Berethon (incredibilmente me lo ha taggato, wow).
3952 parole esatte e... Spero vi sia piaciuto.
Soprattutto ad @Estella27 che è stata gentilissima, con la sottoscritta, grazie ancora. Spero di non aver stravolto nessun tuo personaggio, nonostante si trattasse tecnicamente di un futuro ipotetico e alternativo dove avevano un passato diverso(per la spiegazione scientifica seria rivolgersi al mio cervello che ha deciso di emigrare a causa del ritorno a scuola, yee)
Alla prossima prova(maybe)!

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