Capitolo 3
Quando arrivai a Roma ero euforica. La giornata era soleggiata e calda e io ero talmente felice che mi sentivo in vena di follie. Poi ripensai alla maledizione che pendeva sulla mia famiglia e, sospirando, chiamai Antonio per fargli sapere che il viaggio era andato bene.
"Ciao, zio, sono arrivata! Sì, certo, è tutto a posto. No, non ho sofferto durante il volo. Come? Chi avevo accanto in aereo?" Guardai due donne, sedute sul fondo del pullman che ci avrebbe portato all'uscita dell'aeroporto e sorrisi.
"Mmm, se vuoi saperlo... direi due signore di paese con gonna e fazzoletto nero in testa. Ora, però, devo lasciarti. Credo che il mio taxi sia arrivato. Ti chiamo più tardi, okay?"
Quando presi quel taxi mi sentivo più leggera. Quel viaggio a Roma così inaspettato, quell'occasione per un impiego attinente alla mia laurea, mi facevano sentire su giri. Dopo anni e anni di vita solitaria e riservata, finalmente, avrei vissuto in mezzo alle persone. Mi sarei guadagnata da vivere e sarei stata autonoma. Con il tempo, forse, sarei riuscita a risparmiare qualche soldo per comprarmi una casa, magari avrei conosciuto un marito, qualcuno disposto a rompere la mia maledizione, chissà...
Antonio diceva sempre che se gli avessi dato retta, prima o poi, la nostra maledizione si sarebbe spezzata, ma ogni volta che gli chiedevo informazioni su quell'argomento zio diventava vago e diceva che mi sarebbe bastato tenermi lontana dai seduttori e che tutto si sarebbe sistemato. Io, però, trovavo queste spiegazioni troppo approssimative. Come potevo trovare un marito in grado di spezzare la maledizione e allo stesso tempo evitare l'altro sesso? Era veramente un grattacapo... però Antonio sembrava sicuro di sé e io avevo fiducia nell'uomo che mi aveva cresciuta e amata come se fossi sua figlia.
"Dove la porto, signorì?"
Ero talmente eccitata che tutto mi sembrava bellissimo.
"Vorrei vedere tutto!"
Il tassista si grattò la testa pelata, allargando un sorriso malizioso.
"Posso portarla a fare un bel giretto, signorì..."
"Un giretto?" aggrottai le sopracciglia, avvertendo gli occhi del tassista fissarmi. Abbassai il finestrino per respirare quell'aria caldissima e piena di smog. Mi sembrò fantastica anche quella.
"Mi porti in via di Corso Italia, per favore."
Il tassista accese la macchina, continuando a fissarmi dallo specchietto retrovisore.
"Da dove viene, signorì?" Mi disse con un simpatico accento romano. E se non fosse che quel taxi avesse un certo odore di formaggio e vino andato a male, forse, sarei stata più cortese.
Ma lui non si curò della mia indifferenza e, sempre guardandomi dallo specchietto, continuò a parlare.
"Ha 'n bellissimo accento. È straniera? È inglese? C'ho portato tantissime modelle di mezzo mondo in 'sta machena!"
"Londra? Vengo da Muravera, la conosce?"
"Maravera? Mai sentita. Dove sta sotto o sopra la Scozia?"
"La Scozia? Non ha mai sentito l'accento sardo?"
"Per me è scozzese, io so riconoscere gli accenti, signorì"
Risi sotto i baffi, quell'uomo sembrava più duro di un marciapiede di granito, così lascia perdere.
"Mi dica, è qui pe' 'na sfilata? 'Na fregna come lei..."
"Una sfilata? Io?"
Guardai il mio vestito nero. Ero accollata dalla testa ai piedi e non dovevo di certo sembrare una modella, quelle si vestivano con tacchi alti e vestitini di chiffon... o no?
Però, quelle sue parole un po' volgari mi ricordarono tutte le raccomandazioni di zio Antonio. Di colpo, mi tornarono in mente tutte le ammonizioni che mi aveva propinato in quei tre giorni prima di partire. Era stato veramente esagerato. Mi aveva talmente angosciato che in quel momento mi sembrò di sentirlo sussurrare: "Non stare da sola con uno sconosciuto! Non fidarti di nessuno, soprattutto di chi vuole offrirti da bere, fumare o vuole farti annusare una polvere bianca." Come se Roma potesse essere piena di uomini pronti ad offrire droghe e bevande pericolose alle passanti. Ridendo mi immaginai quella scena: "Ehi, tu, femmina senza protezione, vuoi sniffare la mia polvere?"
