18 Capitolo

Quella mattina aveva un terribile mal di testa, una bomba atomica gli era esplosa nel cervello fracassando ogni suo pensiero. Grazie a suo fratello era riuscito a ricomporre qualcosa, come il fatto che fosse capodanno, ma si muoveva comunque a rallentatore. Era troppo irritabile, ogni cosa gli dava fastidio; la luce gli punzecchiava gli occhi con dolorosi aghi, qualunque rumore anche quello dei suoi passi rimbombava nelle sue orecchie e lo stomaco sembrava essersi ruotato di 180 gradi di sua spontanea volontà. La pastiglia che aveva preso stava lentamente facendo il suo effetto, entro il pomeriggio gli sarebbe passato tutto. Kam lo sapeva bene perché gli era capitato molte volte e non poteva far altro che aspettare. Odiava il dopo sbronza, ma non poteva farci niente; odiava il dopo sbronza tanto quanto amava l'alcool, era pura e semplice matematica dopo tutto. 

Vagava per la casa come uno zombie, come un essere dell'altro mondo riportato indietro con la formula sbagliata. Già, era un errore madornale sbronzarsi in quel modo, ma in fondo, si era divertito molto con le due ragazze che gli avevano fatto molta compagnia.
Immerso nei suoi pensieri, i pochi che gli erano rimasti, si fermò ad un corridoio. Uno strano odore aveva attirato la sua attenzione, era aspro ed aveva fulminato il suo naso, ma dopo poco passò, come se non ci fosse mai stato. Era proprio uno strano odore.

La coincidenza volle che si fosse fermato proprio davanti ad una porta, l'unica della casa che non era riuscito ad aprire, oltre quella del piano di sotto dove ci doveva essere la caldaia e la lavanderia, che non gli interessavano.
Era diversa dalle altre presenti nella casa che erano state sconfitte dalla volontà e dalla forza di Kam. Una porta alta in legno molto scuro e spessa incombeva su di lui, così pretenziosa, ma allo stesso tempo autoritaria e spaventosa. La maniglia che lo chiamava con voce suadente.

"Forse quella puzza proviene da qui dentro."

Mise la mano sulla maniglia dorata avvertendo il freddo del metallo sotto la sua mano. L'abbassò, ma non riuscì ad aprirla. La maledetta era chiusa a chiave, Kam lo sapeva bene e aveva cercato la chiave ovunque, ma tutte quelle che aveva trovato per la casa erano sbagliate per quella serratura. La curiosità di sapere cosa ci fosse dietro quella porta lo stava uccidendo, doveva sapere cosa ci fosse dentro, ma qualcuno aveva deciso che non poteva entrare.

"Non lo accetto questo affronto."

Kam non sapeva cosa stesse realmente facendo. Sapeva solamente che con la mano destra teneva saldo il polso di Diletta e la stava portando davanti alla porta misteriosa. Sembrava in difficoltà la ragazza, ma soprattutto aveva molta paura ed era terrorizzata da Kam; urlava di lasciarla andare, lo supplicava mentre guardava con gli occhi sgranati l'accetta che il ragazzo teneva salda nella mano sinistra.

-Ti prego Kam.- diceva con voce tremante. -Non ho fatto nulla, non essere arrabbiato con me!

-Stai zitta! Questo starnazzare mi fa venire ancora più mal di testa.

Diletta ammutolì immediatamente e le lacrime stavano quasi per uscirle. Si faceva trascinare in silenzio per i corridoi finché non si fermarono alla famigerata porta. La lasciò andare.
Senza giri di parole, Kam fu molto diretto a domandarle cosa ci fosse dietro la porta scura. Diletta era confusa da quell'insolita domanda. Cercava di collegare quello che vedeva davanti a sé; un Kam arrabbiato e frustrato, la porta nera, se stessa e quella diavolo di accetta che la terrorizzava. Quest'ultima era un terzo incomodo molto fastidioso, ma necessario.

-Perché...- iniziò a parlare Diletta anche se non era sicura di quello che stava per dire.
-Perché non puoi essere più gentile...? Devi per forza avere sempre un oggetto spaventoso quando devi parlare con me? Prima con le forbici e poi addirittura con una pistola! Ed ora anche l'accetta?- non sapeva da dove gli fosse venuto quel coraggio che mano a mano scandiva ogni sua parola.

-Ora perché non la posi, ti dirò che stanza é se...

-Tu ora detti le condizioni?- domandò Kam tranquillo mettendosi sulla spalla l'accetta come una vecchia amica. Era strano, perché Diletta non gli aveva subito risposto? Pazienza.

-Se non vuoi collaborare potrei andare a prendere la pistola, sempre se non ti da fastidio.- sorrideva divertito e poi notò che Diletta non aveva mai distolto lo sguardo dall'accetta. Ora si sarebbe proprio divertito.

Kam, anche se aveva ancora mal di testa, sfoderò uno dei sorrisi più ammalianti che avesse, come per tranquillizzarla e indicò l'accetta, -Aspetta, tu hai paura che possa farti del male con questa?

