La gloria del padre

Cleopatra Tea Filopatore.

Più semplicemente, Cleopatra, la gloria del padre.

Fossi nata in Grecia, il mio nome sarebbe stato seguito da un genitivo, Ptolemaiou, ad indicare possesso.

Cleopatra VII, donna, ma mai per sé stessa: figlia, sorella, moglie e madre di padre, fratello, figlio.

Cleopatra "di Tolomeo", semplicemente.

*

Sono stata una regina rispettabile. Sono stata bella, sono stata una dèa in terra - pungendosi con le mie spine, Roma si è, per due volte, inchinata a me.

Giulio Cesare, per primo, è entrato nel mio letto, morendo lontano da me, inondando di lacrime il Nilo.

Ma ho segnato, anche con il cuore spezzato.

Roma è tornata da me, grande e bisognosa come la prima volta - ora, il suo nome era Marco Antonio, e le fertili paludi d'Egitto erano pronte ad accoglierlo. Se per amore, o lussuria, o... per gioco, questo non so dirlo.

Marco Antonio è rimasto a lungo in Egitto, ha trovato acque accoglienti in cui nuotare.

Ho continuato a regnare, Roma al mio fianco, Roma alla mia porta.

Ma se l'uomo sotto le mie lenzuola era... amichevole, potevo dire lo stesso dei soldati, delle navi, dei comandanti?

No.

No, come regina, ero portata a diffidare da Roma, per quanto dolci ne trovassi le labbra, per quanto ne conoscessi strade e carezze.

Marco Antonio era Roma, sì, ma erano Roma anche gli uomini che volevano me come trofeo, l'Egitto come giocattolo.

Come regina, mi sono state insegnate due dottrine: quella, mai imparata, dell'obbidienza, e quella della cautela.

Toccavo ancora Antonio, sognavo ancora Roma.

Ma... con cautela.

*

Quando ero bambina, il mio tutore e io passeggiavamo spesso lungo il Nilo. Era un'abitudine, ormai, allontanarci dal palazzo il più possibile, parlando di stelle, veleni, lingue.

Un giorno, vidi una femmina di coccodrillo dal muso madido di lacrime. Vicino a lei, i corpi maciullati dei suoi cuccioli.

"Piange" mi disse il mio tutore. "Piange per il dispiacere. In un impeto di follia ha ucciso i suoi piccoli, e ora..."

E ora.

Quando sono arrivate le navi di Roma contro di me, contro l'Egitto, ho promesso che le navi egiziane sarebbero state al fianco di Antonio.

Nessuno si spiega perché, nel mezzo della battaglia, io le abbia ritirate.

Per un impeto di follia, forse?

Un impeto di follia... che mi porta, ora, a piangere la battaglia persa; a piangere l'amato morto.

Scoprii solo anni dopo che il mio tutore mi aveva mentito: i coccodrilli non piangono per il dolore psicologico, per il pentimento, non sono tanto umani da farlo. Piangono per il dolore fisico: le loro ossa si piegano sotto il loro peso tanto che un orecchio attento può sentirle scricchiolare, incrinarsi.

Se io fossi rimasta, con le mie navi, ora non starei patendo lo stesso dolore della femmina folle, non piangerei lacrime di coccodrillo.

Antonio è morto credendomi morta in seguito alla battaglia, in seguito a un litigio.

Antonio è morto, l'Egitto non ha più debolezze e io non ho in me più nulla di donna; ora io sono, dalla testa ai piedi, salda, di marmo.

*

Chi prendo in giro?

Chi voglio prendere in giro, tanto vicina alla morte da poter sentire l'odore cagnesco di Anubi nelle narici?

Non sono, non sarò mai, di marmo: sono carne e passione, sangue e ambizione.

Ma sono una donna, ora, o sono una statua ridotta dal suo volere o tutto o niente, dal suo non accontentarsi mai?

Vero: preferirei vedere il mio Egitto cadere nelle fiamme che saperlo in mani non mie, mani macedoni, mani romane.

Vero, folle, ma per questo Roma mi ha amata più dei miei uomini.

Mi ha amata...

E ora Roma è alla mia porta, e aspetta in silenzio di avere il suo trofeo.

Illusa.

O tutto, o niente.

O regina, o cadavere.

Perché accontentarmi di essere una prigioniera, se posso essere una leggenda?

*

Un mostro del Nilo mi renderà immortale con il suo morso: mi è stato assicurato che sarà abbastanza da far beffa a Ottavio Cesare.

*

Mi sembra di sentire Antonio che mi chiama: lo vedo levarsi a lodare il mio nobile gesto; lo sento schernire la sorte di Cesare.

Eccomi, sposo; che ora il mio coraggio mi faccia degna di questo nome.

Io sono, ora, fuoco e aria.

Tieni, strumento di morte; e col tuo dente acuto sciogli alla fine questo intricato nodo di vita: povero stupidello gonfio di veleno, arrabbiati e fa' presto.

Ah, avessi tu la parola, e potessi io sentirti dare dello zotico asinaccio al grande Ottavio Cesare.

Soave come balsamo è il tuo tocco, e lieve come un alito, gentile come...

Oh Antonio!

Perché dovrei restare...

*

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