40 Capitolo

Ultimo giorno

Il cuore batteva ancora forte nel petto nudo di quel ragazzo, più vivo che mai.

Cercava di rallentare il suo respiro, anche se le calde sensazioni provate sulla pelle non glielo permettevano dato che erano ancora vive e calde, ed era consapevole che i marchi di quella fuggevole passione sarebbero rimasti per molto tempo.

In quella notte, i teneri abbracci si erano trasformati in morsi decisi che afferravano la pelle di Diletta e lei non si era opposta, anzi, cercava di seguire quei gesti anche se le segnavano la pelle ed andavano dritti per raggiungere il piacere.

In un momento in cui poteva racchiudersi una fuggevole vitalità, i due amanti complici desideravano ardentemente provare sempre di più, sempre più nuove sensazioni. Diletta era cambiata, si sentiva una persona diversa e non aveva mai provato nulla del genere; perdersi nell'abbraccio di quel ragazzo, sentirsi sorretta dalle sue braccia, i due corpi uniti, questa volta in maniera perfetta.

Liberata dai sui funesti pensieri, annegò in quel doloroso piacere, per poi addormentarsi in un pesante sonno.

Mentre Diletta dormiva abbracciata a quel corpo caldo che le aveva regalato una nuova concezione di sesso, il ragazzo era rimasto sveglio, consapevole di ciò che aveva appena fatto, maledicendosi per una tale debolezza.

Nonostante tutta la passione sbocciata in quella notte, anche se aveva scaricato tutta la tensione accumulata, un pesante macigno si era bloccato sul suo stomaco. Il rimorso di ciò che aveva appena fatto non voleva andarsene.

Aveva sbagliato, lo sapeva benissimo e non poteva far altro che darsi la colpa di tutto dicendosi che era un idiota. Non riusciva neanche a muoversi, a camminare per cercare di calmarsi, dato che era intrappolato dalla ragazza dai capelli corvini ed al suo sonno.
Aveva combinato un guaio, doveva solo sperare che andasse tutto bene, che nessuno scoprisse nulla, doveva mantenere quel segreto, quella bugia, quel malinteso.

Ma c'era un problema; in quel momento, una voce gli ricordava una cosa. Una voce che non sentiva da anni nella vita reale, solo in sogno lo perseguitava ancora e che l'aveva soffocata regredendola ad un sibilo nel suo inconscio pur di non sentirla più.

Quella voce gli ricordava con parole indelicate quanto fosse inutile e stupido, gli diceva che avrebbe preferito che non fosse mai nato e che non era buono nemmeno a fare da posacenere.

Quella voce così rude e pesante, bloccata a volte dal catarro che doveva sputare, ruvida come la carta vetrata che esclamava solo imprecazioni e parolacce.
Lo rimproverava per essere stato così stupido, gli ricordava di essere un debole.

La conosceva bene quella voce, fin troppo bene; nella sua casa dove vivevano, suo padre gli aveva urlato nelle orecchie chissà quante volte al giorno.

-Non sei buono nemmeno come posacenere.- e gli spegneva la sigaretta sulla mano destra... E lui doveva stare in silenzio, non doveva piangere o sarebbe stato peggio.

-Ora mandami l'altro disgraziato!- tuonava facendo tremare il pavimento ed il bambino se ne andava tenendosi stretta la mano appena ferita, la cicatrice aperta ancora una volta da una nuova, la sua mano non era altro che un accumulo di dolore giornaliero. A testa bassa andava, sotto ordine del padre, a chiamare suo fratello dato che era il suo turno, ma ogni volta si fermava davanti alla porta e lo vedeva piangere, tutto rosso in viso e con gli occhi stretti abbracciato alla loro mamma.

Non poteva farlo, "Non possiamo sopportare tutto questo."

Non poteva chiamare Tommaso e dirgli che era il suo turno per la punizione.

"Non posso sopportarlo."

Fortuna volle che erano fratelli, fortuna volle che erano gemelli. Bastava poco per camuffarsi e trasformarsi in Tommy; da quel giorno, ad ogni punizione, bastò prendere anche il suo turno, stringere gli occhi nascondendo il verde che circondavano le sue pupille e piangere, tanto quel mostro non se ne accorgeva mai, non aveva mai sospettato di punire sempre la stessa persona.

-Raccogli tutta la cenere.

Il dolore alla mano ormai era sparito da tempo, solo in alcuni momenti gli formicolava ricordandogli il passato da cui erano fuggiti. Ora, quella mano deturpata da vecchie bruciature era imbrigliata fra i capelli neri di una sconosciuta. Doveva liberarsi, doveva andare via da lì, zittire quella pesante voce interiore e procedere per quella complicata giornata.