A quel punto il sorriso si trasformò in una risata sguaiata, così fragorosa che alla fine tossì per quanto gli si fosse irritata la gola.

-Oh Diletta, sei proprio ingenua a pensare che potrei ucciderti così. Non ti preoccupare, ovviamente userò altro.

-Che... Cosa?

Dopo quella frase, Diletta era di colpo sbiancata come un lenzuolo. Alla poverina tremavano le gambe e Kam sospettava che prima o poi sarebbe caduta a terra.

-Non capisco la tua reazione Diletta. Che credevi? Passati questi bellissimi giorni ti avremmo lasciata in pace? Che dopo tutta questa storia ti lasceremo andare via come se niente fosse? Tu sai chi siamo, ci hai visti bene in faccia; se la polizia ti interrogasse gli daresti il nostro identikit e noi saremmo spacciati, non ti pare?

Kam vinse la sua scommessa interiore; alla fine le gambe di Diletta cedettero a quell'orrida consapevolezza. Cadde a terra mettendosi le mani sul viso e in mezzo le sua dita le parole uscirono tremolanti.

-Io... Io non capisco. Non ho fatto niente...- e poi alzò lo sguardo verso l'alto, verso Kam, come se quelle parole le pronunciasse a Dio stesso.

-Io non voglio morire.

-Non hai fatto niente?- l'irritabilità di Kam stava pian piano ritornando. Ultimamente si innervosiva troppo spesso.

-Mi hai pugnalato con le forbici, la ferita mi fa ancora male e poi hai anche tentato di strangolarmi. Io non dimentico tanto facilmente.

Diletta aveva abbassato lo sguardo, la sua misera preghiera era stata inutile. Kam l'aveva fatta piangere di nuovo, in quei momenti si sentiva davvero perfido e godeva molto ad interpretare quella parte. Fra un singhiozzo e l'altro, Diletta lo stava implorando chiedendogli scusa. In quel momento la paragonò ad un cucciolo, un cucciolo di cane per l'esattezza. Con tutti quei guaiti, Kam si abbassò al suo livello per accarezzarle la testa.

-Ora non piangere o mia povera Diletta. Lo dovevi sapere o per lo meno sospettare. Non ti avremmo mai lasciata libera. Da quando ci hai aperto le porte di casa tua, ti sei condannata da sola.
Quando hai detto che sarebbero ritornati i tuoi? Erano due settimane, vero? Ed ora sono passati quattro giorni.

Si avvicinò sussurrandole all'orecchio parole lente e letali.

-Ti sono rimasti meno di dieci giorni, anzi. Facciamo otto. Dovremmo pur sistemare da qualche parte il tuo cadavere.- e rise allontanandosi.

Bene, forse era per la pasticca presa poco tempo fa o forse era per il discorso che aveva appena fatto a Diletta, fatto sta che ora si sentiva molto meglio.

Ma la porta era ancora chiusa.

-Ora che hai capito quanto vali realmente, puoi dirmi cortesemente cosa c'è dietro questa porta e come posso aprirla?- si risollevò in piedi sovrastando la piccola figura di Diletta.

Proprio non capiva perché facesse così tanta resistenza, in fondo gli aveva chiesto una cosa semplice, ma faticava molto per avere una risposta.
Diletta aveva smesso di piangere, accettando la sua situazione; non si vergognava a tirare su con il naso e si puliva il viso con la manica della sua camicetta bianca. Negli occhi aveva una strana determinazione.

-É lo studio di mio padre.

-E ti ci voleva tanto a dirlo? E come si apre?

Diletta rifletté sulla risposta, in quel momento la serietà aveva preso posto delle lacrime. Si alzò in piedi mentre disse, -Non si può aprire.

Presa alla sprovvista, Diletta lanciò un lamento; Kam le aveva afferrato il collo ed era molto nervoso, lo percepiva da quanto gli tremasse la mano.

-Niente più giochetti ragazzina! Ancora non hai capito che posso ammazzarti anche all'istante? L'unico problema sarebbe la puzza del tuo corpo marcio in decomposizione!

-Non si può aprire perché... Non c'è la chiave.- sputò senza fiato.

-Come non c'è la chiave?

-Ce l'ha papà... Le ha sempre avute lui...- confessò con difficolta e dopo poté di nuovo respirare, Kam aveva mollato la presa. Poi continuò, -Mio padre ha sempre con sé un mazzo di chiavi, lì dentro chiude sempre perché c'è la sua vita e non si fida di nessuno, neanche della sua famiglia.

Kam allora aveva capito tutto.

-E tuo padre é partito. Le chiavi ce l'ha lui?

Diletta annui toccandosi delicatamente il collo dolorante.

-Capisco.

Il botto fu inaspettato ed esplosivo, il terzo incomodo era entrato in azione. Quando l'accetta toccò violentemente la porta, le schegge di legno schizzarono e raggiunseroni piedi di Diletta. Kam colpì ancora affondando sempre di più sul legno, poi tirava via portandosi dietro i pezzi della porta. Per la paura Diletta si era coperta le orecchie, quel suono le raggelava il sangue.

-Che diavolo è questo rumore?!