Ridacchiando ripresi a fissare la strada, ma quando passammo vicino alla Bocca della Verità saltai sul sedile cominciando ad strillare nel riconoscere monumenti ed edifici che, fino a quel momento, avevo visto solo in televisione.
"Nun è mai stata a Roma, signorì? Daje. Guardi che pietre antiche. Guardi che sole! A Roma è così tutto l'anno. E poi, nun je l'avete mica er Colosseo in Gran Bretagna"
"Gran Bretagna?" ridacchiai sottovoce. "Le ho detto che sono Sarda."
"Signorì, er suo accento sembra più inglese de quello de 'a regina Elisabetta!"
Non ebbi il tempo di replicare che il monumento più famoso del mondo mi sorprese.
"Mio Dio, il Colosseo!"
Il tassista si girò ad osservarmi con un ghigno divertito. "Gajardo, e? Qui dietro c'è 'a Fontana de Trevi, signorì, 'a vuole vedè?"
"Vedere? Eccome se voglio vederla! Ma, è vicino?"
"Qua dietro signorì... cinque minuti."
"Se sono solo cinque minuti, allora si può fare. Tanto, ho tempo."
"Se 'o dice lei, signorì..."
Mi dimenticai immediatamente di tutte le raccomandazioni di Antonio e feci correre il taxi fino alla Fontana di Trevi dove lui, gentilmente, mi aspettò parcheggiato dietro ad un palazzo.
Risalita in macchina, dopo aver lanciato una monetina, il tassista mi sorrise.
"Ha visto che fontana, signorì? Nun c'avete fontane così nel Regno Unito!"
"Oh! È tutto così magnifico!" Ormai non badavo più al fatto che il tassista avesse scambiato il mio accento per quello di una straniera. Ero talmente entusiasta che lui ne approfittò per propormi altri monumenti. Tutti a cinque minuti di macchina.
"Qua c'è Piazza Navona, signorì. Che faccio, me fermo e fa 'na foto co' er cellulare?"
"Sì, ma certo!"
Così mi portò in giro per la città per non so quanto tempo e solo quando arrivammo in prossimità di Corso Italia capii quanto fossi stata ingenua.
Il suo sorriso sembrava smagliante quando si girò verso di me a mano tesa.
"Sono 250 euri, signorì"
"Cosa?" Sbiancai, perdendo la voce. "Ma-ma, come è possibile?"
"Signorì, da voi in Inghilterra nun 'o guardate er tassametro? 'Sto mica s'è fermato quanno ha chiesto de vedè er Pantheon o Villa Borghese"
"Lei è un truffatore! Riuscii a dire, mentre tremavo per la rabbia!"
Uscii dal taxi senza curarmi del via vai di macchine e persone che andavano e venivano in quella strada affollata. In poco tempo intorno a noi di formò un capannello di gente che accorreva incuriosita dalle mie urla. Intanto il tassista si difendeva dalle mie accuse.
"Ma quale truffatore, signorì, ha chiesto lei de vedé tutti quei monumenti, tanto nun c'era fretta..."
Il tassista si grattò la testa pelata e prese una bottiglia di vino dal cruscotto.
Ecco da dove veniva quel fetore, pensai. Poi, furiosa come non mai, tolsi i soldi dal portafoglio per pagarlo, solo che mentre lo aprivo mi cadde per terra l'ombrello. Mi chinai per raccoglierlo ma, quando lo portai verso l'alto, mi scivolò tra le dita e per evitare che cadesse di nuovo lo afferrai con una presa talmente stretta e risoluta che, vista dall'esterno, poteva sembrare che stessi per tirarlo in faccia al tassista.
"Signorì, che sta a fa'?"
"Io?"
In quel momento un impeto di rabbia mi offuscò il cervello e tra le tante raccomandazioni che mi aveva fatto Antonio mi ritornò in mente quella che poteva adattarsi a quella spiacevole situazione:
"Ora chiamo la polizia!"
"La polizia, signorì, lasci stare e mi dia i sordi!"
La folla intorno a noi aumentò, ma il tassista, non curante della mia collera, mi strappò il cellulare dalle mani.
"Come si permette! urlai "Chi ti curra sa cugurra! (1)" dissi ancora a denti stretti. Chissà perché quando uno perde la pazienza la prima cosa che gli viene in mente è sempre un'imprecazione nel proprio dialetto.
Una risata strozzata si sollevò nel silenzio intorno a noi.
E proprio mentre stavo per avventarmi su di lui, per riprendere il telefonino, la folla si aprì e un uomo in abito scuro si mise tra me e quel brigante. Non riuscii a vederlo in viso, ma ebbi la sensazione che volesse difendermi da quel maleducato tassista.