Alla fine trovò il coraggio di alzarsi dal letto, prese i primi vestiti che trovò nell'armadio e scappò da quella stanza. Scese le scale mentre cercava di infilarsi una felpa color verde militare, per poi andare in salotto e lì, con ancora le luci rimaste accese per tutta la notte, aveva trovato Tommy raggomitolato su se stesso che dormiva profondamente sul divano. Quel poveretto era crollato non appena erano rientrati in casa, neanche aveva fatto in tempo a togliersi le scarpe che era come svenuto per la stanchezza. Nemmeno una parola era stata detta dopo quello che avevano fatto al corpo di Dario...

Dario... Pensare a quella persona non più in vita non lo aiutò a rallegrare quella giornata che era appena iniziata, quindi scacciò quel pensiero e se ne andò in cucina per bere dell'acqua.

Per tutti loro li aspettava una giornata molto pesante, cosa che lui sapeva e che lo preoccupava molto, ma Kam non poteva neanche immaginare quanto sarebbe stato inusuale e strano quell'ultimo giorno dentro quella villa.

-Buongiorno Kam.

Sentendo il suo nome si voltò; era suo fratello che si era appena svegliato e che con gli occhi ancora assonnati entrava nella stanza strisciando con i suoi piedi.

-Sta volta mi sono alzato presto come mi hai detto... Hai visto?

Kam guardava suo fratello, disorientato sul come si doveva comportare...
Aveva fatto... Quella notte aveva... Non riusciva neanche a dirlo a se stesso, figuriamoci a confessarlo a suo fratello, la persona a cui per una notte aveva rubato la sua ragazza.
Le parole gli morivano prima ancora di fiorire nella sua mente, per poi pensare...

"Perché mai dovrei dirglielo... Se non riesco nemmeno io a spiegarmelo in testa, perché dovrei farlo ad alta voce e creare così altri malintesi?"

E allora, in quel secondo in cui suo fratello gli aveva appena detto che si era alzato presto come da richiesto, Kam decise di mantenere per sé quel segreto di una notte, almeno per il momento.

-Non ti vantare, io mi alzo quasi sempre a quest'ora e non faccio il comitato stampa per farlo sapere in giro.

Tommy, dopo quella risposta un pochino troppo acida per i livelli del suo gemello, lo guardò con sospetto, notando che aveva sviato il suo sguardo scappando dai suoi occhi azzurri.

Forse la parola più adatta per descrivere lo stato d'animo di Kam era "confusione". Non sapeva più cosa pensare, a cosa dare la priorità. I singoli pezzi si amalgamavano fra di loro diventando quasi irriconoscibili; la casa, la sua ospite, un ragazzo di cui aveva assistito e forse anche contribuito alla sua morte, la voce di suo padre che non si azzittiva nemmeno per un secondo dentro di sé e gli occhi interrogativi e spaesati di Tommy che non cercava altro che risposte e sicurezze. Non riusciva a focalizzarsi su un singolo evento, un singolo pensiero, un singolo ricordo.

-Dai Kam! Ti vedo spaesato... Ma non devi esserlo, oggi é il gran giorno! Dobbiamo preparaci bene.

Disse Tommy uscendo dalla cucina più emozionato che mai.

-Inizio a preparare le borse intanto che ti riprendi.- urlò dall'altra stanza.

Già, quel giorno era Il Giorno. Era finito il tempo, quella villa non sarebbe più stata casa loro e ne avrebbero scelta un'altra, sicuramente meno bella, ma si dovevano pur accontentare.

"Il giorno dell'abbandono" era sempre emozionante e facevano sempre gli stessi gesti; rubavano, più che altro oggetti piccoli che potevano entrare in borsa e che potevano rivendere e ricavare qualcosa, vestiti, e contanti che trovavano in giro, ma non troppi, così i residenti delle case che occupavano perdevano la pazienza dal cercare dei delinquenti per dei pochi spicci e degli oggettini rubati. La gente non aveva costanza ma soprattutto le forze per cercarli, ed era per questo il perché l'avevano sempre fatta franca.

Ma questa volta era diverso, questa volta rubavano qualcosa di ancora più prezioso. Una vita umana quanto valeva? La gente avrebbe cercato Diletta?

Il solito problema, quella ragazza non aveva fatto altro che creare guai; avrebbe volentieri lasciata lì a marcire dentro quella casa... Ma se l'avessero lasciata avrebbe contattato la polizia, dato un identikit e per loro sarebbe finita... E lui non voleva andare di certo in prigione.

In quella mattinata iniziata alle cinque di mattina e dedica alla preparazione, fra borse da riempire, cose da sistemare e soprattutto da pulire dalle loro impronte, verso le sette e mezza avevano finito ed erano quasi pronti, mancava solo una cosa che non tardò ad arrivare.

Diletta scese lentamente le scale con una leggerezza che non aveva mai avuto, un espressione serena che poteva illuminare l'intera casa. Un sorriso a cui non importava il passato che aveva assistito, l'orribile ieri così vicino non la poteva più turbare.
Quel giorno era anche il suo Giorno, dove avrebbe finalmente lasciato anche lei quella casa.

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