Tommy aveva fatto le scale di corsa e si era precipitato sconvolto. Non riusciva a credere a quello che stava vedendo. Suo fratello che prendeva ad accettate una porta, non era una cosa da tutti i giorni.

-Kam cosa stai facendo?!

-Ti ricordi la porta di cui ti parlavo? Ora si sta aprendo.

-Ovvio se la colpisci con un'accetta! E dove accidenti l'hai presa?

-Dietro la casa c'è un capannone per la legna; scommetto che ai signorini piace passare le giornate davanti al caminetto quando fa freddino, come se la caldaia non bastasse.- e un altro colpo si incastrò nel legno.

-Ma non stavi male!? Ora ti metti pure a distruggere le porte?- sembrava molto in pensiero ed anche agitato.

I fragoroso botti non smettevano e metà porta era ormai maciullata. Un po' sudato, Kam sorrideva divertito a suo fratello.

-Ora sto molto meglio. Prova tu Tommy.- e gli consegnò il nuovo giocattolo con eccitazione.

Con in mano l'accetta, Tommy era confuso e intimorito da quell'oggetto. Mai se la sarebbe immaginata così pesante. Non ne aveva mai vista una da così vicino e la guardava con sgomento mentre studiava la lama poco scheggiata.

-Che ci dovrei fare con questa?

-Continuare a spaccare la porta dello studiolo di suo padre. Fidati, é molto divertente, ti distende i nervi.

Tommy, ancora incerto, cercò di impugnare saldamente l'accetta nelle sue mani e si posizionò davanti la porta. Non sapeva dove mirare dato che la parte di sopra non esisteva più, ma di questo non se ne sarebbe preoccupato dato che sicuramente avrebbe chiuso gli occhi e mirato alla cieca. Stupendo Kam, il primo colpo fu netto e potente, Tommy aveva utilizzato tutta la sua forza. La lama si era incastrata fra le assi di legno e non riusciva a tirarla fuori. Il ragazzo, che aveva chiuso gli occhi, ne aprì solamente uno per capire cosa avesse appena fatto, poi guardò suo fratello per ricevere approvazione da parte sua.
Kam, esaltato, si era poco avvicinato; era felice quando consigliava bene a suo fratello, poi gli spiegò, -Ora devi tirare via l'accetta insieme all'asse di legno. Un gesto deciso verso il basso.

E così fece. Il legno si piegò e spezzò davanti alla volontà di Tommy e lui sorrise, ma non dolcemente come aveva imparato a vedere Diletta. -É davvero divertente!- disse anche lui euforico e con il cuore che gli batteva a mille.

-Te l'avevo detto io! Dai, continua!- proprio come due bambini, si esaltavano a vicenda e si stavano divertendo con quel nuovo gioco. Tommy aveva acquistato sicurezza e i colpi contro la porta erano sempre più veloci e decisi, ma soprattutto la sua espressione era cambiata, quasi non sembrava più lui.

-Ora capisco come si é sentito Jack Nicholson in quel film! Come si chiamava Kam?- disse fra un'accettata e l'altra.

I resti della porta cadevano ormai inutili, abbandonati a terra insieme agli altri pezzi. L'unica che li notava era Diletta, li guardava con sorpresa e anche sgomento. Stavano distruggendo la porta della camera preferita di suo padre, addirittura con un'accetta, non ci voleva credere per quanto fosse surreale. Quasi si aspettava che suo padre fosse lì dentro, seduto sulla sua poltrona di pelle nera a fumare un costoso sigaro e con l'altra mano faceva arieggiare un vino invecchiato più di lui. Si immaginava che per lo sgomento avesse fatto cadere la cenere sul suo tappeto, maledicendosi per quella distrazione e poi sentenziare con aria altezzosa, -Per l'amor del cielo, cosa sta succedendo? Dei balordi distruggono il mio tempio! Diletta scommetto che sono amici tuoi.- e poi sorseggiare il vino sistemandosi gli occhiali. Un angolo della bocca di Diletta si alzò a quel pensiero, chissà come avrebbe reagito veramente suo padre?

Diletta bloccò la sua immaginazione.

-"Shining". Ora basta Tommy, possiamo entrare.- disse Kam.

Tommy si fermò. Aveva il fiatone e con orgoglio ammirava il lavoro che aveva appena fatto, o almeno quello che ne rimaneva. I due oltrepassarono i resti della defunta porta. Sembrava un capodanno tranquillo o almeno lo sarebbe stato se i due gemelli non avessero aperto quella porta, pensò la ragazza.
Per la prima volta Diletta sentì un grido che non provenisse da lei, ma non era riuscita a distinguere di chi fosse.

Chi dei due gemelli aveva urlato?

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VI ADORO. PUNTO. 100 stelline, 100 volte grazie!
Come già detto (da me) Aspettando che questa piccola porzione di cielo stellato, diventi un universo straordinario!
Ok... Mi sto fomentano un pochino...
Questa storia ha una direzione ben precisa, so dove voglio andare a parare (almeno credo...?) E l'unico consiglio che vi posso dare, o l'unico spoiler, è,
Non vi affezionate a nessun personaggio.

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