23 Capitolo
La pioggia cadeva copiosa in quel calmo mattino; ogni goccia aveva un suono ben preciso, così acuto quando si frantumava contro un oggetto solido. Il primo giorno di quel gelido gennaio era iniziato con il cielo pieno di nuvole che nascondevano un nuovo e luminoso sole. Anche Tommy si sentiva allo stesso modo, era come nascosto dentro se stesso.
Quel mattino si era alzato molto presto, prima di suo fratello. La verità era che non aveva dormito, era rimasto immobile a fissare il soffitto di una camera che non gli apparteneva. Ripensava a Diletta, ai suoi occhi ricolmi d'ira, le sue parole così cattive quanto così vicine alla realtà. Era sconvolto, non tanto dal gesto disperato di Diletta nel puntare un fucile contro di loro; si era reso conto di come la stavano trattando. Era la prima volta che apriva gli occhi su quello che stavano facendo, aveva capito che suo fratello stava sbagliando tutto quanto e quel mattino aveva deciso di dirglielo.
Aspettò in cucina con davanti le sue fette biscottate, finché arrivò anche Kam. Era distrutto, indossava una felpa con il cappuccio alzato che nascondeva un viso dolorante e stanco. C'era d'aspettarselo, pensò Tommy sospirando. Non aveva dato freno alla sua sete di alcool per due sere di fila ed ora le conseguenze si mostravano sul suo volto. Sembrava davvero uno zombie che camminava con la loro tipica lentezza. Era anche strano vedere il suo gemello in quello stato, come se vedesse se stesso stare male, come un monito a non comportarsi allo stesso modo.
-Buongiorno Tommy.- sbiascicò quelle parole mentre andava ad aprire il frigorifero. Avrebbe preso l'acqua e la santa aspirina per rimettersi in sesto, lo faceva ogni volta.
-Grazie per avermi trascinato in camera, ero proprio distrutto.- gli disse Kam, poi gli diede una pacca sulla spalla e come risposta fece un cenno con il capo, sminuendo quel ringraziamento. Non si sentiva orgoglioso come le altre volte che lo aiutava; infondo aveva trovato suo fratello addormentato di fronte alla porta del bagno, dove avevano imprigionato Diletta, lo aveva preso in spalla e portato con molta fatica nella stanza che aveva occupato. Era ovvio che non lo avrebbe mai lasciato su quel pavimento gelido a prendersi addirittura un raffreddore.
-Davvero Tommy, sei proprio un angelo, prometto che non berrò più così tanto.
-Non ringraziarmi Kam e basta promettere le solite stupidate.
Kam era rimasto di stucco, con il bicchiere a mezz'aria di fronte a quella risposta. Forse era stato troppo freddo? Anche Tommy era stupito dal suo tono così seccato. Capendo la situazione, il ragazzo dalle pesanti occhiaie ingoiò la pasticca e si sedette di fronte a Tommy. Era serio, cercava attenzione anche se quelle occhiaie distraevano Tommy. Era davvero così stanco?
-Dobbiamo parlare di quello che é successo.
Ed ecco quello sguardo, Tommy lo conosceva fin troppo bene. Sopracciglia accigliate, bocca serrata in una sottile linea, segno che doveva parlare anche se non voleva, spalle che nascondevano il collo; quando doveva fare un discorso da uomo adulto, inevitabilmente assomigliava ad una tartaruga. Ascoltava sempre Kam, pendeva dalle sue labbra perché lui era il più saggio fra i due, ma ora non ne era più sicuro. Quel limpido lago che era la sua fiducia si era increspato da un piccolo sasso lanciato da Diletta.
-Diletta questa notte ha tentato di ucciderci, non c'è altro da spiegare.- Tommy aveva provato a nascondere la sua delusione nel dire quelle parole, ma non ce l'aveva fatta. La sua fetta biscottata si stava frantumando nelle sue mani, ora sembrava più un puzzle da ricomporre che una colazione.
Le labbra serrate di Kam non si scomposero. Non ne voleva proprio parlare, era davvero un discorso così difficile? O forse voleva solo riposare in quel momento...
-Tommy. Ci ha nascosto un'arma da fuoco, voleva spararci per davvero. Forse non ti rendi conto della gravità della situazione, potevamo morire.
