5 Capitolo

Con le mani serrate attorno al collo di fronte a sé, stringeva e stringeva sempre di più.

-Come ti sei permesso?! Come hai potuto leggerlo?!

Si sentiva bene in quel secondo di pura violenza, in quel secondo dove tutta la rabbia e la frustrazione venivano fuori non curanti delle conseguenze. Sentiva sotto i palmi della sue mani i muscoli che si contraevano, il battito del suo cuore che stranamente non accelerava e il suo respiro che diventava sempre più pesante. Sdraiati su quel pavimento immacolato della cucina, Diletta era sopra di lui a cavalcioni e in quel secondo sperava che le sue mani non l'abbandonassero in quel momento e cercò di esercitare tutta la forza di cui disponeva. In quel secondo vide gli occhi verdi brillanti del ragazzo e il ghigno che aveva sulla sua bocca.

Passato quel secondo Diletta si accorse che Kam non era spaventato da lei, ma divertito da quella sua reazione violenta.

Con un gesto naturale, si liberò facilmente da quella fragile presa non smettendo di sorriderle, mentre Tommy da dietro l'aveva afferrata e fatta alzare tenendola stretta fra le sue braccia.

"Non è possibile..." Si diceva la povera Diletta, "Sono così debole?"

La dura verità la sconvolse, era abbattuta non tanto dalla presa ferrea che Tommy esercitava su di lei per tenerla ferma, ma dal come si era liberato facilmente Kam dalle sue mani, se l'era fatto sfuggire come una stupida e per la seconda volta non ce l'aveva fatta.

Kam si rialzò senza alcuna fatica e si sistemò il colletto della camicia.

-Falla sedere.- Disse tornando freddo ed inespressivo e Tommy ubbidì senza obbiettare.

-Fagli tenere il braccio sul tavolo.

Indugiò, ma un solo sguardo da parte del fratello bastò per non farlo desistere ancora e in silenzio teneva il braccio dritto e fermo sul tavolo.

Diletta cercava di divincolarsi, di ritirare il braccio, ma ormai aveva sprecato tutte le sue energie ed era in balia di quei due folli. Kam raccolse le forbici che gli erano cadute dalle mani e si avvicinò più intimidatorio che mai. Era la morte che mieteva un'anima, un boia che lasciava cadere la sua scure, un sadico che voleva impartire una punizione ad un essere inerme.

Alzò la manica della felpa della ragazza lasciando che la pelle nuda fosse a contatto con il freddo tavolo.

-Non tremare, o potrei combinare un guaio.- Anche se il suo viso era inespressivo, una strana gioia sadica aveva rallegrato la sua voce.

-Fermo! No...- Urlava la ragazza continuando a contorcersi per liberarsi.

-Ti prego...

Quelle dannate forbici si avvicinarono lentamente, poco più sotto del gomito, sul suo candido avambraccio. Non riusciva a smettere di tremare e così involontariamente la lama toccò la carne, fu un tocco leggero, innocuo, ma che scatenò nella ragazza le peggiori paure. Cosa le avrebbe fatto? Tagliato veramente il braccio? No, sarebbe stato stupido lasciarla morire dissanguata e poi erano solamente un paio di forbici... Forse un dito? O forse non le avrebbe fatto nulla, voleva semplicemente spaventarla...

La lama affondò, provocando un taglio di almeno cinque centimetri.

Non fu tanto il dolore quanto la sorpresa, l'aveva fatto veramente, l'aveva ferita. Quel taglio era la dimostrazione reale di essere un essere debole, di non riuscire nemmeno a proteggersi. Non urlò, ma pianse silenziosamente mordendosi le labbra, alla fine non era riuscita a tenere oltre quelle lacrime che pretendevano la libertà.

Le forbici toccarono per la seconda volta la carne della ragazza, poco più sopra del taglio appena fatto che era iniziato a sanguinare.

-Potrei anche fermarmi, se hai imparato la lezione.

Disse con tono rassicurante.

Lei, senza forze sia fisiche che mentali, accennò di si con la testa.

-Come dici? Non ti capisco, forse se dicessi "Kam, ti prego, liberami e ti prometto che non mi ribellerò mai più", potrei fermarmi.- Disse con voce allegra, divertito da quella situazione.