"Che cos'è questa confusione? Le sembra il modo di gridare?" Chiese il nuovo arrivato al vecchio tassista. Lui fece una smorfia e grattandosi la testa andò leggermente indietro, poi, schiarendosi la voce mi indicò con un dito.
"'A signorì non je va de pagarme!
Per la rabbia farfugliai, agitando le mani.
"Lei mi ha ingannata! Io dovevo solo venire qui dall'aeroporto. Non pensavo che avrei speso 250 euro!"
"A signorì, ha chiesto lei de fa' quer giretto."
"Ha chiesto di fare un giretto con quest'uomo?" mi domandò il tizio vestito elegante. Se non avessi avuto il sole in faccia forse avrei notato il suo volto divertito, ma non avendo portato gli occhiali da sole, quel labbro piegato all'insù mi sembrò solo una ruga d'espressione.
"Io? Veramente..."
Una vigilessa si avvicinò, accostandosi al tassista, che diventava sempre più accigliato.
"Chi ha fregato oggi Er Cicorietta?"
"Io? Nessuno!"
Dopo quell'affermazione la vigilessa si girò verso di me, guardandomi come se fossi colpevole.
"L'ha già pagato?"
"No, non ancora."
Quasi balbettai e l'uomo con l'abito scuro, dopo avermi squadrata da capo a piedi, si avvicinò al tassista con aria minacciosa.
"Voleva fregare questa ragazzina, non si vergogna?"
Il giovane e il tassista mi fissarono e io rimasi a bocca aperta.
"Ragazzina? A me?"
Fui ad un passo dal lamentarmi ma, forse, se avesse saputo la mia vera età non mi avrebbe difeso, così rimasi in silenzio, scrutando il mio salvatore.
Per qualche ragione che non saprei spiegare il mio sguardo cadde sulle lettere ricamate nel taschino del suo abito scuro: "D.A."
L'uomo segui il mio sguardo fino alle mie mani mentre, ancora terrorizzata, cercavo di mettere il portafoglio dentro la borsa. Tremavo troppo per riuscirci, poi il suo sguardo tornò verso il tassista. Questa volta la sua voce sembrava ferma.
"Quanto le deve la ragazza?"
La vigilessa, posò una mano sul polso del galantuomo incravattato.
"Lasci stare... Questo omuncolo è noto per truffare le ragazzine straniere. Non è così, Er Cicorietta?"
Il tassista sputò per terra con aria contrariata.
"Allora, come la mettiamo?" Aggiunse la vigilessa, facendomi l'occhiolino.
"Ho capito!" borbottò il tassista, sbuffando e imprecando in romanesco. "Damme 50 euri e semo apposto."
Mandai giù la saliva ancora impaurita e, sotto lo sguardo attento del mio giovane salvatore, lasciai i soldi al tassista.
La vigilessa mi fece un sorriso.
"Bene. Da ora in poi, cerchi di stare più attenta perché Roma non è Londra, ci siamo capite?"
"Londra?"
Strane immagini affollarono la mia mente, ma la vigilessa si spostò verso il centro della strada per riprendere il suo lavoro. Dovevo assolutamente ringraziarla.
"La ringrazio per avermi dato una mano!"
Lei mi sorrise e la mia mente tornò al mio salvatore. Forse era stato il sole negli occhi, ma il viso di quel tipo altissimo mi sembrava veramente particolare. Che fosse bello? Scossi la testa rimuginando sulla mia stupida osservazione. In fin dei conti dovevo solo dirgli grazie.
Forse gli uomini non erano tutti come diceva zio Antonio, pensai immaginando cosa dirgli, eppure, dopo aver guardato in tutte le direzioni, il mio salvatore sembrava sparito. Scomparso.
C'era solo la vigilessa con il fischietto in bocca in mezzo alla strada. Che l'avessi sognato?
Alzai le spalle un po' turbata e andai verso la sede del colloquio. La mia disavventura era alle spalle e io mi sentivo pronta per conquistare il mondo.
Chiusi gli occhi, ascoltando i battiti del mio cuore. Un gabbiano nel cielo mi ricordò del mio mare lontano. Non c'era il vento della Sardegna a riportarmi i suoni e i profumi della mia terra. Ma c'ero io e la mia vita sembrava giunta a una svolta. Me lo sentivo!
Angolo dell'autrice:
Ciao, anche tu da queste parti? Cosa? Cosa ci faccio io qui?
Sto aspettando che si liberi il bagno... speriamo bene.
A presto ;)
Shaara
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