-Me ne rendo conto eccome, non sono più un ragazzino, sai? Anzi, vorrei ricordarti che siamo gemelli, abbiamo la stessa età quindi non dirmi che non capisco e mi tratti da bambino. Per dirla tutta, io sono più grande di te di tre minuti...
Le fette biscottate erano ormai polvere sul suo piatto. Non aveva più nulla da torturare e così da sotto il tavolo iniziò a togliersi le pellicine sul pollice.
-Diletta... Non é giusto. Non dovremmo trattarla in questo modo... Sta soffrendo.
Si diede dello stupido da solo... Doveva essere più risoluto e invece continuava a guardare le sue dita. Cercava di alzare la voce, essere più sicuro delle sue convinzioni, la sua opinione valeva quanto quella di Kam e questo lo doveva capire, non doveva sempre comandare lui.
Kam lo stava fissando, fra poco avrebbe alzato la voce.
-Ne abbiamo già parlato Tommy. É necessario; se non le mettiamo paura tenterà di scappare ogni volta! Hai visto cosa ha fatto, c'eri pure tu o mi sbaglio? Le abbiamo permesso di stare con noi a capodanno e lei che fa? Ha tirato fuori un fucile! Un fucile per l'amore del cielo! Se anche solo riuscisse a scappare, chiamerebbe la polizia e noi saremo fregati; cosa vorresti raccontare? Che siamo capitati dentro questa casa per sbaglio? Che il sistema di allarme si é guastato da solo e che i fili del telefono li hanno mordicchiati i topi?
Era durato poco, pensò Tommy; solitamente parlava molto di più, ramanzine che duravano almeno dieci minuti degne di un insegnante di un liceo. Forse era il dopo sbornia a inibire la sua ramanzina, fatto sta che come sempre aveva scelto le frasi giuste e soprattutto la parolina magica; e la polizia?
-Non... Non chiamerebbe la polizia. Se le parlassimo e le chiedessimo... Scusa.
-Tu non ragioni Tommy! Stai impazzendo per caso? Credi davvero che se ne andrà senza fare nulla solo perché te l'ha promesso? Guardami negli occhi e dimmi che non lo farebbe. Guardami negli occhi e promettimi che non mi manderai mai in prigione.
Tolse l'attenzione dai suoi pollici e alzò lo sguardo verso Kam: anche se era stanco, anche se aveva le occhiaie e la pelle più bianca di un lenzuolo, il suo sguardo era serio, ma soprattutto preoccupato. Non per quel problema che poteva essere Diletta, ma per Tommy. Non voleva che facesse una stupidata, aveva paura che suo fratello non si fidasse più di lui. I suoi occhi color prato lo stavano forse giudicando?
-... Hai ragione Kam. Come sempre.
Confessò alla fine Tommy.
-Andrà sicuramente male per noi se la liberassimo...
Kam, a quella risposta, gli sorrise, uno sforzo quasi disumano per come era ridotto in quel momento. Si alzò in piedi e gli toccò la spalla in modo fraterno per poi allontanarsi con la scusa del -Vado a controllare meglio quella maledetta stanza. Spero non ci siano altri segreti in questa casa.- per poi lasciarlo solo.
Rimase in cucina, con quella confessione che vagava ancora per la stanza. Pensava veramente ciò che aveva detto? O lo aveva fatto solo per non far preoccupare oltre suo fratello, per farlo rilassare e riposare? Era in lotta con se stesso, due mondi si stavano scontrando nella sua testa; da una parte una giovane fanciulla in difficoltà, delicata quanto i petali di un fiore primaverile. Dall'altra suo fratello, il suo gemello. Condividevano la stessa storia, lo stesso sangue ed in parte anche la stessa anima. Vissuti sempre insieme, mai separati, l'uno che si guardava le spalle dell'altro come veri e propri fuggitivi.
Ma se Tommy avesse iniziato a dubitare di suo fratello? Se non volesse più controllare quelle spalle? Era Tommy il traditore fra i due?
Non sapendo il perché, andò al primo piano, forse attratto dalla presenza di Diletta imprigionata al bagno. Era rimasta in silenzio, solo all'inizio aveva protestato colpendo la porta e urlando, poi si era calmata e Tommy non aveva più sentito nulla, tanto che si chiese se stesse bene o se le fosse capitato qualcosa. No, non doveva entrare... Non ancora per il momento. Prima doveva sapere.