Era un ragazzino che si divertiva a torturare le formiche. Diletta rimase in silenzio a fissarlo interdetta, quell'individuo non solo voleva rovinare la sua pelle, ma anche la sua mente. Cercava la forza per non sottomettersi, ma la stanchezza era tanta e la sua frustrazione era troppa da sopportare. Un dito che affondò sul taglio la fece desistere, ed urlò.

-Allora?

-Ti prego.

-Di tutta la frase.

Diletta abbassò gli occhi rassegnata.

-Kam... ti prego, lasciami andare e non mi ribellerò più.- Sussurrò con la fronte appoggiata al freddo marmo.

-Non è proprio come l'ho detto io, ma andrà bene comunque.

Le lasciò andare il braccio, ma la presa di Tommy non accennava ad indebolirsi.

-Non scordati di questa promessa, o dovrò ricordartela io e non sarà piacevole come adesso. Tu ora sei nostra.

Tommy la prese con facilità in spalla come per sottolineare la frase appena detta dal fratello e la portò di sopra. Si abbandonò a quella forte presa, a quel ciondolare ritmico come se fosse stata lasciata in mezzo ad una tempesta e le onde la trascinassero nelle tenebre facendo un passo a destra e poi a sinistra.

"Me lo merito..." Pensava nell'oscurità di quell'abisso.

"Mi merito tutto questo dolore, è la mia punizione per aver tentato di scappare dalla mia vita. Per aver tentato di ribellarmi."

Diletta per la prima volta si sentì in colpa per ciò che aveva fatto, non doveva fuggire dalla sua vita in quel modo, sapeva di aver sbagliato e quei due fratelli erano la sua punizione.

Il ciondolare cessò, si fermarono davanti al bagno di Diletta. La lasciò andare stando attento che non cadesse, preoccupato come se volesse tenere in piedi la sua bambola.

-Aspettami qui, ti vado a prendere una cosa.- Disse fiducioso scappando via.

Diletta guardò quel ragazzo con i vestiti di suo fratello Leonardo allontanarsi, una piccola parte di lei si immaginava che fosse veramente Leonardo e che fosse venuto a salvarla. Abbandonò il suo corpo appoggiandosi alla porta, stremata da quella folle mattinata. Si guardò la ferita valutandola, non era tanto profonda, ma nemmeno superficiale, un largo taglio che macchiava la sua pallida pelle di rosso. Quello che disturbava Diletta non era il dolore che provava, ma il suo significato; non era un semplice taglio per indurre dolore fisico, ma era un marchio, un marchio che non sarebbe mai andato via. Non doveva pensarci, non doveva più pensare. Doveva fermare il sangue che usciva, così utilizzò la vecchia felpa grigia che aveva addosso per tamponare. Tommy ritornò correndo tenendo qualcosa fra le mani, qualcosa di azzurro e morbido che mostrò.

-Questo è tuo vero? Scommetto che il blu è il tuo colore preferito.

-È il mio accappatoio...- Diletta era perplessa, cosa voleva farci?

-Puoi farti un bagno.- Tommy la guardava speranzoso, come se si aspettasse un grazie da un momento all'altro. Non era solo ingenuo, era anche stupido, pensò Diletta. Come poteva pensare che lo avrebbe ringraziato dopo tutto quello che le stavano facendo? Era il suo bagno! Aveva tutto il diritto di utilizzarlo quando le pareva, eppure non sembrava così. Adesso doveva avere il permesso.

-Non voglio.- Rispose Diletta. Non avrebbe accettato di certo quella situazione e poi non si sarebbe spogliata con due estranei in casa, non era di certo una stupida. Tommy, intuendo la perplessità della ragazza, gli porse la chiave del bagno.

-Potrai chiuderti dentro.

Diletta guardava quella chiave che aveva appoggiato per terra vicino a lei. Avidamente la osservava, ragionando se non ci fosse dietro una trappola.

-Posso veramente chiudermi dentro?

-Devi lavarti!- Le urlò da sotto Kam irritato, stava per caso origliando?

-Sento la tua puzza da qui! È insopportabile.

Diletta afferrò quella chiave, non avrebbe risposto a quella provocazione anche perché sapeva che era la verità, anche lei non sopportava più lo sporco che si sentiva addosso.

-Mi serve il mio shampoo.- Disse guardando Tommy.

-È già tutto dentro, almeno credo. Rimarrò fuori così...

-Non serve! Non serve. Stai tranquillo non farò nulla di azzardato...Dopotutto... L'ho promesso.

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