Andò invece nella stanza di Diletta. Quando apri la porta, la cosa che più l'attirò fu il profumo delle candele azzurre, assomigliava molto alla vaniglia. Aveva molti pupazzi sul letto, la maggior parte delfini di tutte le tonalità del blu. La scrivania di Diletta, invece, la immaginava più in ordine, ma sicuramente era stato Kam a creare quel caos di matite e quaderni svuotando i vari cassetti. Alzando lo sguardo, tante foto lo travolsero; molte persone erano state catturate con la macchinetta fotografica per poi essere messe su quel muro, tante amiche e troppe volte si vedeva un ragazzo più grande di lei, stranamente familiare. Tommy lo aveva riconosciuto, anzi, conosceva i suoi vestiti. Erano quelli che stava appena indossando. Era sicuramente il fratello di Diletta, si chiamava Leonardo se non ricordava male. Era alto, capelli scuri e ben pettinati e il suo sorriso andava da orecchio a orecchio. Anche Diletta sembrava felice e non poté non pensare che con i capelli così corti fosse davvero graziosa. Chissà quando l'avevano scattate quelle foto? Sono tutte con una Diletta con i capelli pari a caschetto, nessuna con i capelli lunghi come li aveva ora. Per farli crescere così tanto ci volevano su per giù due o tre anni, ragionò Tommy. Nessuna foto recente? Nessun attimo di felicità condiviso su quelle pareti?
Aveva fatto bene ad entrare in quella stanza. Doveva sapere che tipo fosse quella ragazza, doveva conoscerla meglio per poi pensare al da farsi. Per rispetto, non era mai entrato in quella camera... Non voleva urtare i sentimenti di Diletta, ma ormai non c'era altra scelta.
Ed eccolo lì, nascosto sulla scrivania sommerso da grossi libri e test per l'università. Un diario azzurro con sopra un numero, l'anno che era ormai finito. Ogni pagina di quel quaderno era riempita da parole, una calligrafia scorrevole e tonda, con ghirigori a decorare ogni lettera. Quanto tempo aveva passato Diletta con una penna azzurra a scrivere i suoi pensieri, le sue esperienze e i suoi ricordi? E sicuramente non era l'unico diario, si immaginava una colonna alta nascosta dentro il suo armadio su cui ogni copertina c'era scritto il proprio anno.
Aprì una pagina a caso...
Caro diario... Oggi ho cercato di mangiare più del solito, Leonardo mi ha preparato un piatto di...
-No!- si disse da solo Tommy chiudendolo. Non poteva farlo, leggere così facilmente i pensieri di un'altra persona, sapere i segreti di Diletta! Non era giusto...
Ricordava bene la reazione violenta di Diletta; come era saltata al collo di Kam non appena gli aveva detto che aveva letto il suo diario. Come avrebbe reagito se anche lui avesse fatto la stessa cosa?
"La curiosità uccise il gatto..."
Tommy scese andando in salotto, sdraiandosi pensieroso sul divano. Ancora lo sguardo rivolto ad un soffitto di una casa che non gli apparteneva, a lui sconosciuta.
Aveva ragione Kam; quello che stavano facendo era sbagliato e la legge li avrebbe puniti severamente se li avessero scoperti, ma in quel tornado di preoccupazioni, non poteva che pensare a Diletta. Anche se avevano fatto quelle cose, lui l'aveva comunque trattata bene, con gentilezza e non l'aveva mai maltrattata. Ripensò dolcemente al suo primo ballo, quella leggerezza che lo aveva fatto volare in cielo accarezzando le nuvole e subito dopo sprofondare sotto terra; perché aveva puntato quel fucile contro di lui?
Quella delusione lo stava logorando, si era insinuata dentro al suo stomaco impedendogli di mangiare altro, ma soprattutto di pensare ad altro.
La risposta era più che semplice; non era colpa di Tommy, ma di Kam. Se non le avesse fatto del male fin dall'inizio, ora Tommy non si sentirebbe così in conflitto.
Per la prima volta era diviso a metà, confuso, alla ricerca di una soluzione che conciliasse le due parti.
Fra le mani aveva quel diario azzurro, l'anima di Diletta che aspettava spaventata una sua decisione. Lo aprì ed incominciò a leggere dalla prima pagina.
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